Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

La memoria di Giorgio Ambrosoli sproni il governo italiano sulla nuova autorità europea antiriciclaggio: in ballo non c’è soltanto la collocazione della sede. C’è una scelta strategica.
In queste ultime settimane, da quando il Consiglio europeo ha adottato la propria decisione “parziale” sulla istituzione della nuova autorità antiriciclaggio si sono moltiplicate le voci di chi ha proposto di portare la sua sede in Italia. La decisione del Consiglio è infatti “parziale” proprio perché non è ancora stata individuata la sede.
L’affare è ghiotto anche per coloro ai quali non batte il cuore per la legalità ed il contrasto al crimine organizzato, si tratta infatti di ospitare un marchingegno che occuperà circa 400 funzionari europei a tempo pieno, con tutto l’indotto che ne deriva. Al netto di costoro, ci sono invece coloro ai quali sta a cuore la collocazione in Italia della sede della nuova autorità (Amla cioè Authority anti-money laundering) per motivi simbolici: l’Italia è il Paese della Ue che ha il triste primato delle mafie più aggressive e longeve, ma è anche il Paese della Ue che ha saputo reagire in maniera efficace generando il ventaglio di strumenti giuridici più potente che il Mondo conosca ed una capacità di mobilitazione civile senza pari.
Tra questi ricordo almeno Gian Carlo Caselli, che in particolare ha candidato con argomenti puntuali proprio Torino (in lizza ci sarebbero anche Milano e Roma: deciderà il governo). Ma è proprio su questo punto, che oltre che essere simbolico è politico, che rischia di “cascare l’asino”: a leggere i documenti che hanno portato tra il 2018 ed il 2022 Consiglio europeo e Commissione ad individuare come prioritario l’impegno anti riciclaggio, tanto da definire una dettagliata strategia per gli anni 2019-2024 che comprende la istituzione della autorità, si ha l’impressione che il “male” contro il quale l’Ue voglia scagliarsi sia quello del terrorismo internazionale. Prova ne sia che la sigla integrale con la quale si fa riferimento alla nuova autorità è: Aml-cft, Countering the Financing of Terrorism cioè contrasto al finanziamento del terrorismo. Che il terrorismo di matrice internazionale sia un “male” da contrastare anche sul piano finanziario è fuor di dubbio, ma per il resto i documenti europei fanno genericamente riferimento al crimine “trans-frontaliero”, cioè a tutte quelle attività illegali che si sviluppano sul territorio di più Paesi europei, dalle frodi, alle truffe, dal contrabbando, al narco traffico. Insomma: ancora una volta i documenti europei sembrano ignorare quel “male” specifico e pericoloso che sono le mafie, italiane e non, che hanno caratteristiche ontologiche che le rendono differenti da ogni altra organizzazione criminale, ancorché internazionale.
Le mafie sono mafie proprio per la capacità che hanno di contendere al potere legale quote di agibilità, puntando a condizionare l’esercizio del potere pubblico, fino a farlo deragliare dalle proprie finalità costituzionali, a ciò puntando tanto attraverso la corruzione, quanto attraverso il sistematico ricorso al potere di intimidazione, che si è storicamente fondato sulla capacità di azioni non soltanto omicidiarie e stragiste, ma terroristiche, per il loro valore simbolico. La storia di Giorgio Ambrosoli dovrebbe servire a questo: a comprendere la specifica portata eversiva dell’ordine democratico di organizzazioni che non vogliono soltanto arricchirsi illegalmente, ma che puntano alla sistematica perversione dell’esercizio delle funzioni pubbliche. E dire che le morti di Jan Kuciak (Slovacchia), Dafne Caruana Galizia (Malta) e Peter De Vries (Olanda) avrebbero dovuto far aprire gli occhi alle istituzioni europee, perché sono stati assassinati giornalisti con la schiena diritta che stavano indagando sui rapporti tra mafie, imprenditoria e politica.
Ammazzare un giornalista dovrebbe sempre essere considerato anche un atto di terrorismo: perché punta a mortificare una delle attività essenziali della democrazia e cioè la libertà di pensiero, che fonda la libertà di stampa. La storia italiana dovrebbe servire di più alla coscienza europea: contra il terrorismo tradizionalmente inteso, di matrice interna o internazionale, che punta a far collassare l’ordine costituito si può vincere, contra la mafia che adopera il terrorismo per fiaccare l’ordine costituito e renderlo malleabile, si può vincere, ma ad oggi non si è ancora vinto. Nemmeno in Italia.
La candidatura dell’Italia ad ospitare l’autorità anti riciclaggio e di contrasto al finanziamento del terrorismo si configuri dunque anche per questo: per la volontà di affermare sul piano delle politiche di sicurezza e di difesa delle libertà in Europa, la centralità del contrasto alle mafie, per come le abbiamo capite riflettendo sulla storia tragica di Giorgio Ambrosoli, per come le abbiamo sapute descrive nell’articolo 416 bis del Codice penale italiano, che tanto farebbe bene inserire, sine glossa, in un auspicabile codice penale europeo.
 
Tratto da: ilfattoquotidiano.it

Foto © Imagoeconomica

Ti potrebbe interessare...

ANTIMAFIADuemila
Associazione Culturale Falcone e Borsellino
Via Molino I°, 1824 - 63811 Sant'Elpidio a Mare (FM) - P. iva 01734340449
Testata giornalistica iscritta presso il Tribunale di Fermo n.032000 del 15/03/2000
Privacy e Cookie policy

Stock Photos provided by our partner Depositphotos