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Nella società odierna il tema dell’esclusione sociale è sempre più centrale. Victor Matteucci, nel saggio “Gli estranei” (Nuova Ipsa editore), presentato nei giorni scorsi a Palermo, fa un’analisi a trecentosessanta gradi denunciando non solo la presenza di milioni di uomini e donne divenute estranee del mondo, ma anche la rabbia sociale nelle periferie italiane, la violenza delle manifestazioni di protesta, il disagio giovanile, la precarietà esistenziale, i femminicidi ed il razzismo. Lo abbiamo raggiunto per capire le conclusioni a cui è giunto e riflettere nell'idea di un cambiamento possibile.

Victor Matteucci, questo libro presenta un’interessante analisi politica e sociale. Chi è l’altro? Chi sono gli estranei?
L’altro, gli estranei, sono tutti quelli che non appartengono direttamente alla nostra società o che non compresi nel contratto sociale. Quindi innanzi tutto c’è un perimetro economico di inclusione sociale. Più in generale c’è un vizio ideologico tutto occidentale, tutto europeo, secondo cui noi siamo noi e gli altri sono appunto fuori dal mondo, perché il mondo lo determiniamo noi. La fotografia più chiara di questo è avvenuta con la cosiddetta scoperta dell’America, con lo sbarco di Cristoforo Colombo a San Salvador il quale, una volta giunto nella spiaggia davanti agli indigeni esterrefatti redige l’atto di possesso di quella terra in nome del Re di Spagna. Questa è una fotografia emblematica con cui ha inizio la storia moderna. Qui si sancisce chi esiste e chi non esiste, chi non è riconosciuto. Questa immagine è storica perché da qui in avanti l’occidente ha sempre ripetuto questo comportamento di non riconoscimento degli altri e naturalmente bisogna distinguere chi sono gli altri fuori dall’occidente anche da un punto di vista geopolitico e quindi i Paesi in via di sviluppo e i Paesi cosiddetti Terzi, che sono fuori dall’occidente e fuori dall’Europa. E ci sono anche estranei altri dentro l’occidente. Ad esempio nelle periferie delle città o quelli esclusi dal lavoro o coloro che sono subalterni, gli immigrati, anche le donne sono un soggetto tipicamente considerato parzialmente estraneo e discriminato dentro l’Europa e dentro l’occidente. Insomma il mondo degli altri è un mondo molto complesso con figure molto contraddittorie che vanno dalla devianza al disagio, alla disoccupazione, al lavoro superfluo, alle minoranze etniche, alle donne e a una serie di figure che sono sintetizzabili in soggetti o “scarto” dell’occidente o discriminate e funzionali dentro il perimetro occidentale, con una posizione subordinata rispetto ai diritti, alle opportunità e alle prospettive di sviluppo.

G: cosa significa stare dentro la società oggi?
Nel 900 stare dentro la società significava stare dentro il patto sociale, ovvero avere un lavoro, un contratto possibilmente a tempo indeterminato. Questa era la chiave di accesso e di reddito, segno distintivo degli inclusi che erano appunto coloro che godevano di un lavoro e quindi avevano competenze, manuali, intellettuali o di altra natura. Quelli che non avevano questo riconoscimento e questa inclusione del lavoro erano gli esclusi. Tutto il 900 che era basato su un’economia solida, industriale, sul petrolio e l’acciaio, quindi molto materiale, era costruita con il lavoro come discrimine centrale: punto di riferimento per gli esclusi e per gli inclusi. Come giustamente ha spiegato Bauman in questo nuovo millennio il punto di riferimento e di inclusione non è più il lavoro, bensì i consumi, ovvero la possibilità di consumare e di avere accesso ad una serie di merci. Tanto più le merci sono inutili e tanto più hanno valore di “posizione” perché posizionano l’identità e l’appartenenza sociale. Quindi tanto più uno ha accesso ha prodotti e servizi non necessari e non utili, quindi distintivi, tanto più questa persona è inclusa. Quindi è il consumo il recinto entro cui si stabiliscono le inclusioni. E questo spiega anche la corsa ai consumi anche da parte dei giovani, nel disperato tentativo di essere riconosciuti e di essere considerati inclusi dentro la società. Non è più il lavoro che fa la differenza ma la capacità di avere macchine e vestiti di lusso, griffati, accesso a beni e servizi possibilmente con un brand famoso o largamente riconoscibile. Oltre ai consumi, un altro limite, un altro confine, è dato dall’accesso ai servizi e alle competenze. Questo è un livello più alto di inclusione o esclusione. La mancanza di connessione, ad esempio, il fatto che una persona possa non avere accesso a informazioni o competenze, bandi o opportunità questo determina la sua esclusione. Non è più importante, come nel ‘900, essere fisicamente vicini alla città o essere vicini al centro direzionale. Oggi è possibile essere anche fisicamente molto lontani ma essere connessi e viceversa è probabile che a volte si verifichi la condizione secondo cui qualcuno è molto vicino al centro direzionale, magari vive vicino Via Maqueda o vicino al Palazzo delle Aquile, ma magari è disconnesso e quindi è lontano da un punto di vista delle possibilità di inclusione.
