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La mitizzazione di Matteo Messina Denaro e il rischio di emulazione da parte dei giovani più deboli ed esposti. Intervista a Vincenzo Musacchio, criminologo forense e docente di strategie di lotta alla criminalità organizzata transnazionale al Riacs negli Stati Uniti

Professore, ribadiamo un concetto: chi è Matteo Messina Denaro?
È boss mafioso appartenuto a Cosa Nostra siciliana, noto soprattutto per l’efferatezza dei suoi delitti. È un criminale tra i più spietati della storia della mafia siciliana. Questo è!

Secondo lei perché per tanti ragazzi sta diventando un mito?
Non lo diventa. Siamo noi a farlo diventare tale. Alcuni mass media, per non parlare dei social, non hanno fatto sufficientemente filtro nella comunicazione. Si è parlato troppo della sua “imprendibilità” (che è frutto, come si sa, dell’omertà). Così facendo si esaltano le doti criminali che affascinano i più giovani (quelli più deboli e indifesi ovviamente). Un boss potente, invisibile, imprendibile fino a pochi giorni fa. I media hanno fatto passare l’immagine di un uomo con il fascino del potere criminale ed economico. Uno che può tutto e che riesce a essere latitante per trent’anni senza aver fatto un solo giorno di reclusione. Appare come il boss dei boss e la sua figura echeggia nei discorsi di molti adolescenti che lo celebrano, che nutrono per lui ammirazione e venerazione. Nel suo territorio sono comparsi tanti disegni e frasi che inneggiavano alla sua persona: questo preoccupa e non poco.

Spopola online la vendita del giubbotto stile Messina Denaro, professore quanto deve preoccuparci un simile fenomeno?
Sconfitta la mafia, quando accadrà, dovremo abbattere un altro cancro più pervasivo e cioè la mafiosità. Non si tratta di un concetto astratto, ma una realtà spesso molto più pericolosa della mafia stessa. È proprio la mafiosità a fare del boss di Castelvetrano un mito per molti giovani. Per tanti ragazzi abbandonati a se stessi Messina Denaro è un esempio. Per quanto mi riguarda, esprimo il massimo dispregio verso qualsiasi forma d’imitazione del boss mafioso. Guardiamo ai fatti e non all’apparenza. Siamo dinanzi ad un uomo che ha ucciso una sessantina di persone e che è stato mandante di stragi e di omicidi abominevoli tra cui quello di un bambino di solo dodici anni sciolto nell’acido. Un essere così spregevole non può e non deve essere emulato. Se ciò accade, vuol dire che noi adulti, la famiglia, la scuola, e tante altre istituzioni hanno sbagliato qualcosa. È inquietante il solo pensare che ci siano persone che acquistino un capo di abbigliamento solo perché richiama lo stile Messina Denaro. Dovrebbe accadere il contrario. Un giubbotto simile dovrebbe essere motivo per non indossarlo più.

Secondo lei che ruolo hanno i siciliani nella rete di protezione di Messina Denaro? Sono stati complici o hanno solo fatto finta di non vedere?
Non i siciliani, ma una minima parte di loro. La gran parte dei siciliani non sta con la mafia. Nella società siciliana c’è un’area grigia impregnata da un consociativismo criminale dove la mafia è Stato e lo Stato è mafia. Questo modo di vedere le cose, tipico della sicilianità mafiosa, fa capire un po’ il senso della complicità del cittadino nei confronti della “autorità” mafiosa. La mafia garantisce il lavoro per cui è cosa buona. Risponde ai tuoi bisogni rispetto ai quali spesso lo Stato latita. Su questo terreno s’innesta il consenso e la mafia si fortifica sempre di più.

Con Messina Denaro al 41 bis il mito finirà?
Il mito finirà se saremo noi a volerlo. Perché non mostriamo tutte le vittime che lui ha assassinato? Perché invece di appellarlo come l’imprendibile, l’invisibile, il dandy, non lo chiamiamo il criminale, l’assassino, lo stragista? A volte, consapevoli o meno, i miti li creiamo noi.

Come dovrebbe reagire il suo territorio?
Lo Stato deve garantire immediatamente e senza esitazione alcuna la sua presenza. Le istituzioni (in primis la scuola e con essa tutte le altre istituzioni) dovrebbero occuparsi dei tanti giovani, soprattutto adolescenti, abbandonati a se stessi o peggio messi tra le grinfie della mafia. Essere senza lavoro, senza sostegno significa diventare facile preda della criminalità organizzata. Molti giovani disperati non hanno altra scelta se non quella della mafia. Lo Stato deve ascoltare e soddisfare i bisogni primari della gente. Deve esserci poiché la sua assenza porta alla presenza della mafia. Si cominci a parlare e a ricordare le tantissime vittime di mafia in luogo di un criminale senza scrupoli che trent’anni fa, la notte del 26 maggio 1993, nella strage di via dei Georgofili a Firenze, uccise la piccola innocente Nadia Nencioni di soli nove anni.

Da tutta questa storia, a suo avviso, quale insegnamento dovremmo trarre?
L’insegnamento dell’impegno, del dovere, della consapevolezza. Non cantare vittoria per l’arresto di un boss perché l’arresto di un boss non è un punto di arrivo ma un punto di partenza. Come ci ha insegnato Rita Atria prima di combattere la mafia ognuno di noi dovremmo farci un autoesame di coscienza e poi, dopo aver sconfitto la mafia dentro di noi, potremo combattere la mafia che c'è nel giro dei nostri amici, la mafia spesso siamo noi e il nostro modo sbagliato di comportarci. Dobbiamo tutti noi trarre insegnamento da questa straordinaria riflessione di una semplice ragazza di soli diciassette anni.

*Giornalista RaiNews

Dossier Arresto Matteo Messina Denaro

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