Arrestati il boss Micalizzi e l’imprenditore Mancuso, noto per il marchio Brioscià. Contestati reati di estorsione e bancarotta

Un’importante indagine del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria, coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo, ha portato alla luce l'infiltrazione della mafia nel settore apparentemente innocuo del gelato artigianale. In particolare, l'operazione della DDA e delle Fiamme Gialle ha rivelato il controllo esercitato dalla mafia su una delle catene più conosciute del capoluogo siciliano: Brioscià. A giocare un ruolo cruciale nella gestione della società Magi Srl, che possedeva appunto il marchio Brioscià, era il boss Michele Micalizzi, una figura centrale del mandamento mafioso di Partanna Mondello. Micalizzi, pur non investendo direttamente denaro, era coinvolto nelle decisioni aziendali e nella risoluzione di eventuali conflitti interni attraverso metodi mafiosi, come intimidazioni e minacce. Le indagini hanno dimostrato come il boss ricevesse una parte dei profitti realizzati dall'azienda in cambio di protezione, messa in pratica attraverso la sua posizione di potere e di controllo mafioso. Coinvolto nelle indagini anche l'imprenditore Mario Mancuso, il creatore del marchio Brioscià, che si è avvalso della collaborazione e dell'influenza del boss Micalizzi per espandere il proprio business, superare la concorrenza e - come ha riportato “Adnkronos” - ottenere “la protezione necessaria rispetto a richieste estorsive avanzate da altri esponenti mafiosi”. Nonostante le gelaterie di via Emerico Amari e di via Pipitone Federico fossero sempre molto frequentate e redditizie, la gestione mafiosa, caratterizzata da spese inutili e assunzioni forzate, ha portato al fallimento della società nel 2021. Il fallimento è stato inoltre causato da uscite di denaro ingiustificate, in particolare per il sostentamento delle famiglie dei mafiosi detenuti.
La procura guidata da Maurizio de Lucia ha chiesto e ottenuto un nuovo provvedimento di arresto nei confronti di Micalizzi. Mancuso è stato incarcerato, con accuse che comprendono concorso esterno in associazione mafiosa, bancarotta ed estorsione. Anche Micalizzi è accusato di bancarotta ed estorsione. Tra gli episodi di estorsione, ci sarebbe anche quello relativo a un dipendente della gelateria che voleva lasciare il lavoro e ricevere il trattamento economico di fine rapporto lavorativo. Tuttavia, quando il dipendente ha cercato di farlo, è stato minacciato, molto probabilmente per impedirgli di ricevere il denaro dovuto e costringerlo a rimanere in silenzio. Dopo il fallimento di Brioscià, Mancuso ha continuato la sua attività con altre due società, una delle quali gestisce il marchio di gelaterie Sharbat, che - come ha reso noto Repubblica - non è oggetto di indagine. Tuttavia, l'inchiesta sulla gestione di Brioscià ha portato al sequestro di beni per un valore di un milione e mezzo di euro: “La somma di denaro fuoriuscita senza giustificazione dalla cassa della Magi. Questa operazione - hanno spiegato le Fiamme Gialle di Palermo - testimonia l'impegno profuso dalla Guardia di Finanza per contrastare ogni possibile tentativo di infiltrazione mafiosa nel tessuto economico-produttivo, nell'ottica di garantire al mercato le necessarie condizioni di legalità e competitività”.


Mafia e imprenditoria: la zona grigia di Palermo

La vicenda ha messo in luce come la mafia riesca a controllare, oltre ai settori illegali, anche quelli legali, dimostrando metodo, resilienza e capacità di adattamento. Nonostante le difficoltà economiche generali, il settore del gelato artigianale è riuscito a rispondere alle sfide del mercato, intercettando una significativa fetta di consumatori che preferisce prodotti artigianali a quelli industriali. La mafia, ancora una volta, ha dimostrato di saper comprendere queste dinamiche, cercando di prosperare nel lungo periodo anche attraverso i canali economici “tradizionali”, in questo caso rappresentati dalle connessioni con alcuni settori dell'imprenditoria palermitana. Infatti, l'inchiesta ha evidenziato come mafia e imprenditoria riescano a mescolarsi, dando vita a una vera e propria “zona grigia”, con conseguenze negative, talvolta anche gravi, per l'economia locale e l'imprenditoria onesta.
Per quanto riguarda il boss Micalizzi e l'imprenditore Mancuso, i due sarebbero coinvolti in un altro affare. Nel 2019, Micalizzi è stato coinvolto nelle trattative per l'acquisto di una gelateria chiamata “Gelato 2” in via Alcide De Gasperi, agendo come rappresentante della Magi. L'accordo prevedeva il pagamento di 75 mila euro, parte dei quali doveva essere destinata a scopi illeciti. Anche un altro boss mafioso, Salvo Genova, capo del mandamento di Resuttana, è stato coinvolto nell'affare, stabilendo il prezzo e supervisionando l'operazione. Tuttavia, l'acquisto non è mai avvenuto poiché la Magi è stata dichiarata fallita. Questo fallimento è stato attribuito a una cattiva gestione finanziaria, che ha causato un buco di quattro milioni di euro dovuto al mancato pagamento dei contributi ai dipendenti e a contrasti interni alla società.


La storia del boss Michele Micalizzi

Genero del capomafia Rosario Riccobono, Micalizzi, 75 anni, nel 1982 venne condannato a morte da Totò Riina. Il boss riuscì a sfuggire all'attentato voluto dal capo dei capi, ma molti dei suoi familiari furono uccisi. Successivamente, dopo essere fuggito da Palermo, Micalizzi venne arrestato per omicidio e condannato a 20 anni e otto mesi di carcere. Con la morte di Riina nel 2017 e il cambiamento della scena mafiosa palermitana, Micalizzi riuscì gradualmente a tornare a Palermo e a ristabilire la sua influenza. Nonostante l'età, il boss riprese il controllo di alcune attività economiche e iniziò a pianificare nuovi investimenti, come l'apertura di un Hard Rock Café a Mondello, una zona costiera di Palermo. Sebbene Micalizzi fosse noto per il suo coinvolgimento in traffici di droga, aveva anche accesso a un patrimonio familiare considerevole. Nel 2008, lo Stato italiano fu costretto a restituire alla famiglia di Micalizzi alcuni beni, tra cui la società “Magis”, che gestisce immobili per un valore di dieci milioni di euro a Palermo. Questa restituzione avvenne a causa di un cavillo legale: il tribunale di Palermo scoprì che non era stata applicata una misura di prevenzione personale al suocero Rosario Riccobono.

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