Quindi siamo passati da una dimensione materiale a una immateriale dell’inclusione: i consumi da un lato sono il discrimine per ‘inclusione e dall’altro l’accesso a informazioni, servizi e opportunità. È ovvio che quando un sistema ti educa ad avere vizi, a consumare a tutti i costi, al consumo sfrenato, è ovvio che si verifica spesso che molti hanno accesso anche ad auto di lusso e vestiti di moda ma magari non hanno una casa o un titolo di studio. Quindi si tratta di una inclusione temporanea. Si tratta di accessi e connessioni di breve durata e poi si è di nuovo esclusi quando l’esibizione di questa merce è finita perché on vi è la sostenibilità dietro questi consumi a volte anche di lusso.

G: il concetto di essere e non essere nella società come si è trasformato nel tempo?
Essere significa avere un’identità e un riconoscimento che prima era dato dal lavoro e oggi… comunque le competenze e l’accesso ad opportunità e a informazioni di qualità, alta informazione, questo è un elemento che consente di esserci. Le risorse del sistema… siamo in una condizione in cui il nostro sistema di produzione non è più…. Da tantissimi anni è in fase espansiva. Quindi le risorse stanno continuamente diminuendo e questo produce una continua esclusione dei ceti sociali ad esempio come la classe media che non c’è più, tanto meno la piccola borghesia che è stata polverizzata. Rimane in piedi la classe sociale di riferimento dello Stato che fa parte della sfera pubblica, in funzionari pubblici e la funzione pubblica come gli addetti alla scuola, ai servizi istituzionali ecc. questa è la classe che rimane ancora visibilizzata da un punto di vista di garanzie… ma tutto quello che era il corpo sociale operai degli anni del 900 non c’è più. la produzione in linea come la conoscevamo non c’è più, le città fabbrica si sono ristrutturate. Torino non è più quella industriale del 900 così come Milano, perché appunto siamo entrati in un’altra logica di consumi e quindi in questo senso, come dicevo prima, contano molto le competenze e l’accesso alle informazioni e alle connessioni. Naturalmente nonostante questa esclusione di massa, questa precarietà diffusa di questa fase contemporanea, come noto nessuno si ribella. C’è una rabbia sociale molto diffusa che episodicamente fuoriesce, come ad esempio le manifestazioni “no vax” ad esempio sono chiaramente un residuo di rabbia sociale che testimonia chiaramente un rancore, una rabbia molto istintiva, che protesta ma senza una consapevolezza della condizione in cui si è. Sentono di essere esclusi e di non avere accesso alle opportunità, sentono di essere uno scarto sociale e di vivere una condizione precaria sempre molto instabile. Questo crea un disagio continuo ma il sistema ha trovato un modo per sedare la società, un modo per evitare rivolte e ribellioni, disobbedienze. Queste anestesie totali, locali sono il frutto di un diffuso utilizzo dei social e di questo rapporto con la rete internet. Naturalmente è una falsa libertà in quanto si tratta di uno spazio di compensazione. Com’è noto i social producono dei gruppi abbastanza omogenei e quindi c’è un'esaltazione delle proprie idee così spontanea che ha una funzione di spendere e di consumare la rabbia e diluire il rancore sociale. Quello dei social è un fenomeno che dovremmo considerare con attenzione perché, come vedremo continuamente, molti esperti dicono che ci sono 3/4 società monopoliste fuori controllo: microsoft, google, apple. Non soltanto per le risorse enormi che hanno guadagnato, bensì perché hanno immagazzinato una mole di dati sensibili di ognuno di noi a livello planetario e sono in grado, attraverso algoritmi, di influire in ogni nostra interattività. Ogni volta che noi mettiamo like e interagiamo con i social l’algoritmo migliora il nostro profilo raccogliendo dati di giusti orientamenti sessuali o politici. Si tratta di una accumulazione di dati e informazioni che al momento non ha identità commerciale e di mercato, ma è un pericolo molto pesante perché chi detiene una tale mole di informazione è chiaro che può indurre, può orientare mode, gusti, opinioni politiche e culturali. Secondo me si parla in questi ultimi periodi di socialtotalitarismo. Totalitarismo è un termine che non si usava più dagli anni 50/60, l’ultima ad usarlo è stata Hannah Arendt. Se torna di moda vuol dire che ci sono dei rischi all’orizzonte che i social, questa interazione che abbiamo a livello planetario, contengono.
