In Trentino già fremono gli amici di Chico Forti, in vista dei festeggiamenti per il suo rimpatrio annunciato con squillo di trombe dal premier Giorgia Meloni. Dalle interviste al Tg3 pare si tratti di un eroe e d’altra parte, un anno fa, a Trento è stata pure inaugurata una scultura in marmo titolata “Chico sono io”, opera dell’artista Nello Petrucci.
Vi ricordate quanto venisse sottolineato che si trattava di un “terrorista” e “assassino” quando Salvini ottenne dal suo amico Bolsonaro l’estradizione in Italia di Cesare Battisti?
Nel caso di Forti si fa passare in secondo piano il fatto che sia stato condannato per omicidio e quindi anche in questi casi si tratta di un “assassino”; nel suo caso si tratta invece di un italiano “ingiustamente condannato”, forse addirittura proprio perché italiano.
Siamo quasi indotti a pensare ad un moderno “caso Sacco e Vanzetti”, ma davvero le cose stanno così? Per che cosa è stato condannato Chico Forti? Si stava forse battendo per i diritti degli ultimi, contro la guerra, per portare alla luce quanto succedeva a Guantanamo, come Julian Assange? No di certo. Il nostro conterraneo è stato condannato per l’omicidio di un cittadino australiano che si era recato a Miami, dove Forti risiedeva, per contestargli una truffa ai danni del padre in merito all’acquisto di un hotel alle Baleari. Omicidio avvenuto sulla spiaggia con due colpi di pistola calibro 22 alla nuca, ventiquattr’ore dopo che Forti lo era andato a prendere all’aeroporto; particolare sul quale egli ha in un primo momento mentito, così come diverse sono state le versioni in merito all’acquisto e alla detenzione della pistola con la quale è stato commesso l’omicidio.
Anche il fatto, vantato dai suoi sostenitori, relativo alla sua assoluzione per la tentata truffa nei confronti del padre della vittima è destituito di fondamento in quanto (stando alle spiegazioni di esperti in materia), essendo questo capo d’imputazione il movente dell’omicidio, le regole del diritto degli Stati Uniti prevedono che esso non venga contestato. Rappresentando il Presidente del Consiglio tutti gli italiani avrebbe perlomeno dovuto chiedere a Chico Forti un gesto di rispetto e trasparenza, vale a dire l’autorizzazione alla pubblicazione degli atti del processo che, fino ad ora, lo stesso ha sempre negato: non è possibile protestarsi vittima di un errore giudiziario e nello stesso tempo mantenere una coltre di opacità sul processo che si contesta. Così, mentre gli organi d’informazione locali dedicano grande spazio a questa vicenda, ben poca attenzione hanno dedicato alle iniziative in solidarietà con i palestinesi di Gaza, ed oggi passa in secondo piano, o peggio, sotto silenzio, anche il fatto che a giorni la Cassazione dovrà esaminare il caso dei condannati per le manifestazioni (e gli scontri) al Brennero avvenuti nel 2016. Si tratta di una condanna per complessivi 140 anni di carcere emessa nei confronti di alcuni manifestanti contro la minacciata costruzione di un muro al Brennero (da parte dell’Austria) per fermare i migranti diretti verso il nord Europa. Come ricordava il noto costituzionalista e presidente emerito della Corte Costituzionale prof. Gustavo Zagrebelski “l’infrangere la legalità può segnalare un’ingiustizia” e in questo caso la dialettica istituzionale di un Paese democratico deve farsi carico del problema segnalato. Anche l’informazione dovrebbe contribuire in tal senso, fornendo tutti gli elementi necessari affinché il cittadino possa valutare e distinguere tra un condannato per omicidio il cui movente era una truffa e cittadini condannati per aver cercato, anche scontrandosi con le forze dell’ordine, di difendere un diritto e far prevalere, sul cinismo, l’umanità!
In foto: Chico Forti

Armi di distrazione di massa
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- Walter Ferrari