Nella giornata dedicata al giornalista ucciso dalla mafia, un ulivo è stato piantato come simbolo di pace e rinascita
“Dalla Memoria all’Impegno”: questo il titolo delle celebrazioni che si sono svolte mercoledì scorso a Barcellona Pozzo di Gotto per commemorare il trentaduesimo anniversario dell’omicidio di Beppe Alfano, giornalista e insegnante ucciso dalla mafia l’8 gennaio 1993. Attraverso il coinvolgimento attivo della comunità, in particolare delle nuove generazioni, sono stati ricordati non solo Alfano e il suo operato, ma anche i valori fondamentali legati a giustizia e legalità. Le celebrazioni sono iniziate con un momento di raccoglimento presso il luogo in cui Alfano venne assassinato, a pochi metri dalla sua abitazione. Alla presenza del Prefetto Cosima Di Stani e di numerose autorità civili e militari, è stata deposta una corona di fiori in sua memoria. Successivamente, nella piazza a lui intitolata, è stato piantato un ulivo, simbolo di pace e rinascita. Gli eventi sono proseguiti presso l’Auditorium del Parco La Rosa con un convegno moderato dalla giornalista Cristina Saja. Tra i presenti anche lo scrittore e giornalista Paolo De Chiara, Marisa Garofalo (sorella di Lea, testimone di giustizia brutalmente assassinata dalla ‘Ndrangheta nel 2009), il procuratore della Repubblica Giuseppe Verzera, oltre a Giusy Benigno e Sonia Alfano, rispettivamente nipote e figlia del giornalista assassinato nel ‘93. Di particolare rilievo sono state le dichiarazioni di Sonia Alfano rilasciate ai microfoni di WordNews.it. A trentadue anni dall’omicidio che le ha portato via il padre, ha spiegato che “poco è cambiato dal punto di vista processuale”, sottolineando come “sia emersa solo una parte di verità”. Attualmente, le uniche persone in carcere per la morte del giornalista sono il boss Giuseppe Gullotti, “il mandante che ha autorizzato l’omicidio”, e Antonino Merlino, “il killer che lo ha commesso”, anche se - ha precisato Sonia Alfano - “siamo convinti che non sia l’unico esecutore materiale dell’omicidio di mio padre”. “Ma la cosa più importante - ha aggiunto - è che mancano all’appello tutte le persone che hanno voluto la sua morte, e non sono poche. Si tratta di persone che mio padre disturbava con il suo lavoro, non certo criminali di poco conto”. Ha poi ricordato un episodio significativo: “Undici anni fa ho portato il numero di matricola della pistola che, secondo noi, ha ucciso mio padre, ma anche in quel caso si è proceduto con l’ennesima archiviazione. Tuttavia, noi continuiamo a portare avanti la nostra battaglia”. Infine, tornando al significato profondo della giornata di commemorazione, Alfano ha ribadito l’importanza di raccontare agli studenti di oggi, che potrebbero “non conoscere affatto” questa storia, il sacrificio di suo padre. “Vogliamo spiegare ai ragazzi chi era Beppe Alfano e perché è morto per questo territorio. La battaglia che la nostra famiglia porta avanti da trentadue anni riguarda anche loro, perché la speranza è che certi meccanismi possano cambiare. Difatti - ha concluso con amarezza - ancora oggi, in questo territorio, c’è chi spaccia droga e distrugge targhe commemorative, come quelle dedicate a mio padre”.
Foto © Davide de Bari
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