Due verbali di collaboratori giustizia scovati da Repubblica riconducono a Giovannello Greco e agli Inzerillo, il clan sul quale indagava il magistrato
“Voglio tornare a cercare la verità. Gli esecutori del delitto sono probabilmente ancora vivi, per certo le ricchezze accumulate da quei signori sono ancora in giro”. A dirlo è Gaetano Costa, nipote dell’omonimo magistrato siciliano ucciso da Cosa nostra il 6 agosto 1980 nella centralissima via Cavour di Palermo. A distanza di quasi 45 anni dal delitto ancora sono ignoti killer e mandanti. Per decenni la famiglia Costa non si è arresa nel tentativo di scovare i colpevoli. Oggi è il nipote che porta lo stesso nome del nonno a condurre questa battaglia. “Ora, abbiamo incaricato un pool di avvocati di presentare una nuova istanza”, ha detto in un’intervista a Salvo Palazzolo per Repubblica Palermo. Il quotidiano nei giorni scorsi ha scovato due verbali interessanti di pentiti di mafia. Entrambi convergono su Giovannello Greco, boss di Cosa nostra che ha scontato il suo debito con la giustizia e ora è un uomo libero. Negli anni ’90 il pentito Francesco Marino Mannoia fu interrogato in un processo che contri la famiglia Gambino a New York. In quel verbale il pentito parlò di Greco, indicandolo come uno dei responsabili del delitto Costa insieme uno degli Inzerillo: “Stefano Bontate mi ha riferito che l’omicidio del procuratore Costa è stato materialmente eseguito da Totuccio Inzerillo e da Giovannello Greco. Forse, ha avuto un ruolo anche il fratello minore di Inzerillo, Franco”. Totuccio Inzerillo fu ucciso dagli uomini di Totò Riina nel 1981, suo fratello Francesco è invece stato arrestato in un maxi blitz della Squadra Mobile di Palermo nel 2018 e adesso è in carcere. A fare il nome di Giovannello Greco è stato anche il collaboratore di giustizia Giuseppe Guglielmini. Anche il suo verbale risale a metà degli anni Novanta: “Due giorni dopo il delitto, mi trovavo in macchina insieme a Santino Inzerillo, mi disse che finalmente era morto quello che aveva fatto i mandati di cattura contro di noi. Mi disse che ad uccidere il procuratore erano stati Giovannello Greco, che materialmente sparò, e Pietro Marchese, che guidò la moto utilizzata per il delitto”. Gaetano Costa aveva per primo intuito la pericolosità degli Inzerillo, uno dei principali clan “perdenti” della guerra di mafia contro i corleonesi ed ora ritornati in Sicilia dagli Stati Uniiti dove erano scappati.
Costa avviò per la prima volta una serie di indagini patrimoniali, portate a termine dal nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza. Il magistrato ripartì dal lavoro di Piersanti Mattarella, che aveva avviato un’ispezione sugli appalti di alcune scuole, gestiti dal gruppo Spatola Inzerillo, che fu interrotto con la sua uccisione avvenuta il gennaio dello stesso anno. Qualche mese dopo, ricorda Repubblica, il procuratore decise di firmare 55 mandati di cattura contro il clan Inzerillo. Era maggio 1980, ad agosto verrà assassinato in un lampo da sicari ignoti. Le dichiarazioni raccolte dai testimoni non sono stati sufficienti a incastrare i colpevoli. L’unico processo che si è celebrato, a Catania, perché Costa era di servizio alla procura di Caltanissetta (distretto di cui è competente Catania), si è concluso con l’assoluzione del presunto palo del delitto. Un Inzerillo: Salvatore, assolto nel 1991. Poi più nulla. “Tante, troppe cose non sono state fatte. E anche la figura di mio nonno è stata velocemente dimenticata da Palermo”, ha denunciato il nipote. “Negli anni Ottanta un comunista (Gaetano Costa, partecipò alla lotta partigiana, ndr) a capo della procura era già di per sé un’immagine blasfema. Con un’aggravante: era anche il magistrato che per primo aveva avviato le indagini patrimoniali su Cosa nostra palermitana e in particolare sul clan Inzerillo, che aveva molti collegamenti con la società e l’imprenditoria cittadina”. E rispetto a quei mandati di cattura firmati da solo. “Mio padre riferì una volta le parole che mio nonno gli aveva affidato in quei giorni: ‘Qualcuno è garantista sul serio, qualcuno ha paura, qualcuno è in malafede’. Non so a chi facesse riferimento. Per certo, uno dei sostituti, Giusto Sciacchitano, rivolgendosi agli avvocati degli imputati, affermò che il procuratore Costa era l’unico responsabile di quelle convalide, ‘additandolo alla vendetta mafiosa’, come disse Sciascia”. Oggi, ha spiegato, “insieme all’avvocato Sergio Russo, nuovo presidente generale della fondazione, e al nostro pool di legali, costituto dagli avvocati Salvatore e Antonino Falzone e da Michele Ambra, stiamo ripercorrendo le carte del processo celebrato a Catania”. Al setaccio, non solo le carte del tribunale, ma anche appunti e note del nonno. “Per quelle indagini mio nonno fu ucciso”, ha commentato il nipote. “E al processo è emerso che alcuni ufficiali della Finanza furono trasferiti su sollecitazione della P2. C’è ancora tanto su cui indagare. Cercare la verità sui delitti eccellenti degli anni Ottanta ci può peraltro aiutare a comprendere le stragi degli anni Novanta”. Secondo Geatano Costa il delitto del nonno e di Piersanti Mattarella sono “strettamente connessi”. “Cercare la verità sui delitti eccellenti degli anni Ottanta ci può aiutare a comprendere le stragi degli anni Novanta”, ha commentato. Trovare la verità oggi “è difficilissimo, ma continuo a sperare”.
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