Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

Il libro-inchiesta “Io sono Rita” (edito da Marotta E Cafiero) ricostruisce la storia di Rita Atria, la testimone di giustizia diciassettenne abbandonata dalle Istituzioni, le stesse che avrebbero dovuto prendersi cura di lei. Era il 19 luglio 1992 quando era venuta a sapere che un'auto bomba era esplosa a Palermo uccidendo la vita di Paolo Borsellino. Colma di dolore aveva scritto sul suo diario parole strazianti: "Borsellino sei morto per quello in cui credevi, ma io senza di te sono morta". Una settimana dopo, il 26 luglio a Roma, Rita Atria aveva deciso di togliersi la vita, perché niente al mondo sarebbe più riuscito a colmare il vuoto che la morte di Paolo le aveva lasciato. È per questo che viene considerata la “Settima vittima” della strage di Via d’Amelio. La storia di Rita è parte di un mondo mai raccontato e "non previsto" come lo ha definito la giornalista Graziella Proto, co-autrice insieme a Giovanna Cucè e Nadia Furnari del libro. Un mondo fatto di mafia arcaica, ma allo stesso tempo potentissima, di alleanze, omicidi, traffico di droga e armi. La 'picciridda', come la chiamava il giudice Paolo Borsellino, alla luce di quanto scoperto assume quindi un ruolo decisamente più rilevante. Le sue dichiarazioni provocarono un secondo terremoto nella Valle del Belice: erano arrivare a toccare anche Matteo Messina Denaro e il padre Francesco. In occasione del trentennale della sua scomparsa e per raccontare qualcosa che vada oltre la retorica ufficiale, abbiamo contattato Graziella per un’intervista che riportiamo qui di seguito.

Questo libro spezza la retorica con cui si racconta la storia di Rita poiché mette in evidenza le responsabilità mancate delle istituzioni. Qual'è, secondo lei, la vera storia di Rita Atria?
"Noi non raccontiamo cose per sentito dire, ma raccontiamo fatti. Documenti verbali di interrogazione, su questo abbiamo lavorato".
"Ogni anno il 26 di luglio andiamo sotto il palazzo dove è morta Rita e facciamo memoria attiva. Quest'anno sarà ancora più ricco perché il trentennale. E una signora timidamente una volta si avvicinò e ci disse: 'Io sono quella che le ha tenuto la mano fino a quando è arrivata l'ambulanza. Mi ricordo che la persiana era chiusa più di metà'. Ma come era possibile che la persiana fosse chiusa? Questo è già un primo dubbio, un primo interrogativo. Poi abbiamo continuato a cercare. I primi anni abbiamo chiesto i documenti alla procura di Roma e la prima volta ce li avevano negati. Poi due anni fa ci consegnano dei fascicoli in cui io non ci ho trovato nulla. Non c'era nulla nei verbali che potesse interessare perché nei verbali c'era scritto che la ragazzina era una ragazzina normale e non una testimone di giustizia. Una ragazzina non sotto la protezione dell'Alto commissariato".

Ci sono alcune anomalie, come si legge nel libro, che vengono alla luce dopo la morte di Rita Atria: una lettera senza firma recapitata al procuratore di Roma, un poliziotto mai identificato che entra nell'appartamento di Rita subito dopo la sua morte, oggetti spostati o che addirittura scompaiono dalla scena. Qui sono due le ipotesi: o le autorità hanno trattato il caso con negligenza e sciatteria oppure c'era qualcuno che ha fatto appositamente delle azioni clandestine. Quel è secondo lei l'ipotesi più probabile?
"Noi nel libro non vogliamo creare degli scoop. Di certezze non ne abbiamo. Però dalla ricostruzione del contesto" emerge "che alle spalle di Rita c'era una storia pesantissima di mafia. Non quella che avevamo raccontato per 30 anni. C'era una storia in cui c'erano personaggi importanti. Il capo assoluto della mafia pertennese ogni tanto andava a cena a casa di Rita. La ragazzina quando ammazzano il capo mafia amico di suo padre e padrone di suo padre (lo ammazzano nell'89), Rita dopo un anno inizia a collaborare. Quindi dire che è una cosa che non c'entrava nulla è la cosa più sbagliata che si possa dire”.
"Questo capo assoluto di Partanna era amico di Matteo Messina Denaro ed era in ottimi rapporti con Francesco Messina Denaro e godeva di buona fama da parte di Riina, il quale lo incarica di sequestrare niente di meno che il suocero dei Salvo. Che in quel periodo erano fortissimi all'interno della mafia, fortissimi dal punto di vista economico, fortissimi dal punto di vista della politica, perché erano due grossi esponenti della Democrazia Cristiana". "Questa ragazzina quindi aveva molto più coraggio rispetto a quello che si diceva perché se noi continuiamo a dire che c'erano quattro pecorari non abbiamo raccontato niente". "Tutte queste cose Paolo Borsellino le aveva verificate e c'è un verbale di sua mano, una relazione, in cui dice che la ragazza è perfettamente attendibile più di un adulto. Quindi non è che stiamo parlando di nessuno".


