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Chi si prepara a manifestare per la pace decida come dare peso alle parole.
Se persino De Luca diventa alfiere della manifestazione per la pace (peraltro adoperando qualche argomento per nulla banale, tipo: se siamo in guerra, qualcuno lo dica agli italiani), quella già indetta a Napoli per il 28 ottobre, vuol dire che c’è davvero di che essere preoccupati e che il livello di mobilitazione non può che aumentare.
Da Conte alla Cgil, passando per Arci e Acli, rullano i tamburi che chiamano la gente in piazza per la pace. Evviva!
Manifestare collettivamente è senz’altro salutare, cioè fa bene alla ricerca della pace e potrà rilanciare lo sforzo che tante organizzazioni democratiche e umanitarie hanno sostenuto fin dal primo giorno di questa ennesima guerra. Una guerra più rumorosa, perché più vicina, che ha allargato il perimetro del tragico puzzle della quarta guerra mondiale (come è possibile infatti continuare a chiamare la “terza” guerra mondiale “guerra fredda”? Come se si fosse combattuta a colpi di gelato).
Ma cosa significa volere la pace? Anche quelli che fanno la guerra dicono di volere la pace.
È un po’ come per la mafia: chi direbbe pubblicamente di essere a favore della mafia? Quasi nessuno (Berlusconi riuscì in vero a fare l’elogio pubblico dello stalliere di Arcore, che mai aveva aperto bocca. Ma si sa che Berlusconi è un fuoriclasse). Tutti sono contro la mafia, ma è nelle scelte concrete che poi si capisce chi davvero voglia costruire una Italia liberata dalle mafie e chi no.
È difficile, per esempio, credere che sia contro la mafia chi lavora allo smantellamento della legislazione voluta da La Torre e Falcone, chi lavora alla neutralizzazione delle misure di prevenzione patrimoniali, chi all’utilizzo dei collaboratori di giustizia, chi al superamento della impermeabilità del carcere per i condannati per mafia, chi lavora al depotenziamento dell’amministrazione della Giustizia, mortificando la domanda di giustizia con diavolerie come la improcedibilità e via discorrendo.
Cosa vuol dire volere la pace in un contesto come quello che stiamo vivendo?
Non mi avventuro in una analisi geopolitica dei fatti: in guerra la prima vittima è la verità ed io so di non sapere quello che sta veramente succedendo. Ma questo non mi impedisce di avere una idea complessiva di ciò che stiamo vivendo e questo mi permette di definire tre proposte concrete.
La prima: vuole la pace chi in Italia si batte per lo “ius soli” senza se e senza ma. È in fatti evidente che la guerra è alimentata da visioni segregazioniste del mondo, un mondo fatto per qualcuno e non per ciascuno, un mondo fatto di salvati e sommersi, un mondo dove “lo stile di vita del popolo americano non è negoziabile” (George W. Bush nel 2001, dopo l’attacco alle Torri Gemelle) e come il loro il nostro, a quanto pare.
Un mondo di neo nazionalismi paurosi, di cui Putin è senz’altro un campione, che condanna milioni di esseri umani ad una fuga permanente, ad uno sradicamento disumano e definitivo. Battersi perché l’Italia sia un posto nel quale ritrovare casa, attraverso la pienezza di diritti e doveri, è fare pace, è impegnarsi contro ogni forma strisciante di apartheid che avvelena la nostra convivenza.
La seconda: vuole la pace chi si batte per fare della Unione Europea una Repubblica federale, fondata sull’uguaglianza di diritti e doveri. Una Repubblica federale con un unico sistema fiscale, un unico sistema di protezione sociale, una unica politica estera e di difesa. Una Repubblica federale che ci renda meno “vaso di coccio”, che ci renda capaci di stare al mondo con una forza in grado di salvaguardare i principi sui quali ancora si basa la nostra convivenza.
A me pare evidente che in questo giro di boa della storia la posta in gioco sia proprio l’Unione Europea: un modello pericoloso che deve essere eliminato dalla storia, come accadde al Cile di Allende nel 1973. Che fine ha fatto la Cofe, la Conferenza sul futuro dell’Europa? Sarà il prossimo Parlamento europeo un Parlamento costituente? Il tempo è quasi scaduto, lo dimostrano dopo Brexit le scelte della Germania.
La terza: vuole la pace chi, pur ribadendo la scelta atlantista, si decida a mandare un messaggio chiaro agli Usa: “Non siamo (più) una colonia”.
E c’è anche una occasione concreta per farlo. Il 22 agosto una soldatessa statunitense di stanza presso la base di Aviano ha investito ed ucciso un giovane italiano di 15 anni a Porcia, in provincia di Pordenone. Trattati e prassi impongono in un caso come questo che la soldatessa venga sottratta alla giustizia italiana per essere processata in patria. Ma l’Italia si può opporre e pretendere che venga processata in Italia.
Parafrasando a mia volta Forrest Gump (come già fatto da Stefano Fassina in campagna elettorale riferendosi a Conte): pacifista è chi la pace la fa.

Tratto da: liberainformazione.org

Foto © Imagoeconomica

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