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Credenti o credibili

(Racconto degli ultimi 57 giorni di Paolo Borsellino)

Mannheim, Germania. Paolo Borsellino, il tenente Carmelo Canale e la sostituto procuratore Teresa Principato sono in trasferta per interrogare Gioacchino Schembri, mafioso di Palma di Montechiaro (Agrigento). Arrestato in una recente operazione antimafia, è sospettato di essere coinvolto nell’omicidio del giudice Rosario Livatino; la pizzeria Goldener Kegel che gestisce da anni in Germania serve infatti a fornire copertura e rifugio a latitanti della nuova mafia agrigentina denominata Stidda.
Livatino era stato ucciso il 21 settembre 1990 (a 38 anni) mentre senza scorta, a bordo della sua auto stava percorrendo la statale 640 che da Canicattì (Ag), lo portava in tribunale. Aveva collaborato con lo stesso giudice Borsellino e con Giovanni Falcone portando una serie di informazioni utili - provenienti dalla sua provincia - all’istruzione del Maxiprocesso. Aveva scoperto le relazioni internazionali fra la mafia siciliana e quella statunitense attraverso una intercettazione ambientale fatta in Canada e misteriosamente archiviata. Da alcune fatture false era riuscito a risalire ad un giro di fondi neri e all’accordo spartitorio tra mafia, imprenditoria e politica. Era stato tra i primi ad applicare la norma sul sequestro dei beni ai mafiosi, e non si era fatto scrupoli nell’ordinare il sequestro di edifici abusivi - senza attendere la fine del processo - nella cittadina dove era nato e dove viveva.
Il giorno del suo omicidio - a cui assistette un passante la cui testimonianza si rivelò determinate alle indagini - è proprio Paolo Borsellino a recarsi sul luogo ed a sollevare il lenzuolo sotto cui giace il corpo del suo giovane collega.
Le sue parole in occasione dell’assemblea dell’ANM convocata il primo ottobre 1990 “(…) il viso innocente di bambino di Rosario, sforacchiato da colpi micidiali, che mi è apparso in fondo alla brulla scarpata sotto il lenzuolo bianco, il cui lembo non ho potuto fare a meno di sollevare, mi ha immediatamente richiamato alla memoria tanti altri visi di colleghi ed amici, colpiti anch’essi nella loro giovinezza o maturità dalle mani omicide che percorrono questa terra, impunite e con terrificante sicurezza di perdurante impunità.
Subito dopo ho riascoltato esplodere lo sciacallaggio morale di chi, anche tra colleghi, non trova di meglio che addebitare alla stessa magistratura siciliana la responsabilità di questi tragici eventi, risollevando stantie argomentazioni che dimenticano come tutto quello che contro la mafia si è fatto in Sicilia è stato opera di magistrati siciliani e dei loro collaboratori, nonostante la scandalosa assenza delle altre Istituzioni dello Stato che vi dispiegassero doverosamente tutti i mezzi e gli sforzi dovuti.

Non è difesa corporativa. Se ci sono mele marce vanno individuate, punite ed eliminate, ma non deve essere consentito a nessuno avvalersi di queste tragiche occasioni per liberarsi a poco prezzo di magistrati scomodi che cercano di fare tutto il loro dovere, e spesso molto di più, in condizioni di lavoro inammissibili in un paese civile”.
In ogni intervento pubblico il giudice da sempre usa parlare fuori di denti, affrontare temi che molti altri preferiscono non affrontare poiché si tratta di prese di posizioni scomode che possono determinare isolamento e pesanti ricadute.In quel momento Paolo Borsellino è anche presidente della sezione distrettuale dell’Associazione Nazionale Magistrati di Palermo ed intende portare l’attenzione sulle condizioni materiali e morali in cui la magistratura siciliana è costretta ad operare e su come sia “sottoposta ad inconcepibili aggressioni da troppo tempo”.
In Germania ad accogliere il tenente Canale, e i giudici Teresa Principato e Paolo Borsellino le misure di sicurezza sono imponenti; c’è una scorta armata e otto auto blindate. Nell’albergo dove soggiornano è attivo un sistema di intercettazioni telefoniche che registra tutte le chiamate in entrata ed in uscita e tutti gli ospiti dell’hotel sono controllati attraverso un metal detector.
Paolo Borsellino vorrebbe entrare in un negozio per acquistare un regalo, le teste di cuoio tedesche glielo proibiscono finché non hanno effettuato la bonifica all’interno. I tre sono sorpresi, in Italia un livello di sicurezza così non è nemmeno pensabile.
L’indomani Schembri inizia a rispondere alle domande di Borsellino, che conosce di fama, ma la sua collaborazione diventerà formale solo dopo la strage di via d’Amelio, quando estradato in Italia godrà di un sistema di maggiori garanzie offerte dalla legge sulla protezione dei pentiti corretta ed ampliata solo a fine luglio 1992.
Mancano pochi giorni all’attentato di via D’Amelio, Paolo Borsellino ha appena fatto il suo ultimo viaggio all’estero; ha incontrato quello che diventerà un pentito fondamentale nella ricostruzione della mappa delle cosche agrigentine, nonché il principale accusatore dei quattro killer del giudice Livatino.
Continua senza sosta le sue indagini, ha poco tempo Paolo Borsellino e deve fare presto…

Foto © Imagoeconomica

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