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Numerosi Paesi coinvolti, tra cui: Yemen, Brasile, Perù e Pakistan e Africa

Il Global Financial Integrity di Washington - fondazione no-profit considerata uno dei più importanti centri di analisi sui flussi finanziari illeciti - ha dichiarato che circa il 10% dei 180.000 trapianti praticati ogni anno è illegale, e frutta al mercato nero e alle mafie fino a 1,4 miliardi di dollari. Sono numeri calcolati per difetto poiché non si sa con certezza quante vittime passino "sotto i ferri" dei chirurghi compiacenti di questo lugubre mercato.
La commercializzazione degli organi si basa su una rete di collegamento che integra al suo interno trafficanti, brokers internazionali e professionisti sanitari compiacenti che si occupano di "reclutare" i "donatori", eseguire le operazioni necessarie e infine trasportare gli organi verso le strutture sanitarie di riferimento dei compratori.
Alla base di questo mercato sempre più florido vi è la lunghezza delle liste di attesa per avere un trapianto e l’urgenza che molti pazienti hanno a causa di malattie terminali. Infatti l'incapacità dei sistemi sanitari di soddisfare la richiesta di organi avrebbe portato alla rapida espansione di questo mercato parallelo, appoggiato anche da alcuni Paesi compiacenti la cui legislazione non è adatta - oppure non è ancora ben definita - a combattere questo tipo di fenomeno criminale.
Infatti questa rete di trafficanti sfrutta le differenze tra i vari sistemi giuridici al fine di camuffare i trapianti illegali come delle donazioni volontarie. Gli organi illecitamente acquistati divengono “legittimi” grazie all’integrazione nelle istituzioni sanitarie tradizionali e nei servizi sanitari nazionali che seguono il malato dopo l’intervento, rendendo questi trapianti dei crimini invisibili.
Sebbene il numero di segnalazioni sulle vittime della tratta di esseri umani a fini di espianto di organi sia aumentato, solamente 700 vittime sono state individuate in 25 paesi nel periodo 2006-2019.
Un altro dato calcolato per difetto poiché è soltanto nel 2004 che l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha esortato i governi a prendere misure contro questo crimine e a proteggere i più vulnerabili. Tale spinta ha poi portato alla sottoscrizione della Dichiarazione di Istanbul nel maggio del 2008, in cui più di 150 ricercatori scientifici di 78 Paesi diversi hanno concluso che i trapianti a fini commerciali, il traffico di organi - detto anche "mercato rosso" - e il “turismo dei trapianti” dovrebbero essere pratiche universalmente vietate.
Nella Dichiarazione si è stabilito inoltre che per "traffico di organi" si intende “il reclutamento, il trasporto, il trasferimento, l’occultamento o la ricezione di persone viventi o decedute o dei loro organi attraverso la minaccia, l’uso della forza o di altre forme di coercizione oppure mediante il rapimento, la frode, l’inganno, l’abuso di potere o lo sfruttamento di una posizione di vulnerabilità” e che per "turismo degli organi" si intende quella tipologia di trapianti illegali eseguiti all’estero, in molti casi nel Paese d'origine del "donatore" stesso.

