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Il boss di Porta Nuova non ha mai reciso i legami con la mafia. Resta una figura centrale in Cosa nostra

La Corte di Cassazione ha confermato che Alessandro D’Ambrogio, storico capo del mandamento mafioso di Porta Nuova a Palermo, deve rimanere sottoposto al regime carcerario del 41 bis. Le ragioni, oltre a essere gravi, sono anche ben documentate. Il punto centrale è che - secondo la Suprema Corte - il boss non ha mai preso le distanze da Cosa nostra. Non ha mostrato alcun segno di dissociazione, tantomeno di pentimento. La sua figura resta inoltre centrale negli equilibri criminali del mandamento, con un’influenza che viene considerata ancora oggi particolarmente attiva. Secondo i magistrati, infatti, il rischio che D’Ambrogio possa tornare a esercitare un ruolo direttivo all’interno della mafia palermitana, qualora venissero allentate le misure detentive, non è affatto remoto. Al contrario, la sua partecipazione alle dinamiche del mandamento sarebbe, in realtà, “persistente”. Questo perché D’Ambrogio ha alle spalle una lunga carriera criminale mai interrotta, oltre a una continuità operativa all’interno del gruppo mafioso di appartenenza.
A rafforzare questa valutazione vi sono diversi elementi. Da un lato, la Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo ha riportato due omicidi di rilievo - quelli di Giuseppe Di Giacomo e Giuseppe Dainotti - avvenuti nel territorio controllato da Porta Nuova, che dimostrerebbero l’instabilità e la conflittualità ancora presenti all’interno del mandamento. Dall’altro, si evidenzia il legame del clan con varie attività economiche particolarmente redditizie, come quelle operanti nel settore del trasporto sanitario o dei servizi funebri. A questo si aggiungono le intercettazioni ambientali, che hanno confermato come la figura di D’Ambrogio sia rimasta centrale all’interno del sodalizio mafioso. Del resto, la storia criminale di Alessandro D’Ambrogio è lunga e molto articolata. Era già stato condannato per mafia nel 1999 e, dopo essere uscito dal carcere nel 2006, è tornato subito attivo nella riorganizzazione della cosca. Arrestato nuovamente nel 2008 nell’ambito dell’inchiesta “Addio Pizzo 1”, è tornato in libertà nel 2011, e da lì in poi il suo percorso è stato una continua ascesa. Tornando alle intercettazioni, una in particolare - sebbene non recente - ha evidenziato come D’Ambrogio venisse percepito dagli affiliati di altri mandamenti. In una conversazione tra mafiosi della zona di Pagliarelli, si coglie inizialmente una critica nei confronti della troppa deferenza che alcuni mostravano verso il boss. Ma poi, quasi con rassegnazione, arriva l’ammissione della sua autorevolezza: “Che ci devi dire, gli devi dare un bacione e basta”.

Fonte: Live Sicilia

Foto © Imagoeconomica

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