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A 32 anni di distanza dalla morte della “settima vittima” di via d’Amelio, si cercano ancora le cause della morte

Sono passati 32 anni da quando la giovane Rita Atria decise di togliersi la vita. Appena una settimana prima, la strage di via d’Amelio le tolse ciò che aveva di più caro: Paolo Borsellino, una figura paterna per lei. Dentro di lei si creò una voragine incolmabile che, il 26 luglio ’92, a soli diciassettenne, la portò all’estrema azione. Questo legame ha fatto si che “la picciridda” venisse considerata la settima vittima di via d’Amelio.

Colma di dolore aveva scritto sul suo diario parole strazianti: "Ora che è morto Borsellino, nessuno può capire che vuoto ha lasciato nella mia vita. Tutti hanno paura ma io l'unica cosa di cui ho paura è che lo Stato mafioso vincerà e quei poveri scemi che combattono contro i mulini a vento saranno uccisi. Prima di combattere la mafia devi farti un auto esame di coscienza e poi, dopo aver sconfitto la mafia dentro di te, puoi combattere la mafia che c'è nel giro dei tuoi amici, la mafia siamo noi e il nostro modo sbagliato di comportarsi. Borsellino, sei morto per ciò in cui credevi, ma io senza di te sono morta".

Rita Atria era nata a Partanna da una famiglia di stampo mafioso. Il 18 novembre 1985 suo padre venne ucciso per un regolamento di conti. Il fratello Nicola lo sostituì, ma anche lui perse la vita il 24 giugno 1991.

La tragedia familiare spinse la giovane denunciare gli assassini alle autorità, seguendo l’esempio di sua cognata, Piera Aiello. Divenne testimone di giustizia grazie all’incontro con Paolo Borsellino, all’epoca Procuratore di Marsala. Da quel momento, grazie alle testimonianze della ragazza, vennero arrestati molti personaggi legati alle cosche di Partanna, Sciacca e Marsala.

Rita svelò uno dei volti della mafia arcaica fatta di alleanze, omicidi, traffico di droga e armi. Le sue dichiarazioni provocarono un secondo terremoto nella Valle del Belice: erano arrivate a toccare anche Matteo Messina Denaro e il padre Francesco, detto “Ciccio”.


atria rita funerale shobha23

“Fimmina lingua lunga e amica degli sbirri” la chiamavano in città. Nonostante il sostegno della cognata, Rita viveva la sua scelta di esporsi e di opporsi al sistema mafioso in completa solitudine. “Rita non t’immischiare, non fare fesserie”, le aveva detto all’inizio la madre. La stessa madre che dopo la morte della figlia aveva cercato di rompere la sua lapide con un martello. "Farò della mia vita anche della spazzatura, ma lo farò perciò che io sola ritengo conveniente", aveva scritto Rita Atria nell’ultima lettera – inedita – alla sorella, Anna Maria, prima di partire per Roma, la sua ultima città.

Le circostanze della morte sono ancora da chiarire. Nei giorni scorsi, infatti, Anna Maria Atria e l’Associazione nazionale antimafie Rita Atria hanno chiesto alla Procura generale di Roma di avocare le indagini relative al decesso della giovane testimone di giustizia.

L'atto è stato depositato dall'avvocato Goffredo D'Antona, del foro di Catania, "dopo - ricorda l'associazione - due anni di silenzio, nonostante un esposto e due integrazioni allo stesso, con una consulenza medico legale che avrebbe dovuto far riapre il caso senza alcuna esitazione".

"L'istanza appare doverosa - spiega il penalista - ai fini dell'accertamento della verità sulle cause del decesso della giovanissima testimone di Giustizia, stante la non attività della Procura di Roma che nonostante una formale istanza di riapertura delle indagini, accompagnata da consulenze tecniche e da una serie di approfondite riflessioni, non ha comunicato lo svolgimento di alcuna attività investigativa e invero la 'nuova denuncia' depositata nel giugno del 2022 è stata iscritta nel modello 45 ovvero quello relativo alle pseudo notizie di reato. Una stasi processuale che è inaccettabile per le odierne persone offese, ma soprattutto che non rende Giustizia a una ragazzina che si era affidata allo Stato e da questi evidentemente abbandonata".

L'associazione ha ricordato anche "il silenzio assordante, oramai da anni, anche riguardo alla campagna per il conferimento della cittadinanza onoraria di Roma a Rita, per non parlare dell'intitolazione dell'area verde in viale Amelia con il toponimo 'Giardino Rita Atria - Testimone di giustizia e vittima innocente della mafia (1973 - 1992)'".

A distanza di 32 anni dalla sua morte, di Rita Atria resta l’esempio di coraggio e determinazione che continua a vivere e ispirare migliaia di giovani. Con le sue dichiarazioni ai magistrati aprì uno squarcio dentro Cosa nostra. Un esempio da seguire. Un faro che dà prestigio al ruolo dei testimoni di giustizia nel contrasto alle mafie, soprattutto in un momento in cui quest’ultimi sono sempre più abbandonati dallo Stato. Proprio come fu per “la picciridda”.

Foto © Shobha

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