Maria Grazia Mazzola racconta la ferocia delle nuove leve di Cosa Nostra, tra sequestri di armi da guerra e giovani sicari
“L’80% dei familiari delle vittime innocenti di mafia non conosce la verità. E senza verità non si può costruire giustizia”. Lo ha dichiarato don Luigi Ciotti durante un’intervista con la giornalista - nonché inviata speciale del Tg1 - Maria Grazia Mazzola (in foto), che per TV7 ha firmato un’inchiesta drammatica dal titolo “Il mondo opposto”, offrendo uno sguardo nitido sul vero volto della mafia italiana. Un sistema criminale che, nel Bel Paese, riesce a generare un giro d’affari superiore ai 40 miliardi di euro. In parallelo, e in occasione della Giornata della Memoria per le vittime di mafia, migliaia di persone hanno sfilato per le strade di Trapani insieme a Libera, l’associazione fondata proprio da don Ciotti, divenuta simbolo della lotta alla criminalità organizzata. Per l’occasione, Mazzola si è recata nel cuore della Sicilia, tra Gela, Niscemi e Caltagirone, in provincia di Caltanissetta: un territorio dove la presenza armata di Cosa nostra si è manifestata più volte e con estrema violenza. Proprio in questa zona - ha ricordato il procuratore di Caltanissetta, Salvatore De Luca - “sono state trovate anche armi da guerra”. Una vera e propria polveriera della mafia siciliana, dove tra le armi sequestrate spicca anche il kalashnikov, fucile da guerra noto come AK-47, diffusissimo a livello mondiale per la produzione massiccia, la facilità d’uso e l’elevata resistenza. Caratteristiche che lo rendono un’arma ideale anche per la criminalità organizzata, che può procurarselo con poco più di duemila euro: una cifra irrisoria se paragonata all’enorme flusso di denaro generato ogni anno da Cosa Nostra. Si parla comunque di un arsenale di dimensioni tali da far temere “atti eclatanti”, ha sottolineato De Luca. Secondo il magistrato, il mandamento mafioso di Gela è ora nelle mani dei giovani, come giovani sono anche i killer assoldati per uccidere in cambio di poche migliaia di euro. La tensione, dunque, è palpabile. Lo dimostra il caso dei fratelli Lionti, imprenditori di Niscemi e proprietari di una catena di negozi di elettrodomestici, che hanno avuto il coraggio di opporsi al racket rifiutando di pagare il pizzo, pur sapendo di mettere a rischio la propria vita. Oggi vivono sotto scorta, ma continuano a lottare al fianco della federazione antiracket, fieri di non essersi mai piegati. Mentre il boss che li ha perseguitati con minacce e aggressioni è ora detenuto in regime di 41 bis.
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