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Ricordare quanto sancito dall’art.21 della Costituzione in merito alla libertà di manifestare liberamente il proprio pensiero e al fatto che la stampa non possa essere soggetta a autorizzazioni o censure, può apparire superfluo.
Certo è che, la libertà di stampa rappresenta un diritto imprescindibile, alla base di ogni ordinamento democratico, e poter ricevere informazioni “pulite” in merito agli accadimenti che interessano la società in cui viviamo, è fondamentale per  consentirci di esprimerci e poter  essere critici osservatori degli eventi, per la ricerca della verità dei fatti.
Una stampa libera rappresenta un organo indispensabile in una società democratica e, qualsiasi forma di interferenza la dovesse condizionare, non andrebbe a ledere solo la categoria dei giornalisti ma, insieme a loro e nella stessa misura, i destinatari della informazione.
Probabilmente scontati per qualcuno questi concetti, per i quali imbarazza anche chi scrive cercarne il consenso in chi legge, tanto essi appaiono evidenti e chiari.
Ma accade, e non dovrebbe, che l’enunciazione del diritto non vada di pari passo con il suo rispetto e, tra il diritto e la sua applicazione, si venga a creare un significativo divario tale da vanificarne la portata.
E allora, ricordare l’esistenza dell’art.21 della Costituzione, non è poi così banale e, cercare il consenso per ribadirne in maniera corale l’importanza dei diritti ivi sanciti, diventa urgente, oltre che attuale, in un momento in cui la sua reiterata violazione non può che creare allarme e preoccupazione.
Accade infatti che, il Direttivo della camera penale di Roma, deliberi all’unanimità di proporre denuncia - querela nei confronti del giornalista Sigfrido Ranucci per aver mandato in onda “gravissime insinuazioni e gratuite diffamazioni che sfociano nella calunnia nei confronti di apprezzati avvocati”, in occasione della puntata di Report del 3 Aprile u.s su Rai 3, durante la quale viene presentato un servizio che ripercorre la vicenda Cospito, mettendo in evidenza i vulnus del 41 bis e ribadendo l’importanza di una oculata  gestione di uno strumento che  fonda la sua ragione di essere, in primis, sulla  tutela della collettività a garanzia della sua sicurezza.
Chi ha visto la puntata “incriminata” potrà constatare che i fatti non conducono alle conclusioni sostenute della camera penale di Roma.
Appare lecito che una inchiesta giornalistica possa decidere di indagare su cosa vi sia dietro una concentrazione di detenuti al 41 bis assistiti da pochi avvocati o che, prendendo in considerazione uno dei casi più eclatanti, vada a chiedere a un avvocato che conta 109 assistiti destinati  al 41 bis, se ciò  sia normale o non possa addirittura essere, per lo stesso legale, motivo di pericolo.
Appare semmai meno normale la replica dell’avvocato che, con sorrisino sarcastico, risponde “Che spavento!! Non so proprio dire quanti assistiti siano, lo sa lei  e io no!”.
Vicende del genere non sembrano proprio lasciare spazio a umorismo e sarcasmo e, gli stessi  giudici  Sebastiano Ardita e Nino Di Matteo, nel corso della trasmissione, ne hanno evidenziato l’anomalia e pericolosità essendo stato già accertato in passato che, alcuni legali, in virtù del rapporto intercorso con più soggetti all’interno delle case di reclusione, hanno svolto da tramite per portare ordini fuori dal carcere depotenziando significativamente la ratio dello stesso 41 bis.
Un particolare e un rischio non trascurabile.
Riteniamo  che, mettere in evidenza casi del genere, rappresenti una importante opportunità (se mai questo particolare fosse sfuggito) che viene offerta proprio alle camere penali per indagare e vigilare su dette situazioni a tutela proprio della categoria dei propri iscritti, gli avvocati, il cui ruolo e funzione, nella ricerca delle verità giudiziarie, è fondamentale e imprescindibile.
Parliamo da spettatori, cittadini che non hanno motivo di schierarsi da  una parte piuttosto che dall’altra, ma che cercano quotidianamente di appropriarsi di quei tasselli che possano completare il grande mosaico delle verità negate sulle vicende di Mafia e dintorni che, ormai ab immemorabile, interessano il nostro Paese.
Ma, ogni qualvolta sembra di esserci riusciti, ci si rende conto che quell’ultimo tassello non è quello giusto e il mosaico della verità continua a rimanere incompiuto.
Meraviglia poi, il fatto che sul fronte opposto, lato stampa, si faccia scudo a tutela di certi attacchi e si esprima parole di solidarietà solo da parte di singoli giornalisti e, diversamente, non sia l’Ordine stesso a percepire i rischi di derive di tal genere e a prendere posizione a garanzia non solo del singolo ma anche dell’intera categoria.
Giriamo pagina, anzi, cambiamo canale: La7
Altro programma: Piazza Pulita
Il conduttore Corrado Formigli, nella puntata di giovedì 13 Aprile u.s, si rivolge ai leader di Forza Italia e della Lega, chiedendo loro spiegazioni sul perché, oltre a non accettare personalmente gli inviti rivolti per partecipare alla trasmissione, proibiscono a loro iscritti e esponenti di rango minore di presenziare anch’essi alla trasmissione.
Il veto, ha evidenziato il conduttore, ha il sapore del boicottaggio e della messa al bando di un programma televisivo di prima serata oltre a mancare di rispetto verso gli spettatori che avrebbero diritto a un'informazione fatta anche di confronti, a garanzia del pluralismo informativo.
