Nei vecchi verbali il collaboratore avrebbe parlato degli attentati in maniera “fumosa”

Ha creato scalpore la notizia, giunta nei giorni scorsi, dell’avviso di garanzia emesso dai magistrati di Firenze con invito a comparire per essere interrogato e notificata a Mario Mori in qualità di indagato “per i reati di strage, associazione mafiosa e associazione con finalità di terrorismo internazionale ed eversione dell'ordine democratico". Il nome dell’ex alto generale dei carabinieri compare in un fascicolo aperto nel 2022 dalla procura di Firenze che indaga sulle stragi di mafia del 1993. La vicenda, però, potrebbe concludersi con un buco nell’acqua o addirittura finire con un assist non voluto a Mori stesso. 

Venendo alla cronaca. All’ex ufficiale del Ros viene contestato che "pur avendone l'obbligo giuridico” “non avrebbe impedito mediante doverose segnalazioni e denunce all'autorità giudiziaria, cioè con l'adozione di autonome iniziative investigative e preventive, gli eventi stragisti di cui aveva avuto anticipazioni" e poi effettivamente messi in atto nel 1993 e nel 1994 (con il fallito attentato all’Olimpico). Secondo la Dda di Firenze ad informare il generale sarebbe stato "prima nell'agosto 1992, il maresciallo Roberto Tempesta informato dall'esponente della destra eversiva  Paolo Bellini che gli avrebbe anticipato le bombe al patrimonio storico, artistico e monumentale e, in particolare, alla torre di Pisa" e, qualche tempo dopo, anche il pentito Angelo Siino "durante il colloquio investigativo intercorso a Carinola il 25 giugno 1993, che gli aveva espressamente comunicato che vi sarebbero stati attentati al Nord", hanno sottolineato i pm. Il fascicolo del 2022 su Mori è segreto e le dichiarazioni di Siino del 1993 non furono verbalizzate in quanto al tempo era ancora solo un confidente. Ma per avere un’idea sul contenuto delle indagini della procura basterebbe rispolverare, come ha fatto Il Fatto Quotidiano, le carte del 1998 nelle quali Siino, diventato ufficialmente collaboratore di giustizia l’anno precedente, raccontò ai magistrati Gabriele Chelazzi e Pietro Grasso di avere anticipato il 25 giugno 1993 a Mori, che stava cercando di indurlo a collaborare con la giustizia, il piano stragista di Cosa nostra. Siino raccontò ai pm di Firenze che il boss Antonino Gioè (morto in carcere in circostanze misteriose) gli aveva svelato nel ’93 mentre erano detenuti a Rebibbia i piani di bombe in Continente e la finalità politica. Gioè prima di morire (ufficialmente suicida) lasciò una lettera nella quale svelava i suoi rapporti con l’estremista di destra Paolo Bellini, condannato in primo grado per la strage di Bologna, che lui definiva “un infiltrato” dello Stato nella mafia.

A Grasso e Chelazzi Siino disse che Mori lo informò inoltre della trattativa con Vito Ciancimino dove si chiedeva di “finire con questo tipo di stragismo” e in cambio la mafia voleva “ottenere dallo Stato una specie di salvacondotto, chiamiamola una specie di amnistia”. Per Siino “loro volevano da me un avallo a quello che diceva Ciancimino”. Sulla vicenda è già piombata la sentenza di assoluzione per Mori pronunciata dalla Cassazione nell’ambito del processo trattativa Stato-mafia. Mentre le confidenze di Siino a Mori sulle stragi al Nord, su cui stanno investigando a Firenze, sono affrontate così il 3 gennaio 1998: Grasso chiese a Siino: “Lei già gli aveva detto di quello che gli aveva detto Gioè al colonnello Mori?” Siino rispose: “Mi pare di sì”. Quindi il magistrato incalzò: “E quindi del progetto di mettere sottosopra l’Italia?” Siino: “Sì, senza dubbio. Ma lui da sempre… praticamente lui quando venne, quando venne e dissero questa cosa, lui fu interessatissimo da questa situazione”. E Grasso: “Quindi, già glielo aveva detto…?”. “Certo che glielo avevo detto!”, rispose il pentito. E di nuovo Grasso: “Quindi era al corrente di questo progetto di mettere sottosopra l’Italia, che andava al di là di quelle che erano… l’eliminazione di persone pericolose per Cosa Nostra…?”. Siino: “Esatto. Era un fatto particolare che doveva creare il caos. Questo io l’ho detto, tant’è vero che lui me ne diede atto. Poi, quando tornò”.
Probabilmente questo è il passaggio che ha colpito i pm di Firenze. In realtà Siino da subito precisò che ai due alti ufficiali del Ros Mario Mori e Giuseppe De Donno, quando era solo confidente, non disse tutto ma parlò in termini “un po’ sfumati … signori procuratori, io mi dovevo salvare in quel momento qualche caravella per ritornare di nuovo in Spagna, ora le ho bruciate, qui sono stato molto più chiaro con voi”. Chelazzi, a conferma, rilesse a Siino le parole dell’interrogatorio del giorno prima. Il 2 gennaio 1998 Siino teneva a precisare “non potevo fargli il nome di Craxi che era un nome ancora pesante. Né gli potevo fare il nome di Berruti (…) che Gioè mi aveva lanciato (…) io non mi soffermai sui nomi di Craxi, né sul nome di Berruti”.

