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A Cinisi un convegno in ricordo della madre di Peppino Impastato e di tutte le “donne di resistenza”

Felicia Bartolotta, per tutti solo “Felicia”, ci lasciava vent’anni fa. Donna coraggio. Donna indomita siciliana, spirito curioso e ribelle. Felicia era (è) la madre di Peppino Impastato - volto iconico di Cinisi e della lotta alla mafia - giovane di Democrazia Proletaria ucciso in modo brutale il 9 maggio 1978 dagli uomini di Gaetano Badalamenti. Ma Felicia è stata anche la madre di tutti coloro che ripudiano Cosa nostra e la politica collusa. E’ stata una colonna tanto umile quanto incrollabile dell’antimafia più vera, che, dopo la morte del figlio, ha combattuto incessantemente per ottenere verità e giustizia e ha aperto le porte di casa (quella in cui Peppino ha vissuto) a chiunque volesse conoscere la sua storia, le sue battaglie e la sua piccola-grande rivoluzione condotta con i “compagni”. Felicia è stata una figura chiave per ognuna delle persone che hanno avuto la fortuna di conoscerla e soprattutto per la famiglia: per l’altro figlio, Giovanni e per la nipote Luisa Impastato che da anni portano avanti attività culturali e di legalità con l’Associazione Casa Memoria Felicia e Peppino Impastato.Ieri a “Casa Felicia, bene confiscato a Badalamenti e dedicato alla mamma del giovane attivista, l’associazione ha realizzato un importante convegno. Un’iniziativa tutta al femminile, con cui si è ricordato l’esempio di Felicia ma anche di altre “donne di resistenza”, a partire dalle Partigiane che hanno reso possibile, con il loro apporto, la Resistenza al nazifascismo e al patriarcato. A moderare il convegno, inserito in una tre giorni di iniziative dedicate a Felicia Impastato, è stata proprio Luisa che quel 7 dicembre 2004, giorno in cui la nonna spirò circondata dai suoi cari, non aveva neppure 18 anni. “Nonna se n’è andata quando ancora probabilmente avevo ancora bisogno della sua presenza”, ha ricordato Luisa Impastato ancora emozionata dal monologo di Paolo Chirico (“Iu lu sapeva ca mi l’ammazzavanu, a Giuseppi”) letto poco prima. La nipote di Peppino Impastato non era ancora nata quando lo zio morì, ma il suo esempio, le sue mille battaglie, le sono state trasmesse dal padre Giovanni e dalla nonna Felicia. “Mi è stato trasmesso tanto, non solo i ricordi di Peppino. E mi hanno permesso di sentirlo recente”. Un’eredità culturale e di lotta che la giovane ha accolto facendola sua, contribuendo così nel cammino contro la mafia - quei famosi “cento passi” del film di Marco Tullio Giordana - avviato dal coraggioso Peppino. A parlare c’è anche la mamma di Luisa, che di nome fa sempre Felicia (per tutti “Felicetta”), di recente uscita per Navarra Editore con il libro “Da Felicia a Felicia. In ricordo di Peppino Impastato”. “Ho convissuto con Felicia tantissimi anni. Quest’anno sono vent’anni dalla sua morte e ho sentito il bisogno di trasferire in un libro la mia esperienza con lei per mantenere sempre più viva la vita di Felicia oltre che quella di Peppino con cui ho pure convissuto negli anni ’70”. “Io - ha detto - sono la figlia che non ha mai avuto. Oltre a essere la nuora, ero l’amica”. Felicia Vitale Impastato ha quindi raccontato un aspetto importante ma spesso dimenticato della resistenza silenziosa della nuora: “Felicia non ha cominciato a fare attività antimafia dopo la morte di Peppino, ma dal momento in cui Peppino ha iniziato a fare politica”. In effetti, ha spiegato, come tante donne siciliane al tempo aveva percepito la morsa soffocante della mafia quando ancora Cosa nostra non aveva un volto. “Lei aveva avuto esperienze di mafia quando era giovane ma non aveva preso coscienza di questa realtà”. Ma a questa morsa, in gioventù, aveva provato comunque a divincolarsi come poteva. “Aveva una natura ribelle e rivoluzionaria in un contesto piccolo come Cinisi dove la cultura mafiosa la faceva da padrone”. “Aveva repulsione verso i mafiosi già da giovane”, è il ricordo di Felicia Vitale Impastato


