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Che fine ha fatto l’antimafia sociale?
Avendo dedicato quindici anni della mia vita all’impegno antimafia della società civile oggi mi chiedo come mai quella che sembrava una marcia trionfale si sia così rapidamente ridimensionata fino quasi a scomparire. 
Nel giro di pochi anni, infatti, eravamo riusciti a portare alla denuncia in Sicilia occidentale oltre trecento imprenditori ma dal 2015 in poi il fenomeno si è rapidamente ridimensionato. 
Quando nel 2004 fondammo Addiopizzo a Palermo introducemmo un forte elemento di novità nella lotta al racket, sensibilizzando e responsabilizzando i cittadini consumatori che apprezzarono numerosi l’idea del PAGO CHI NON PAGA (il pizzo). Il risultato fu che numerosi imprenditori, incoraggiati dal sostegno di tanti consumatori e dal sostegno che lo Stato garantiva loro iniziarono a denunciare e collaborare con le Forze dell’ordine. Fu così che nel 2007 costituimmo l’associazione di imprenditori antiracket Liberofuturo che forniva gratuitamente assistenza e appoggio prima durante e dopo le denunce. 
Le nostre associazioni godevano del pieno appoggio delle istituzioni e in particolare Liberofuturo divenne punto di riferimento di tanti imprenditori della Sicilia occidentale promuovendo anche la nascita di nuove associazioni a Termini Imerese, Partinico, Castellammare del Golfo, Castelvetrano, Bagheria, Agrigento. 
Fornivamo agli imprenditori assistenza legale gratuita sia per la costituzione di parte civile che per le pratiche di accesso al fondo di solidarietà istituito gestito dal Commissario antiracket nazionale. 
Oltre ad assistere gli imprenditori in fase di denuncia e durante le indagini che talvolta duravano mesi, li spingevamo a costituirsi parte civile nei processi sostenendo senza indugi il ruolo accusatorio dei Magistrati e mandando un segnale inequivocabile di rottura ai mafiosi. 
Con grande soddisfazione posso dire che per tutti loro la rottura con gli estortori è poi risultata definitiva e a tutt’oggi i loro nomi non sono più stati ritrovati nei libri mastri della mafia. 
Per dieci anni, fino al 2015, le operazioni di polizia in Sicilia occidentale si sono susseguite numerose, il tribunale delle misure di prevenzione di palermo disponeva sequestri senza sosta, le denunce degli imprenditori aumentavano come mai in passato e gli imprenditori ottenevano, sia pure con qualche difficoltà, sostegno dal fondo di solidarietà per le vittime di mafia. Anche Confindustria con Montante cavalcava l’antimafia producendo denunce di imprenditori vessati ma, come vedremo, tessendo anche una rete di rapporti illeciti finalizzati all’arricchimento. 
Quando però nel 2015 scoppiò finalmente è con grave ritardo (perché tutti sapevano) il caso Saguto e poi nel 2018 il caso Montante l’antimafia sociale divenne improvvisamente poco interessante, poco utile e addirittura fastidiosa. Come nel caso di Liberofuturo che non aveva mai fatto mancare le sue critiche alle distorsioni e ai gravi errori commessi dalle istituzioni. 
In particolare:
avevamo contrastato aspramente certe interdittive contro imprese incolpevoli (vedi ad es. la SIS che stava realizzando il passante ferroviario di Palermo),
Avevamo sostenuto le denunce di Telejato prima e del Prefetto Caruso poi  contro il sistema Saguto spingendoci, “addirittura”, a sostenere i Virga di Marineo finiti nel mirino delle misure di prevenzione con un “sequestro record” pochi mesi prima che la Saguto fosse travolta dalle indagini. 
Con la crisi dell’antimafia istituzionale (Montante e Saguto) il Ministrro degli Interni, il Commissario antiracket e le prefetture cambiano strategia tagliando le gambe al movimento antiracket della società civile. Ben quattro associazioni del circuito di Liberofuturo vengono accusate di aver favorito interessi mafiosi e messe all’indice nel 2017 e 2018 e l’allora Prefetto di Palermo, esplicitando il nuovo orientamento suo e del Ministero, disse, in occasione della ricorrenza dell’omicidio di Libero Grassi, che gli imprenditori che denunciavano spesso lo facevano per interesse mentre quelli che decidevano di denunciare soltanto dopo essere stati chiamati dagli inquirenti non meritavano alcun sostegno da parte dello Stato. Contraddicendo, peraltro, non solo il buon senso ma anche quanto previsto dalla legge. 
Fu così che numerosi imprenditori che avevano denunciato una e più volte i propri estortori ed erano stati dichiarati vittime nelle sentenze furono interdetti perdendo anche importanti appalti e finendo in rovina vedi Amato di Partinico, Di Salvo di Bagheria e gli Impastato di Misilmeri). Altri, come i Virga o i Diesi, furono invece colpiti dai provvedimenti di sequestro e messi letteralmente in ginocchio. 
In conseguenza di ciò, le nostre quattro associazioni che si erano distinte per aver accompagnato alle denuncia centinaia di imprenditori anche in territori difficili come quelli delle province di Palermo, Trapani ed Agrigento furono messe al bando. 
Noi naturalmente sapevamo che le vere ragioni di tali gravi provvedimenti erano altre e a distanza di poco tempo ne abbiamo avuto conferma. 
Infatti sia gli Amato che i Di Salvo e gli Impastato, a distanza di tre anni e a seguito di ricorso, sono stati reinseriti in White list dalla Prefettura di Palermo e i Virga e i DiesI hanno avuto restituiti i beni dal tribunale delle misure di prevenzione. 
Pertanto adesso le Prefetture di Palermo e Trapani dovrebbero spiegare come mai hanno fatto tanto danno mentre invece, con una notevole faccia tosta, lanciano appelli agli imprenditori che non denunciano. Dovrebbero piuttosto spiegare come mai prima del 2015 denunciavano in tanti al contrario di adesso. 
Possiamo solo complimentarci con loro, bravi davvero, neppure la mafia sarebbe riuscita ad ottenere un risultato così significativo. 
A parte lo scherzo è volendo concludere questa riflessione dico che chi di dovere dovrebbe interrogarsi sul fatto che le lotta alla mafia, a parte l’azione incessante e consistente svolta dalla magistratura inquirente contro le cosche, è sostanzialmente fallimentare. I sequestri e le interdittive troppo spesso colpiscono imprese e imprenditori incolpevoli e la gestione dei beni sequestrati e confiscati è quasi sempre fallimentare. Gli imprenditori vessati dalle cosche, in questo quadro è vedendo che il percorso di chi denuncia è pieno di difficoltà quando non addirittura disastroso, preferiscono continuare a subire tacendo.

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