Quindi oggi essere o non essere significa essere sedati all’interno di un mondo sempre più lontano dalla società civile a livello di direzione, di strategie di potere e di comando. La distanza oggi è incredibile. Le multinazionali quando non hanno più un profitto considerevole, lo abbiamo visto in Italia più volte chiudono i battenti e li riaprono in un altro Paese. C’è una velocità e una flessibilità del capitale a cui non può far seguito una flessibilità dei lavoratori che spesso rimangono senza lavoro.
Diciamo che oggi essere non significa rassegnarsi al fatto di essere temporaneamente inclusi, accettare l’idea che un contratto può essere solo precario e tutto questo rapporto a termine, precario e temporaneo si riflette sulla vita sociale, perché è chiaro che un individuo che ha una mansione, un’inclusione temporanea precaria ed instabile avrà accesso a relazioni che saranno inevitabilmente influenzate da questa precarietà e quindi saranno precarie e instabili. Tutto questo ha riflessi sulle famiglie e quindi produce conseguenze che pagano i soggetti più vulnerabili e quindi soprattutto i giovani che sono senza punti di riferimento legati soltanto ai loro telefonino e alla rete che da loro un’illusoria esistenza virtuale e planetaria

G: che peso ha in questo senso lo svilimento dell’informazione o della formazione culturale?
E' decisivo, l’accesso alle informazioni e alla formazione è il recinto del nuovo medioevo. Nel 900 si parlava di medioevo atomico, oggi potremmo parlare di un medioevo informatico. Cosa si intende per medioevo? Un gruppo elitario di persone che vive al riparo, dentro le mura, e che ha una serie di sistemi di sicurezza. Nel medioevo storico era il poter elevatorio, oggi sono tutti i linguaggi criptati, le password, le carte di credito, i circuiti a pagamento, le informazioni riservate, l’accesso a siti e portali a cui è possibile accedere solo con un riconoscimento, un’identificazione e un accesso selettivo. Quindi l’informazione, la possibilità di accedere o meno all’informazione, fa la differenza fra essere dentro o fuori le mura. L’informazione rappresenta quello che era il muro nel medioevo storico, quello che distingue i servi della gleba dai feudatari e dagli inclusi. Ancora più decisiva è la capacità di avere un’alta formazione. La formazione significa avere accesso alle competenze. Ma anche qui, per avere accesso alla formazione e quindi alle competenze e dalle competenze avere accesso ad un lavoro, occorre essere riconosciuti. Ma per fare questi passaggi intanto bisogna essere nelle condizioni sociali per accedere a queste opportunità. Inoltre bisogna essere da un punto di vista identitaria dei soggetti affidabili, quindi significa abbastanza conformisti, abbastanza funzionali per il sistema. Questo è possibile a sua volta con un equilibrio che gli individui possono avere o meno. E come stavo spiegando prima chi vive in modo precario, come gli emarginati o gli esclusi, naturalmente non hanno questo equilibrio che possa dare luogo di accedere alla formazione o alle nuove competenze. Tra l’altro sono sempre più mistificate e immateriali. Quindi si tratta di accesso a competenze e servizi e conoscenze spesso molto complesse. Da forme che vanno gestite e di cui occorre conoscerne l’utilizzo. E poi queste piattaforme ti consentono di procedere se hanno una serie di dati, bilanci per esempio o curriculum, e una serie di elementi che provavano una esistenza, una storia coerente e funzionale agli obiettivi della piattaforma. Tuto questo è ciò che sta accadendo negli ultimi anni. Accanto a tutto ciò ci sono gli esclusi storici che non dobbiamo mai dimenticare: naturalmente la devianza, il disagio, sono esclusi congeniti al sistema. Così come sono esclusi o parzialmente inclusi gli immigrati perché hanno sempre un ritardo in quanto vengono da un altrove, dal mondo degli altri e quindi scontano la loro estraneità. Un’estraneità che richiede generazioni. E comunque tutti gli immigrati per quanto potranno essere inclusi saranno sempre parzialmente degli intrusi. Infine ci sono le donne che non dobbiamo dimenticare. Si consuma da centinaia e migliaia di anni una discriminazione interna funzionale a un sistema maschilista che in qualche modo utilizza le donne in un ruolo secondario riguardo alla gestione della famiglia ecc… le rivendicazioni e l’emancipazione delle donne in Italia ha messo in crisi un po’ il meccanismo delle famiglie e del sistema sociale. Naturalmente è una dinamica lunghissima quella tra maschi e femmine, io la ritengo una guerra che avanza da tantissimo tempo che ha un morto ogni due giorni. Eppure è un conflitto non riconosciuto, così come le vittime dell’immigrazione anche quello è un conflitto che non riconosciamo.
