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Lula è tornato. Dopo due mesi di tensioni per il possibile tentativo dei supporters di Bolsonaro di impedire la cerimonia di insediamento, il leader del PT ha giurato per la terza volta come Presidente della Repubblica. Nonostante l’apparente rivoluzione nella scelta dei ministri, il esecutivo si apre con l’aspettativa di essere il più moderato dei due precedenti gabinetti guidati da Lula tra il 2002 ed il 2010. E ciò apre due interrogativi: basterà per invertire la rotta rispetto ai precedenti quattro anni di bolsonarismo? E ancora: il ritorno del PT al governo vorrà dire la restaurazione del sistema corruttivo che la politica brasiliana aveva creato nelle società statali?
Una cosa alla volta.
Nel suo nuovo esecutivo, Lula ha cercato di spezzare ogni legame con la precedente gestione, affidando alcuni ‘ministeri di facciata’ alle figure che maggiormente sono state martoriate durante il governo Bolsonaro. Come il ministero dell’uguaglianza razziale che è stato assegnato ad Anielle Franco, sorella dell’ex consigliere comunale di Rio Marielle Franco uccisa nel 2018 dal gruppo di miliziani della Liga da Justiça (alcuni dei quali avevano avuto rapporti con la famiglia Bolsonaro). Oppure il neo ministero dei popoli indigeni che è stato affidato alla leader indigena Sonia Guajajara.
Due scelte che sembrano dettate dall’obiettivo di dare un segno di discontinuità rispetto al passato piuttosto che dalla volontà di incidere nella politica, dato che entrambi i ministeri non sono mai stati dotati di grande capacità di spesa. Staremo a vedere se a questo giro Lula deciderà di invertire la rotta oppure se queste nomine sono state l’ennesima operazione di marketing politico, dettata dal fatto che per battere Bolsonaro Lula si è alleato con i suoi storici nemici: la destra moderata ed il centro democristiano.
Difatti, in buona parte dei dicasteri chiave, sono state nominate figure provenienti da queste aree politiche. Come il ministero dello sviluppo e dell’industria affidato al conservatore Geraldo Alckmin, il quale al contempo è anche il vice di Lula alla Presidenza. Oppure il ministero dell’Energia, che è stato assegnato all’ex esponente del Partito Liberale Alexandre Silveira, ora membro del centro brasiliano.
Il ‘nuovo’ Lula, esattamente come accadde nel 2002 quando prese il potere per la prima volta, non porterà a termine la rivoluzione promessa. Per tranquillizzare i mercati, che hanno salutato la vittoria del leader del PT con un rialzo di mezzo punto il tasso di cambio dollaro-real, Lula seguirà un’agenda abbastanza semplice: cercherà di smantellare le leggi bandiera del governo Bolsonaro (come l’estensione per cento anni del segreto di Stato e la mancanza di trasparenza per l’utilizzo dei fondi pubblici) e tenterà di creare una solida base parlamentare, dato che ad oggi la sua coalizione non detiene la maggioranza del Congresso.
Nonostante il nuovo governo di Lula sembri essere uno dei più moderati della storia del Brasile, un fantasma si aggira nei corridoi del potere di Brasilia ed è la corruzione. Dodici su trentasette ministri nominati dal nuovo Presidente hanno avuto problemi con la giustizia, in particolare per casi di corruzione. Come il ministro dell’integrazione Waldez Goes, condannato per malversazione di denaro pubblico che ora aspetta il giudizio d’appello alla Corte Suprema. Oppure il ministro della giustizia, Flavio Dino, che quando era governatore del Maranhao venne indagato per presunte irregolarità in un contratto per il combustile di un elicottero della Segreteria di Sicurezza. Tra gli imputati di lusso si annovera anche Fernando Haddad, nuovo ministro dell’Economia che in passato è stato sottoposto a 32 indagini. Inoltre, venne invischiato anche nella nota operazione ‘Lava Jato’, la Mani Pulite brasiliana che nel 2018 era riuscita a condannare proprio Lula a 9 anni di carcere per corruzione e riciclaggio di denaro.
I fatti di quest’indagine avevano come fulcro le società statali brasiliane che, grazie a funzionari nominati dal governo PT, affidavano appalti milionari ad un cartello di imprese che elargiva tangenti milionarie a politici e dirigenti di queste aziende.
Proprio per questo le quote di maggioranza di alcune società statali, durante il governo Bolsonaro, era state messe in vendita per impedire che si potesse ripetere questo rapporto corruttivo tra esponenti governativi e l’imprenditoria brasiliana. Dopo nemmeno un giorno dal suo insediamento, Lula ha già firmato un decreto per bloccare la privatizzazione di queste società, tra cui la Petrobras cioè la multinazionale del petrolio brasiliano che era stata il cuore dell’inchiesta sulle tangenti pagate al PT.
Motivo per cui gli ex giudici di Lava Jato, ora eletti al Congresso, hanno già parlato del ritorno della ‘corruzione sistemica’ e dell’impunità generalizzata che avevano evidenziato nella loro indagine. Non sappiamo se la loro previsione è corretta, ma di certo c’è solo una cosa: se un nuovo scandalo di corruzione dovesse colpire il cerchio magico di Lula e se il suo governo non dovesse riuscire ad invertire la rotta in campo economico, tra quattro anni potremmo assistere al ritorno di Bolsonaro. Che a 48 ore dall’insediamento di Lula è volato in Florida. Dove si trova il più forte candidato trumpiano che correrà per la Casa Bianca nel 2024: il governatore dello Stato Ron de Santis. Il bolsonarismo è tutt’altro che un ricordo del passato.

Foto © Imagoeconomica

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