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In questa intervista esclusiva per ANTIMAFIADuemila, l’avvocato Fabio Repici discute il complesso caso dell’omicidio del giovane medico Attilio Manca e le connessioni con la latitanza e le cure mediche di Bernardo Provenzano, storico capo di Cosa nostra.

Avvocato Fabio Repici, grazie ancora per il suo tempo e per il suo grandissimo impegno a favore della ricerca della verità sull'omicidio di Attilio Manca. Lei ha detto di aver consegnato alla Procura di Roma una documentazione che attesta che Bernardo Provenzano stava per morire. Ci può approfondire questo aspetto?
Gli elementi decisivi nella ricostruzione dei problemi di salute patiti da Bernardo Provenzano fra il 2003 e il 2004 fanno riferimento prima alla diagnosi che gli venne fatta del tumore alla prostata, definitivamente accertata a luglio del 2003 in una clinica privata, in un presidio sanitario privato de La Ciotat in Provenza. Abbiamo dimostrato alla Procura di Roma, con la documentazione che abbiamo portato, che proprio due settimane prima Attilio Manca era stato nel dipartimento della Provenza e aveva avuto contatti con urologi di quella regione. C'è una coincidenza temporale, pressoché assoluta, fra questa presenza in quei luoghi di Attilio Manca e l'avvio del procedimento presso gli organi sanitari di Palermo per l'autorizzazione delle spese sanitarie per la trasferta in Provenza per Gaspare Troia, la persona la cui identità era utilizzata da Bernardo Provenzano. C’è una coincidenza assoluta. La domanda a cui la magistratura palermitana, che si era occupata della latitanza di Provenzano (operazione Grande Mandamento) e anche nei successivi processi, non aveva saputo dare risposta era: quali garanzie circa l’efficienza delle strutture sanitarie a cui veniva affidata la vita di Bernardo Provenzano avevano coloro che gestivano la latitanza di Provenzano? Si sapeva che era stato accompagnato a La Ciotat a luglio del 2003 e poi a ottobre del 2003 in un'altra clinica privata di Aubagne, sempre in Provenza. Mai nessuno ha avuto la curiosità di capire come mai si fosse arrivati in quella regione, dove potevano esserci appoggi logistici per la custodia di Provenzano. C'era il problema serio che riguardava la vita di Provenzano. Quali erano le garanzie che quelle strutture potessero dare a Provenzano in termini di efficienza e scientificità per la soluzione di un problema che non era esattamente lieve. Peraltro, e questo è un ulteriore dato ormai comprovato, a distanza dall’intervento chirurgico per l’asportazione del tumore alla prostata cui fu sottoposto Bernardo Provenzano negli ultimi giorni di ottobre 2003, da quel momento in poi, ogni tre mesi a Provenzano doveva essere somministrato un farmaco particolarmente difficile da reperire, anche perché di notevole costo. Poiché il reperimento richiedeva prescrizione medica, naturalmente comportava per i custodi di Provenzano delle difficoltà. Ci fu un momento, proprio alla prima scadenza trimestrale, e questo è stato testimoniato dal collaboratore di giustizia Stefano Lo Verso, in cui Bernardo Provenzano e i suoi custodi non riuscirono a reperire il farmaco, che era un farmaco salvavita, e le condizioni di salute di Provenzano declinarono rapidamente, temendo proprio per la sua vita. I tre mesi dal 29 ottobre, cioè dalla data dell’intervento chirurgico ad Aubagne, scadevano il 29 gennaio 2004. Come si vede, c’è una coincidenza temporale anche in questo caso con gli ultimi giorni e le ultime settimane di vita di Attilio Manca, proprio nelle settimane in cui, a partire dai giorni intorno a Capodanno, Attilio Manca aveva manifestato a persone a lui vicine timori per la propria incolumità, derivanti proprio dalla sua professione di medico.

