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Il magistrato: “Le indagini rilevarono circostanze che sollevavano dubbi sull'operato di alcuni pezzi dello Stato”

"La pista investigativa che portava ad un patto scellerato fra pezzi della politica e dello Stato con cosa nostra non è stata mai percorsa fino in fondo e chi si è occupato di quel caso si è trovato davanti un muro di omertà”. A dirlo, alla vigilia dell’anniversario del delitto del generale Carlo Alberto dalla Chiesa, è il Procuratore generale di Cagliari Luigi Patronaggio. Il generale dalla Chiesa, investito della carica di prefetto di Palermo dal governo Spadolini per sconfiggere la mafia, fu assassinato da Cosa nostra a soli 100 giorni dal suo arrivo nel capoluogo siciliano. A 42 anni dall’agguato in cui morì assieme alla moglie Emanuela Setti Carraro e l’agente Domenico Russo in via Isidoro Carini, restano ancora misteri irrisolti.
"Premesso che per l'omicidio Dalla Chiesa sono stati condannati con sentenza definitiva sia la Cupola di cosa nostra che gli esecutori materiali del delitto, è tuttavia noto che già subito dopo l'omicidio la gente comune aveva capito che l'omicidio era scaturito anche dall'isolamento politico del Generale e dalla ostilità, neppure tanto celata, di alcuni ambienti andreottiani e da taluni dei politici siciliani legati a quella corrente”, ricorda Patronaggio intervistato da Italpress. “Non a caso tutti i politici presenti ai funerali di dalla Chiesa furono fischiati ad eccezione del Presidente Pertini. Le indagini, svolte con molte difficoltà, rilevarono peraltro circostanze che sollevavano dubbi sull'operato di alcuni pezzi dello Stato, a partire dalla sparizione dei documenti di dalla Chiesa conservati nella sua cassaforte. Tra le ipotesi investigative si affermò una pista che collegava l'omicidio Dalla Chiesa al rapimento di Aldo Moro e all'omicidio del giornalista Pecorelli. Si ipotizzò quindi che cosa nostra avesse eseguito l'omicidio del Generale per fare un "favore" ad una parte del mondo politico e riceverne in cambio protezione. Tale ipotesi investigativa, mai confermata dalle varie sentenze succedutesi nel tempo, ha più di recente trovato sorprendenti conferme in alcune dichiarazioni di pentiti e da intercettazioni ambientali".
L’omicidio dalla Chiesa è solo uno dei numerosi delitti che vedono la ricerca della verità infrangersi su un muro di gomma per via delle trame che questi celano e che coinvolgono mafia e politica. “Purtroppo dobbiamo prendere dolorosamente coscienza che negli anni passati pezzi dello Stato hanno dialogato con Cosa Nostra e finché non facciamo i conti con questa triste realtà non possiamo guardare con fiducia il futuro perché distorsioni istituzionali possono ancora verificarsi e il cittadino deve sempre potersi fidare delle Istituzioni”, afferma Patronaggio. “Ne va della tenuta democratica del nostro Stato". “Se pezzi delle Istituzioni hanno mestato nel torbido - aggiunge il magistrato - lo hanno fatto con grande criminale professionalità e disposti ad eliminare ogni traccia, forti del loro potere e delle loro trasversali alleanze. La voglia poi di disfarsi da tali imbarazzanti dubbi sulla fedeltà alla Repubblica di alcuni pezzi delle Istituzioni ha fatto il resto attraverso una operazione di rimozione collettiva". Oggi, riflette l’ex procuratore di Agrigento con un lungo passato di lotta a Cosa nostra in Sicilia, "penso che è trascorso troppo tempo per potere svolgere ancora indagini di polizia giudiziaria”. Tuttavia, Patronaggio ritiene “che è forse maturo il tempo per una riflessione storico-politica affidata ad una onesta ed imparziale Commissione parlamentare di inchiesta sui rapporti fra pezzi deviati dello Stato, mafia ed eversione dell'ordine democratico. Purtroppo le attuali contrapposizioni politiche non agevolano un lavoro indipendente di tal fatta e di cui si sente assolutamente bisogno per fare i conti con la nostra storia passata e guardare con fiducia al futuro delle nostre Istituzioni".

Foto © Davide de Bari 

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