strage georgofili da ranews24


I nomi dell’ex premier Bettino Craxi e di Massimo Berruti (ex ufficiale della Guardia finanza in contatto con esponenti di mafia di Sciacca) erano emersi in un colloquio tra Siino e Gioè nel corso del quale quest’ultimo gli confidò che il boss stragista Leoluca Bagarella avrebbe dovuto incontrare Berruti per avviare dei contatti con Craxi. Spiegò inoltre che Bagarella stava assumendo posizioni dominanti in “Cosa nostra” dopo l'arresto di Riina e che aveva nei suoi programmi di fare azioni eclatanti in danno di monumenti ed edifici di interesse artistico. Siino aggiunse che Gioè gli fece avere un biglietto con il quale, sostanzialmente, gli comunicava che Berruti aveva detto a Bagarella di compiere azioni eclatanti relative, tra l’altro, ad un edificio fiorentino che custodiva opere d’arte. Riferimento che corrisponderebbe all’attentato agli Uffizi della notte del 26 maggio 1993. Di questo progetto Siino affermò di aver messo al corrente il generale Mori

La vicenda dei colloqui tra Siino e Gioè fu già esaminata nel procedimento di Caltanissetta per le stragi del 1992 contro Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri concluso con archiviazione nel 2002. Nell’ordinanza il Gip Giovanbattista Tona ricostruì la dinamica del colloquio e bocciando la solidità del dichiarato di Siino sul punto scriveva che il piano di Cosa nostra “aveva un duplice alternativo scopo: orientare la Sicilia verso una prospettiva indipendentista grazie al movimento ‘Sicilia Libera’ (…) o in ogni caso fare una dimostrazione di forza che, sconvolgendo l’Italia, avrebbe dato a Craxi la possibilità, o di persona o tramite qualcuno, di proporsi come colui che poteva riprendere in pugno la situazione”. Tuttavia il gip bocciò la solidità del racconto di Gioè a Siino che “fa riferimento ad un progetto velleitario e di ben scarsa praticabilità nel periodo delle stragi, quando comunque il ruolo politico di Craxi era irrimediabilmente compromesso dagli esiti delle indagini della Procura di Milano (…) non offre elementi di specifica coerenza al quadro indiziario”. Tornando al verbale di Siino con Chelazzi e Grasso, il pm fiorentino chiese al pentito “lei non disse esplicitamente di aver parlato con Gioè?” e Siino “No affatto (…)”. E Chelazzi: “Quindi Siino, quella parte della confidenza che le aveva fatto Gioè, secondo la quale questa operazione doveva essere finalizzata fino alla ristabilizzazione”. Siino tagliò corto: “Non gliel’ho mai detto (a Mori, Ndr) e me ne sarei guardato bene”. Ecco quindi si potrebbe ritenere che se Mario Mori si fosse presentato a rispondere e chiarire ai magistrati senza perdere tempo all’epoca forse questa storia si sarebbe chiusa da decenni in segreto con un verbale e una richiesta di archiviazione. Ora, 31 anni dopo quelle confidenze a Mori e 26 anni dopo l’interrogatorio con Chelazzi, la Procura di Firenze ha deciso di convocare Mori come indagato per sentire la sua versione. E’ più che probabile che Mario Mori non si presenterà all’interrogatorio o, in quanto indagato, si avvarrà della facoltà di non rispondere. In quel caso uno scenario successivo potrebbe essere una richiesta di archiviazione in cui si darà conto degli elementi d’accusa concludendo che non sono sufficienti ad un rinvio a giudizio.

Foto di copertina © Imagoeconomica

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