Anche lui ritenuto un “detenuto modello”. I familiari di vittime di mafia insorgono: “Brutto segnale!”
"Tana libera tutti?" È questa la domanda sarcastica - anche se di sarcastico non c'è nulla - che viene da porsi in seguito all'ennesima scarcerazione di un boss mafioso. Dopo Franco Bonura, Michele Micalizzi, Gaetano Savoca, Giuseppe Fidanzati e Vito Roberto Palazzolo, ma anche Paolo Alfano e Raffaele Galatoloall'album dei "detenuti modello" si aggiunge anche il nome di Ignazio Pullarà, l'ex boss di Santa Maria di Gesù fedelissimo di Riina, nonché custode di segreti di altissimo livello. È un condannato per mafia e omicidio. A dare la notizia è Repubblica.
Il giudice di sorveglianza di Cuneo gli ha concesso 15 giorni a casa. Negli anni '70, lui e il fratello Giovanbattista erano fedelissimi prima di Stefano Bontate e, dopo averlo tradito, andarono dietro le fila dei corleonesi. A differenza di Giovanni Formoso, per esempio - anche lui tornato in semilibertà perché ritenuto "detenuto modello" -, Pullarà non è un boss stragista. Ad ogni modo, però, custodisce importanti segreti che legano Cosa nostra a Marcello Dell’Utri, già condannato a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa (pena scontata).
Nella sentenza definitiva che ha condannato l’ex senatore di Forza Italia si parla proprio di Ignazio Pullarà. A citarlo, ricorda Salvo Palazzolo su Repubblica, è il collaboratore di giustizia Francesco Scrima, uomo d’onore della famiglia di Porta Nuova: "Nel periodo in cui era stato in carcere con Vittorio Mangano, fra il 1988 e il 1989 — scrive la Corte d’appello del processo Dell’Utri —. Mangano gli aveva manifestato il proprio risentimento per il fatto che Ignazio Pullarà, durante la sua reggenza di Santa Maria di Gesù, dunque dopo la morte di Bontate, si era appropriato del denaro proveniente da Berlusconi, secondo Mangano spettava a lui”.
Il denaro che per la Corte di Cassazione Berlusconi avrebbe pagato ai mafiosi (dal 1974 al 1992) come protezione, prima per evitare il rischio di sequestri di persona a Milano, poi per tutelare i ripetitori Tv a Palermo, protezione raggiunta con la mediazione di Dell’Utri. Vittorio Mangano, lo stalliere di Arcore, si lamentò con un compagno di cosca che, dopo il suo arresto nel 1980, non ricevette più i pagamenti di Berlusconi, che furono invece destinati ai fratelli Pullarà, subentrati alla guida del mandamento di Santa Maria di Gesù dopo la morte di Bontate.
Immediata, la reazione di molti familiari di vittime innocenti di mafia. "Questa mattina, davanti alla tomba di mio fratello Claudio, ucciso con Paolo Borsellino e gli altri compagni della scorta, ho sussurrato: 'Ma ne è valsa la pena? Vi chiamano eroi. Per chi? Per cosa?' - ha detto Luciano Traina -. Per una vita sono stato poliziotto e conosco questa gente. I mafiosi non cambiano, anzi quando tornano in libertà fanno di tutto per riorganizzarsi". Gli fa eco Salvatore Borsellino, il fratello del giudice Paolo, che dal Senato nei giorni scorsi ha lanciato un grido d’allarme: "In questa stagione si stanno cancellando dei capisaldi della lotta alla mafia, come il sistema dei collaboratori di giustizia; i pentiti vengono delegittimati e si trovano a vivere grandi difficoltà nella loro nuova vita sotto protezione". "Si sta anche cercando di riscrivere la storia — ha detto —. Si deve invece continuare a cercare la verità sulle stragi in Italia seguendo il filo dell’eversione nera. Ritengo ad esempio un errore concentrarsi esclusivamente sul rapporto mafia e appalti per arrivare all’accelerazione della strage di via d’Amelio".
"La società civile deve restare attenta a tutto ciò che accade. Non possiamo permetterci cali di attenzione nella lotta alla mafia, e neanche pericolose sottovalutazioni. I mafiosi ergastolani che stanno tornando in permesso premio conservano segreti pesanti, ecco perché è un brutto segnale la loro liberazione", ha detto Nino Morana Agostino. Non era ancora nato quando il 5 agosto 1989 Cosa nostra - e non solo - uccise suo zio Nino, un agente del Commissariato San Lorenzo di Palermo, assieme alla moglie Ida Castelluccio (incinta). Non un poliziotto qualsiasi, ma un cacciatore di latitanti.
Suo nipote è un ragazzo giovanissimo. Ha il suo stesso nome e da poco si è laureato. Nonostante la giovane età, però, da anni porta avanti la memoria dello zio. Prima accompagnando i nonni - Vincenzo Agostino e Augusta Schiera – in tutta Italia. E ora che entrambi sono passati a miglior vita, lo fa da solo. Testimoniando anche l’impegno e la dedizione con cui due monumenti dell’antimafia come Vincenzo e Augusta hanno cercato verità e giustizia sul duplice delitto che si è consumato quel terribile 05 agosto 1989 sul lungomare di Villagrazia di Carini.
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