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Il 25 settembre 1979 il giudice viene ucciso insieme al maresciallo Mancuso dagli uomini di Liggio. Il boss voleva impedire il suo ritorno in toga

Quarantacinque anni fa veniva assassinato a Palermo il magistrato Cesare Terranova e il maresciallo Lenin Mancuso, suo fidato collaboratore dal 1963. Un delitto avvenuto a soli due mesi dall’omicidio del super poliziotto Boris Giuliano, figura determinante nella lotta alla mafia, proprio come Terranova. Entrato in magistratura giovanissimo, svolgendo le funzioni di pretore di Messina, nel 1958 Terranova, nato a Petralia Sottana, in provincia di Palermo, è giudice istruttore al Tribunale di Patti e si occupa di numerosi processi a famiglie mafiose.
Sulla sua scrivania lavora alle prime indagini di mafia sui fratelli La Barbera, la famiglia Rimi di Alcamo e personaggi del “sacco di Palermo”. Inchieste che lo portano a comprendere, e perseguire, l’evoluzione della mafia in organizzazione dedita agli affari edili e imprenditoriali. Un business reso possibile grazie all’aiuto di faccendieri e politici.
Non a caso, occupandosi della strage di via Lazio, avvenuta a Palermo il 10 dicembre 1969, chiarisce il dato che la nuova mafia fosse impersonata da amministratori comunali.
Responsabili di quella strage erano stati i corleonesi, e proprio contro Luciano Liggio e Totò Riina ha imbastito importanti processi come quello di Catanzaro, nel 1968, e quello di Bari nel 1969. Liggio & company saranno assolti per “insufficienza di prove”, ma in quella sconfitta giudiziaria Terranova riesce comunque a dimostrare l’ascesa al potere dei corleonesi. Aspetto fondamentale per l’epoca. Liggio viene portato nuovamente a processo e condannato all’ergastolo per avere ucciso il boss corleonese, Michele Navarra. Il lavoro di Terranova apre le strade alla nuova antimafia in un momento storico in cui non esiste ancora l’art. 416 bis e altri reati fondamentali per la lotta alla mafia. Dopo aver ampliato la propria conoscenza in materia di mafia appende la toga al chiodo (ma solo momentaneamente) per scendere in politica, diventando parlamentare per due legislature tra i banchi della Camera dei Deputati come “indipendente di sinistra” nelle file del PCI oltre a venire eletto come membro della Commissione Antimafia insieme a Pio La Torre. Insieme al segretario siciliano del Partito Comunista è relatore della relazione di minoranza sul fenomeno mafioso. Dopo la parentesi parlamentare, sente di voler tornare a indossare la toga. E nell’estate del 1979 diventa Consigliere presso la Corte di appello di Palermo, una carica provvisoria e propedeutica che doveva servire per ottenere la nomina a capo dell'ufficio Istruzione. Il sogno nel cassetto di Terranova viene però spezzato alle 8.30 del 25 settembre dello stesso anno. Quella mattina il suo amico e agente di scorta di fiducia Lenin Mancuso viene a prenderlo sotto casa per accompagnarlo alla Corte d’Appello di Palermo. Il magistrato passa sul lato del guidatore e si mette alla guida. Poche decine di metri e all’incrocio tra Via Rutelli e via De Amicis si trova la strada sbarrata. Il tempo di ingranare la retromarcia e la vettura, una Fiat 131, viene affiancata da alcuni killer che, con armi di grosso calibro, aprono il fuoco. Terranova muore sul colpo con un colpo che gli trapassa il collo. Un’esecuzione in piena regola. Inutile il tentativo del poliziotto Lenin Mancuso di fargli da scudo con il corpo. Anche lui muore ma dopo alcune ore in ospedale.
Al movente dell’omicidio del giudice Terranova e dell’agente di scorta si è giunti grazie alle prime dichiarazioni di collaboratori di giustizia come Tommaso Buscetta che, in un interrogatorio davanti a Giovanni Falcone, racconta che Liggio è il mandante dell’agguato per vendicarsi dell’ergastolo che il giudice gli aveva inflitto nel 1975. Tesi confermata anche dal pentito Francesco Di Carlo, secondo cui il boss corleonese è il mandante e Leoluca Bagarella, Giuseppe Madonia, Giuseppe Gambino e Vincenzo Puccio gli esecutori. In realtà, però, dietro l’omicidio del magistrato c’è ben altro. Non si tratta di semplice vendetta mafiosa. L’assassinio di Terranova è un assassinio preventivo di Cosa Nostra, necessario per stroncare sul nascere il lavoro che il magistrato avrebbe potuto svolgere contro le collusioni tra mafia, politica ed imprenditoria nella città una volta a Capo dell’Ufficio Istruzione di Palermo. Terranova aveva capito che “una delle forze del mafioso consiste nel rapporto con il politico”. Le prove generali della strategia stragista, la Cosa Nostra terroristica le comincia proprio eliminando Terranova. A Palermo si susseguono una sequela di delitti eccellenti, tra magistrati, politici, prefetti, poliziotti e carabinieri. Nell’arco di quattro anni cadono figure determinanti della Palermo sana del tempo come Piersanti Mattarella, Emanuele Basile, Gaetano Costa, Pio La Torre, Carlo Alberto Dalla Chiesa, e Rocco Chinnici. Personaggi scomodi abbattuti prima che potessero raggiungere determinate posizioni di comando, o fermati con il piombo per le rivoluzioni professionali o investigative di cui sono stati promotori nei loro uffici.

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