La Procura di Catania ha chiesto al gip l'archiviazione dell'inchiesta per abuso d'ufficio e rivelazione del segreto d'ufficio in cui sono indagati sette magistrati, cinque per il loro servizio nella Procura di Caltanissetta e due in qualità di applicati della Direzione nazionale antimafia, e due giornaliste del quotidiano 'La Sicilia', Laura Distefano e Laura Mendola. I Pm sono Matteo Campagnaro, Nadia Caruso, Salvatore De Luca, Francesco Delbene, Domenico Gozzo, Gabriele Paci e Pasquale Pacifico.
Il fascicolo era stato aperto a Catania, per competenza territoriale, dopo la denuncia dell’ex collaboratore di giustizia Maurizio Avola, assistito dal suo legale di fiducia, l'avvocato Ugo Colonna.
Secondo la denuncia i pubblici ministeri, ritenendo false le dichiarazioni di Avola, lo avrebbero iscritto nel registro degli indagati assieme al suo legale, nei cui confronti il gip avrebbe autorizzato una richiesta di intercettazione, "in modo del tutto strumentale e in assenza dei presupposti di legge".
Inoltre, si sosteneva nell'esposto, i Pm avrebbero interrogato come testimoni, nonostante fossero già indagati i giornalisti Michele Santoro e Guido Ruotolo, autori di un libro tratto dalle dichiarazioni di Avola, che per i magistrati Nisseni non erano riscontrate.
Ma la procura di Catania le pensa diversamente: "In definitiva volendo trarre le conclusioni degli elementi sin qui esposti, si ritiene che le ipotesi di reato astrattamente configurabili nei fatti come accertati non appaiono indiscutibilmente fondate in diritto, né, tanto meno, provate in fatto. E l'abuso d'ufficio è stato abrogato nelle more del procedimento".
In un altro passaggio si legge comunque che l'iscrizione nel registro degli indagati dell'avvocato Ugo Colonna da parte della Procura di Caltanissetta "non appare indiscutibilmente fondata in diritto, potendo dubitarsi della sussistenza di una valida notizia di reato, richiesta dalla normativa vigente pro tempore, per l'annotazione del nome della persona cui il reato è attribuito nel registro delle notizie di reato". Inoltre, osserva la Procura di Catania, "vale la pena di sottolineare che nella nota della Dia" sul penalista "non appare nemmeno ipotizzata l'identità dei soggetti con cui Colonna avrebbe concorso nel delitto". E la condotta contestata a Colonna per un suo "intervento per la concessione di un mutuo a persona di interesse di Maurizio Avola (collaboratore di giustizia assistito dal penalista, ndr) e per risolvere suoi problemi lavorativi" è stata acquisita "al momento della iscrizione sulla base di una informazione confidenziale, e dunque processualmente inutilizzabile". "Ma ciò non basta", rileva la Procura di Catania, perché "in tema di iscrizione nel registro delle notizie di reato, il potere conferito ai magistrati è ampiamente discrezionale" e "la scelta in ordine al come svolgere le indagini e se esercitare l'azione penale è caratterizzata da un margine di discrezionalità talmente ampio da risultare anche concretamente quasi insindacabile". E, scrive la Procura nel motivare la richiesta di archiviazione, "nel caso di specie difetta" il requisito "costituito dalla violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge dalle quali non residuino margini di discrezionalità" come "motivi politici, di rancore o antipatia personale, volontà di acquisire visibilità...". E "non risulta che i pubblici ufficiali indagati siano o siano stati legati in qualche modo da speciali rapporti di inimicizia o avversione che possano aver determinato tali decisioni; né vi sono elementi da cui emerga un accordo dei predetti pubblici ufficiali per il perseguimento deliberato di un ingiusto danno al denunciante e al suo assistito".
La notizia della richiesta di archiviazione per i sette magistrati e le due giornaliste è stata confermata all'Ansa dall'avvocato Ugo Colonna che ha annunciato che non ci sarà opposizione per la posizione delle due croniste, indagate per rivelazione mentre per i sette magistrati non è possibile presentarla perché il reato di abuso d'ufficio è stato abrogato.
Al centro di tutto vi sono le indagini che i magistrati di Caltanissetta avevano condotto per accertare la veridicità delle dichiarazioni con le quali Avola, sicario della 'famiglia' Santapaola, si era autoaccusato della partecipazione materiale alla strage del 19 luglio 1992, sia il giorno dell'attentato che quello precedente, nella fase di preparazione dell'esplosivo poi utilizzato per compiere l'eccidio, denunciando anche il coinvolgimento di storici capimafia etnei, come Benedetto 'Nitto' Santapaola, suo nipote Aldo Ercolano, e uno dei suoi luogotenenti più fidati, Marcello D'Agata.
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Caso Avola: la Procura di Catania chiede l'archiviazione per magistrati e croniste
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