io sono rita pb

"Lei è inserita in quel contesto. Lei fino a quando non gli ammazzano il fratello vede spacciare i ragazzi, il suo fidanzato spaccia davanti a lei e lei assiste. È inserita in quel contesto convinta che non ci possa essere un mondo diverso. Dopo sette mesi che frequenta Paolo Borsellino e la Camassa e la Morena Plazzi cambia completamente e fornisce una lista di nomi lunghissima. Nel libro ne prendiamo solo alcuni".
"Dopo sette mesi di collaborazione che frequenta queste persone, (Rita ndr) anziché dire 'mio papà era quello che nel paese mette pace, aiuta le persone, dà soldi ai poveri e che trova le pecore a chi gline hanno rubate', dirà 'mio papà è un uomo d'onore feroce che insegnava al figlio come essere feroce'.
Quindi alle volte raccontiamo solo la superficie". "Dopo 30 anni scopriamo cose che non si erano mai dette".

Le dichiarazioni di Rita erano equivalenti metaforicamente parlando al terremoto del Belice quindi?
"Certo. È là (nel Belice ndr) che è cominciato tutto. Perché una volta che sono arrivati i soldi" sono stati investiti "nella droga, perché il sindaco era d'accordo. Il sindaco i soldi li faceva scomparire. Gli Ingoglia la famiglia opposta agli Accardo, si dedicava all'imprenditorialità, gli piaceva fare business, ed erano molto quotati a Londra". "Se non si racconta che la ragazzina è cresciuta in questo fango la si riduce a una semplice picciridda". La autorità "hanno trattato la ragazzina meno di una ragazzina 'normale'. Non come una ragazzina che andava tutelata per tutte le cose che aveva raccontato e che era in pericolo di vita. Se l'hanno ammazzata l'hanno ammazzata perché lei era sola e se si è suicidata si è suicidata perché era sola". "Non dico che l'hanno ammazzata ma non posso dire nemmeno che si è suicidata ci sono troppe cose che non quadrano".

La Valle del Belice quindi è come un ‘buco nero’ che inghiotte tutto?
"Sì è un buco nero e nel mezzo c'era il sindaco Culicchia che era culo e camicia con il capo della mafia, il quale era culo e camicia con il papà di Rita, fino a quando non hanno litigato". "Per la prima volta abbiamo raccontato anche delle cose serie ma non pensavamo che c'era tutto questo fango di potere mafioso dietro. Abbiamo scoperto un mondo non previsto".

ARTICOLI CORRELATI

''Io Sono Rita'': la storia inedita della settima vittima della strage di via D'Amelio

Ricordiamo Rita Atria

Rita Atria, a 30 anni dalla morte due giorni per ricordare - 23 e 26 Luglio

ANTIMAFIADuemila
Associazione Culturale Falcone e Borsellino
Via Molino I°, 1824 - 63811 Sant'Elpidio a Mare (FM) - P. iva 01734340449
Testata giornalistica iscritta presso il Tribunale di Fermo n.032000 del 15/03/2000
Privacy e Cookie policy

Stock Photos provided by our partner Depositphotos