cinisi convegno felicia bartolotta 2 


Una cosa che a me ha colpito personalmente - ha poi aggiunto - è stato quando pochi giorni dopo la morte di Peppino - quella era l’ultima settimana di campagna elettorale (Impastato era candidato alle comunali con Democrazia Proletaria, ndr) - mi fece chiamare. Era la domenica del voto, Peppino morì il martedì. Quando arrivai mi disse: “Oggi voglio fare un'ultima cosa per Peppino, mi devi portare a votare”. E io la portai. Lei con questo atteggiamento di sfida entrò nel seggio e votò per Peppino che fu votato da tutti ed eletto anche da morto”. Della forza di Felicia Bartolotta ha parlato anche Anna Puglisi, che insieme a Umberto Santino è fondatrice del Centro siciliano di documentazione “Peppino Impastato” di Palermo. Il Centro, insieme al contributo dei familiari di Peppino e dei suoi compagni, è stato fondamentale nell’ottenere le condanne dei killer di mafia e nel raggiungere la verità sul delitto rimasto un giallo per troppi anni per via dei continui depistaggi (ai quali contribuì anche l’allora generale dei Carabinieri Antonio Subranni, morto lo scorso marzo). “Felicia viene conosciuta come mamma di Peppino, invece era forte di suo, era volitiva”. Felicia, ha ricordato Anna Puglisi, era una donna resistente. “Ce ne sono state tante di donne resistenti in Sicilia, anche quando la parola mafia era soltanto nei libri e nelle scrivanie dei magistrati”. Una di queste è sicuramente Savina Pilliu (nata in Sicilia da genitori sardi), che insieme alla madre e alla sorella Maria Rosa (scomparsa nel 2021) ha combattuto in solitudine per decenni per affermare i propri diritti non abbassando mai la testa nemmeno quando alla loro porta bussavano i grandi boss di Cosa nostra (come Rosario Spatola) e i complici di questi che sguazzavano nel mondo dell’edilizia e in quello delle istituzioni palermitane. La loro battaglia legale, che ebbe al centro le loro abitazioni di piazza Leoni a Palermo (dove le due sorelle sono nate e cresciute), oggetto di interessi della mafia sin dagli anni ’80, è stata raccontata in tv e sui giornali ma ancora non è terminata. E oggi Savina si ritrova a dover pagare allo Stato soldi che lo Stato dovrebbe invece renderle dopo le cause vinte in Tribunale.


cinisi convegno felicia bartolotta 3


Partigiane della resistenza

A seguire è stato il turno di altre tre donne che hanno parlato di un’altra resistenza, quella al nazifascismo e agli imperialismi. Lotte che si assemblano e si completano perfettamente con la lotta antimafia, per una resistenza internazionale che attraversa vite e confini come di mostra l’esempio di Peppino Impastato. La prima di queste donne è Maysoon Majidi, recentemente scarcerata su disposizione del Tribunale di Crotone dopo essere stata arrestata con l'accusa di essere una scafista. Maysoon Majidi, attivista e regista curdo - iraniana che si batte per il rispetto dei diritti umani, non ha potuto partecipare al convegno ma ha lasciato comunque un messaggio al pubblico di “Casa Felicia” in memoria di Felicia e di Peppino. La parola è poi passata a Cristina Franceschi che ha narrato la vicenda di sua madre Lydia Buticchi, che fu una staffetta partigiana, ma che è stata anche una madre che, come Felicia, ha combattuto per dare giustizia al figlio Roberto Franceschi, studente del secondo anno della facoltà di Economia e Commercio della Bocconi a Milano, appassionato di politica, ucciso il 23 Gennaio del 1973 davanti l’ateneo da un proiettile della polizia, durante gli scontri tra studenti e forze dell’ordine. “Peppino fa parte della mia generazione”, ha detto. “Io l’ho vissuto direttamente e ho scoperto come la storia di Roberto sia stata vissuta dai compagini di Peppino. E poi ho scoperto la storia di Felicia che si sovrapponeva a quella di Lydia”. Ultimamente, Cristina Franceschi, insieme ai volontari della sua Fondazione Roberto Franceschi Onlus, sta raccogliendo in tutta Italia drappi, tessuti e lembi di vestiti appartenuti ad alcuni dei “resistenti” della nostra storia. Tessuti che andranno intrecciati al Montgomery appartenuto a Roberto e che, insieme agli altri (per esempio ai pantaloni di Gino Strada o alla bandiera anarchica di Pino Pinelli) andrà a formare un tappeto che darà corpo all'ombra del Monumento dedicato a quest’ultimo. Uno di questi tessuti è un lembo della divisa di Peppino, regalato da Luisa alla sorella di Roberto Franceschi. Con l’iniziativa si vuole fare memoria legando assieme le vite e le storie di chi ha combattuto per la giustizia e la libertà in ogni campo e in ogni luogo. La serata si è poi conclusa con l’emozionante reading di teatro e musica di Laura Margherita Di Marco (accompagnata dal violino di Ludovica Trimarelli e dalla chitarra di Valerio Valeri con brani originali), dal titolo “Chiamateci partigiane” sulla storia di alcune delle migliaia di staffette che da Nord a Sud hanno combattuto contro il nazifascismo. Una pièce teatrale per ricordare le partigiane cadute e per ricordarci quanto il loro sacrificio fu essenziale e protagonista nella resistenza partigiana.

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