In un sistema democratico questa sorta di boicottaggio programmatico e sistematico di un programma, è stato ribadito, va a ledere il diritto di informazione e la necessità di rappresentare più punti di vista, alterando così il sistema dell’informazione
Due profili professionali, Ranucci e Formigli, e due trasmissioni, le loro, apparentemente diverse ma accomunate da un approccio simile nel condurre le inchieste, in maniera attenta e scrupolosa, certo con un'impostazione molto lontana da  quei viscidi salotti televisivi ove, conduttori proni, fanno sfilare il potere di turno senza che mai venga minimamente intaccato lo status quo politico del momento e gli equilibri precostituiti.
Il potere (si sa ma non lo accettiamo) mal sopporta gli strappi e cerca di fare terra bruciata intorno a chi lo critica mettendone in discussione l’operato.
Lo fa denunciando i giornalisti, ben sapendo che, comunque, una denuncia spesso attiva un meccanismo del sospetto intorno al destinatario della denuncia stessa, rischia di depotenziarlo e nel tempo di sfiancarlo, non fosse altro per le spese che comunque l’avvio e gestione di un procedimento giudiziario comporta e che, non sempre, sono sostenibili da parte di coloro che non hanno un Ordine che li tuteli e li assista per queste evenienze, come nel caso di giornalisti di inchiesta impegnati in maniera importante su vicende di mafia e sistemi criminali connessi.
Diversamente, il potere attiva meccanismi di delegittimazione, come nel caso del programma di Corrado Formigli, ugualmente di effetto e dirompenti.
Una forma di delegittimazione che può avere ripercussioni ben più gravi e pericolose quando i temi trattati sono scottanti, di interesse politico, sociale e coinvolgono semmai anche apparati di Stato.                                                                                                      
Che riescano o meno nell’intento è altro discorso, ma è la determinazione a farlo che preoccupa, anche perché, spesso, il passo successivo, in base a dinamiche politiche che ci sfuggono ma non più di tanto, può essere quello che porta alla chiusura del programma stesso.
Questo è l’ultimo passaggio di questa digressione a margine dell’art.21 della Costituzione, non più importante ma forse quello più delicato, che riguarda Non è l’Arena, la trasmissione di Massimo Giletti la cui programmazione, dalla sera alla mattina, è stata bloccata “per ragioni di politica televisiva”.
Una motivazione che ha il sapore di una grande “supercazzola” che farebbe rosicare i Maestri in questo settore, autori del film Amici miei.
Si, perché dalle nebulose “ragioni di politica televisiva “nel giro di pochi giorni la vicenda è stata arricchita da retroscena, sicuramente più credibili per quanto allarmanti, che riportano alle vicende di Mafia di cui Giletti si è occupato (soprattutto in quest’ultimo periodo a partire dalle previsioni del Profeta Baiardo in merito all’arresto di Matteo Messina Denaro).
Entrare nel merito e schierarsi a favore o contro senza conoscere bene le dinamiche dei fatti sarebbe presuntuoso e assolutamente inopportuno ma, da una semplice lettura superficiale, una riflessione questa vicenda la induce.
Critichiamo le denunce quando immotivate e interferenti sulla libertà di stampa, si prende le distanze da ingiustificabili meccanismi di delegittimazione di programmi televisivi ma ancor più grave ci sembra la vicenda “Non è l’Arena”, la cui chiusura anticipata e il non mandare in onda alcuni servizi sicuramente più “delicati”, ci riporta a quei viscidi salotti televisivi, sopra citati, ove l’unica informazione ammessa è quella che non scoperchi tanti pentoloni ma soprattutto non faccia troppo puzzo.
E, alla luce di quanto successivamente trapelato dai giornali, le inchieste che sarebbero state presentate nella puntata non trasmessa di “Non è l’Arena” forse di puzzo ne avrebbero sollevato abbastanza, ma sarebbe comunque stato tollerabile da parte di chi vuole che venga fatta chiarezza su certi fatti.
A fronte di tante parole di circostanza espresse dalla politica, anche a seguito dell’arresto di Matteo Messina Denaro e dei futuri scenari in termini di sviluppo delle indagini, i fatti cui stiamo assistendo sembrano riallontanarci dalla verità che andiamo cercando.
Forse perché, questa verità, potrebbe essere sempre più vicina?
A chi fanno paura queste verità?
Nel 2022, l’Italia, nel “World Press Freedom Index”, classifica mondiale sulla libertà di stampa, risultava essere scesa dal 44° al 58 ° posto. Una posizione certamente non incoraggiante (considerato anche la perdita di ben 14 posti) tenuto conto, peraltro, che la compilazione di detta classifica viene effettuata valutando “l’effettiva possibilità per i giornalisti, come individui o come gruppi, di selezionare, produrre e diffondere notizie e informazioni nell’interesse pubblico, indipendentemente da ingerenze politiche, economiche, legali e sociali e senza minacce alla loro sicurezza fisica e psichica.” Il tutto considerando cinque indicatori e contesti: politico, giuridico, economico, socioculturale e securitario.
Con i presupposti cui sopra si è fatto riferimento, per il prossimo anno, con un buon margine di successo, possiamo sicuramente ambire a sprofondare ulteriormente nella graduatoria.
Occupiamocene prima di dovercene ulteriormente preoccupare.

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