Insomma, gli estranei sono figure molto difformi tra loro e sono purtroppo tutte funzionali. La cosa drammatica è che questi estranei non sono un incidente di percorso ma sono funzionali a un sistema che utilizza queste figure e ha bisogno degli estranei, del lavoro superfluo.

G: Se si può, come poter uscire da questa crisi socio-culturale e sociale? 
E' molto complesso poterne uscire. Adesso la distanza tra i luoghi e le modalità di comando rispetto alla società civile è aumentata di molto. Io ritengo che il sistema in cui viviamo è un sistema parassitario, che come i parassiti consumano tutto ciò che toccano: dal territorio all’ambiente, dalle risorse umane… è un sistema abbastanza ottuso che avanza distruggendo e cibandosi, consumando tutto quello su cui attecchisce. Gli effetti li iniziamo già a vedere. Questo modo insensato di accumulare, di sfruttare il territorio, le persone, da indice di cedimento. La terra e l’habitat in cui viviamo risponde con delle crisi, il cambiamento climatico, le conseguenze sul territorio, sullo stile di vita che stiamo vivendo. Naturalmente questo sistema di consumo spregiudicato e di sfruttamento continuo prima o poi arriverà al suo limite. Perché la terra è limitata e la possibilità di avere terre vergini o persone nuove da sottomettere, da colonizzare e sfruttare è sempre più ridotta, nonostante il sistema è molto innovativo e per esempio cerca continua territori su cui espandersi e creare prodfitto: l’ultima è appunto legata alla green economy, ovvero a quel sistema totalitario di cui parlavo prima che è molto pericoloso. Noi inizialmente pensavamo che la green economy fosse la salvezza e la speranza di liberazione dai lavori più usuranti per esempio e che potesse essere un sistema in grado di creare una nuova civiltà, una integrazione tra le persone. Come si vede i social invece producono individualismi e anche rabbia, violenza.
Quindi, come uscirne. Tutti i tentativi di rivolta e rivoluzione, disobbedienza civile e politica fin qui non hanno avuto successo e non hanno prodotto un’alternativa. A volte alternative temporanee. Nel 900 soprattutto tutte le ipotesi di rivolta e di disobbedienza dei movimenti studenteschi e tutto ciò che è accaduto durante la seconda meta del 900 era il tentativo di evitare questa deriva e non hanno avuto successo. Di fatto in Italia, dopo il ’94, con il crollo della prima repubblica e l’inizio della seconda, noi abbiamo vissuto una lunga stagione di deriva culturale, politica ed economica, che sia si sta trascinando tutt’oggi con un crisi che sembra senza vie di uscita. Purtroppo al momento la possibilità di uscita è soltanto nell’esaurimento di un sistema e nella sua capacità di consumare ancora. Ora, o questo limite siamo in grado di determinarlo noi, moderando, attenuando e riconducendo ad una ragionevolezza, ad un buon senso collettivo questo sistema, oppure sarà il limite naturale a porlo prima o poi, in una sorta di determinismo storico che prima o poi sancirà. Ma questa sarà la fine anche di tutti noi. È chiaro che se il sistema continua a consumare all’infinito con danni e conseguenze le pagheremo tutti.

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