Attilio aveva manifestato delle significative preoccupazioni. Tuttavia, alla famiglia, da quello che possiamo evincere, mandò dei segnali criptici, come se volesse proteggere la famiglia da eventuali ritorsioni che si sarebbero potute abbattere su di loro. Lei conviene con questo?
Senz’altro sì. Attilio Manca ovviamente aveva una consapevolezza dei pericoli ben superiore a quella che ebbero i suoi genitori, del tutto all'oscuro. Attilio Manca, plausibilmente, quando venne contattato da persone a lui vicine, delle quali ritenne non ci fossero ragioni di sospetto, per la cura di una persona anziana, raccolse informazioni e contattò strutture sanitarie in Provenza, cercando ogni informazione utile. È ben ragionevole pensare che non gli fu confidato che il beneficiario di quelle attenzioni fosse Bernardo Provenzano, il più grosso ricercato del mondo in quel momento. A un certo punto Attilio Manca dovette evidentemente realizzare di essere stato attirato in una trappola senza via d’uscita. Poiché la latitanza di Bernardo Provenzano non era solo affare di mafia e non era responsabilità di mafiosi che non avevano nulla da perdere, ma un affare di Stato, con il coinvolgimento di strutture istituzionali e apparati dello Stato, la cui pericolosità è perfino superiore a quella di Cosa Nostra, è a quei coinvolgimenti che bisogna ricondurre la necessità di eliminare una persona come Attilio Manca, divenuto scomodo testimone. Nel rapporto con i suoi genitori, Attilio Manca ebbe un approccio di tutela, cercando di impedire qualunque coinvolgimento nel pericolo. Tuttavia, poiché egli il pericolo lo percepiva seriamente, provò a lasciare, come Pollicino, delle molliche come segnali da poter essere raccolti. Così si spiega la telefonata di fine gennaio, nella quale riferì ai suoi genitori di essere stato contattato dal cugino Ugo Manca per prestare consulenze sanitarie al mafioso Angelo Porcino, che per questo motivo sarebbe andato a trovarlo a Viterbo. Il fatto che Attilio Manca chiese ai genitori se sapessero chi fosse questo Angelo Porcino è significativo, perché i suoi genitori, non avendo mai avuto necessità di fare analisi criminologiche della società barcellonese, non lo conoscevano. Infatti, il papà gli disse di conoscerlo solo di nome, essendo un commerciante. Ma Attilio Manca, a causa dei rapporti con il cugino Ugo Manca, aveva confidato alla madre sospetti sul ruolo criminale di quest’ultimo, parlando addirittura di depositi di denaro illeciti custoditi in Svizzera. Evidentemente Attilio voleva lasciare traccia del fatto che qualcuno lo aveva messo in contatto con Angelo Porcino e che Porcino probabilmente sarebbe andato a trovarlo. Stiamo parlando del 30-31 gennaio 2004, e il cadavere di Attilio Manca è stato trovato il 12 febbraio. Aggiungo un dato: Angelo Porcino non è solo un mafioso certificato da sentenza irrevocabile, ma un mafioso “anfibio,” cioè un soggetto che, oltre ad avere rapporti criminali per il suo rango di alto mafioso, aveva legami con ambienti istituzionali deviati, essendo vicino al boss Rosario Cattafi. Già solo questo avrebbe meritato riflessioni, che fino a un anno e mezzo fa l'autorità giudiziaria non aveva compiuto. Inoltre, nella denuncia con la quale un anno e mezzo fa abbiamo richiesto la riapertura delle indagini sull’omicidio di Attilio Manca, abbiamo segnalato un ultimo elemento: l’ultima telefonata tra la signora Manca e suo figlio l'11 febbraio 2004. Solo un pazzo potrebbe credere che la signora Manca faccia confusione sulla data in cui per l'ultima volta sentì la voce del figlio. Quella telefonata avvenne l’11 febbraio, e di essa non c'è traccia nei tabulati telefonici acquisiti dalle compagnie. In ambienti parlamentari e alla Commissione Antimafia si dovrebbe riflettere, tanto più ora che si è compreso come gli elementi di conoscenza più delicati siano soggetti a manipolazioni e occultamenti. In quel periodo, in cui erano responsabili dei dati telefonici personaggi come Tavaroli e altri della sua cerchia, vogliamo forse chiederci quale possa essere stato l’effetto? Penso che se si pone questa domanda, si trova risposta alla scomparsa di quella telefonata dai tabulati telefonici di Attilio Manca e della sua famiglia.

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