Da dove "attingono" i dottori della morte?
La categoria di persone che questo mercato sfrutta per ottenere gli organi necessari sono i migranti provenienti prevalentemente dall’Africa e dal Medio Oriente, in fuga da guerra, povertà, dittature e disastri ambientali o sociali.
E purtroppo non sono esclusi i bambini, molti dei quali una volta giunti sulle coste Europee spariscono nel nulla, oppure vengono ritrovati a distanza di alcune settimane senza un organo come ad esempio un rene.
Secondo i dati del progetto Counter-Trafficking Data Collaborative, gestito dall’International Organization for Migration (Iom), le vendite dei cinque organi maggiormente richiesti sul mercato sono: reni, fegato, polmoni, cuore e pancreas.
I primi due, che possono provenire anche da donatori viventi, sono i più comuni e meno costosi. I trapianti di organi interi hanno invece un prezzo più elevato perché richiedono donatori deceduti.
Emblematica è stata l'inchiesta sul maxi-traffico di organi in Pakistan del giugno del 2017 che ha portato alla luce il caso di Bushra Bibi che ha venduto un rene per sostenere le spese mediche del padre. La sua vita però ne è stata devastata: "Ho molti problemi. Faccio fatica a lavare i piatti e anche spazzare per terra è difficile - ha detto la ragazza ai giornalisti che sono andati a intervistarla - La gente si lamenta quando non faccio bene il mio lavoro ma non rivelo mai il mio segreto. Ho avuto cinque figli e potete immaginare come ho passato la gravidanza".
Ma il suo caso purtroppo non è stato l'unico ad essere nel filo di quell'inchiesta. Dei 25mila pachistani che ogni anno perdono la funzionalità renale, solo il 10 per cento finisce in dialisi e il 2,3 per cento riceve un trapianto.
Inoltre, al tempo, un reporter dell’agenzia France Presse era entrato in un rinomato ospedale della capitale, Islamabad, a chiedere quali possibilità ci fossero di potere avere un rene da trapiantare. La risposta alla sua richiesta fu soddisfatta in pochi minuti poiché è stato messo in contatto con un intermediario che ha promesso, in cambio di 23mila dollari, un donatore e un permesso governativo per l’intervento.
Oppure molte storie simili provengono tutt'ora dallo Yemen - dove già da prima dello scoppio della più grave crisi umanitaria nella quale il Paese versa oggi - in cui la pratica di vendere i propri organi in cambio di somme di denaro (300 dollari per un rene) rimane molto diffusa tra le persone meno abbienti.
La situazione in Europa non si discosta molto da quelle menzionate fino ad adesso. Secondo un rapporto della Commissione europea tra il 2013 e il 2014 i Paesi UE hanno registrato 15.846 vittime della tratta degli esseri umani. Tre quarti di loro, il 76%, sono donne e ragazze. Due vittime su tre, ben il 67%, hanno subito uno sfruttamento sessuale, il 21% altri tipi di sfruttamento e lavoro forzato mentre il 12% è stato vittima di servitù domestica, obbligate o a mendicare o sottoposte al prelievo degli organi.
Mentre in Sud America, Organs Watch, una Ong che tiene traccia delle vendite illegali di organi, stima che vengano venduti sul mercato internazionale sudamericano all’incirca 20.000 reni all’anno per un prezzo di circa 150.000 dollari a intervento. Sono le gang clandestine i principali beneficiari e mediatori di questo mercato. Nello specifico, uno studio del 2005 per Foreign Policy, ha rilevato che un rene viene venduto in media per 10.000 dollari in Perù e circa 6.000 dollari in Brasile, offrendo ai broker un potenziale margine di profitto di oltre il 1000%. Secondo un rapporto di CQ Global Researcher, spesso le vittime vengono attirate dalle gang attraverso l’offerta di un lavoro (all’interno del circuito illegale) prima di rapirle e minacciarle di morte nel caso in cui rifiutino di sottoporsi all’intervento.
Inoltre nel 2018 l’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo) ha stimato che circa 40 milioni di persone sono state vittime della tratta di esseri umani: circa il 90% di tutti i casi rilevati riguardava lo sfruttamento sessuale o il lavoro forzato, mentre il restante 10% dei casi è spesso raggruppato nella categoria “altre forme”, inclusa appunto la rimozione forzata di organi.
Il confronto con questo mercato illegale e internazionale in cui sono inclusi sia uomini, donne e bambini risulta impari poiché le varie forze di polizia sono ostacolate molte volte da istituzioni compiacenti e da legislazioni inadeguate oltreché ad una domanda di mercato sempre più in crescita.
Stando alle conclusioni del vertice OSCE di luglio 2020, questa forma di tratta rischia di restare impunita a causa anche della difficoltà nel far parlare e confessare le vittime. Spesso migranti irregolari che temono di essere scoperti e quindi incriminati in forza delle severe leggi sull’immigrazione clandestina.
Occorre, quindi, trovare modi nuovi per far uscire allo scoperto le vittime del commercio di organi, anche tramite il coinvolgimento dei medici, ancora purtroppo troppo complici e inasprire le normative sulle responsabilità penali dei broker e al personale sanitario criminale.

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