Era il 26 luglio del 2012. Da mesi l’economia italiana si trovava con un cappio al collo. Infatti, era dalla prima metà del 2011 che lo spread (differenziale del rendimento tra Btp decennali italiani e Bund tedeschi) cresceva in modo esponenziale. Una battuta d’arresto del valore dell’indicatore era stata registrata dopo l’arrivo di Mario Monti al Governo, e di nuovo all’inizio del 2012, per poi venire annullata dalle difficoltà dei Paesi del Sud Europa, Spagna e Grecia in primis. Mario Draghi, da pochi mesi nominato Governatore della BCE, quel giorno parlava alla Global Investment Conference, presso la British Business Embassy. Il messaggio lanciato dall’ex Goldman Sachs in quell’occasione, soprattutto oggi, riecheggia nelle TV, nelle radio, sui giornali più importanti del nostro Paese e non. "All’interno del suo mandato, la BCE è pronta a fare tutto ciò che serve per preservare l’Euro; e credetemi, sarà sufficiente". Dopo tale dichiarazione, passata alla storia come il celebre "Whatever it takes", i mercati "hanno riacquistato fiducia", lo spread è tornato a scendere, placando le preoccupazioni ed i timori dei più, e stabilizzando apparentemente la situazione economica italiana. Successivamente, nel marzo 2015, la BCE ha dato il via al programma di acquisto di Titoli di Stato, definito "Quantitative Easing". Questo tipo di politica monetaria è stato osannato dai più, in quanto ha effettivamente posto un freno al problema spread, apparentemente salvando l’Italia e tutti i Paesi del Sud Europa dalla catastrofe, e riuscendo a tenere in piedi una moneta unica che si trovava in seria difficoltà. Il Quantitative Easing è stato anche criticato e messo in forte discussione dai Paesi del Nord Europa, Germania, Olanda ed Austria in primis, come anche dalle principali banche centrali di suddetti Paesi, poiché si ritiene che Draghi, con quella mossa, abbia "superato il limite", come ebbe a dire Jens Weidmann, presidente della Deutsche Bundesbank dal 2011. Ma davvero Mario Draghi ha salvato i popoli europei? Davvero Mario Draghi, in quelle occasioni, ha fatto l’interesse dei cittadini, l’interesse dei molti, battendosi per la libertà e la giustizia? Assolutamente no. Ma prima di argomentare questa riposta dovremmo innanzitutto interrogarci sulla vera natura dell’Euro, e dovremmo cercare di comprendere chi da questa moneta unica, così com’è strutturata, ottiene dei privilegi e chi, inevitabilmente, ne soffre. Questi interventi, infatti, sono stati del tutto funzionali alla preservazione ed all’accrescimento della ricchezza dei pochi, di quell’oligarchia finanziaria che oggi, con i suoi tentacoli, arriva a condizionare tutti gli aspetti della vita umana. Questi interventi si riveleranno nefasti per l’intera situazione planetaria, economica e non. Vediamo nello specifico perché Draghi non ha salvato l’Euro inteso come moneta dei popoli, come moneta che possa garantire eguaglianza e giustizia tra gli individui e tra le nazioni, ma come moneta funzionale agli interessi di pochi spropositatamente ricchi, a danno di molti, troppi, immensamente poveri. Vediamo perché il Quantitative Easing non è stato e non sarà d’aiuto né all’economia dei Paesi del Sud Europa, nonostante i tassi di interesse passivi sul debito pagati da questi ultimi siano scesi grazie a questo programma, né all’economia globale nel suo complesso.
Quel "Whatever it takes" arrivato troppo tardi
Sono moltissimi coloro i quali hanno accolto Mario Draghi come un salvatore, ricordando il suo "Whatever it takes" che "salvò l’Euro", ed assieme a quest’ultimo il Belpaese, dalla crisi dello spread scatenatasi nel 2011. Durante tutto l’arco di quell’anno, infatti, venne registrata una vendita massiccia di Titoli di Stato italiani, ad opera delle maggiori banche sulla scena internazionale. A dare il via ai giochi fu la Deutsche Bank, la quale riuscì a vendere circa l’88% delle obbligazioni italiane detenute, seguita subito dopo dalla grande banca d’affari americana Goldman Sachs, la stessa per la quale proprio Mario Draghi lavorò nei primi anni del 2000. Per quell’operazione, Deutsche Bank finì sotto i riflettori della Consob, la quale ritenne la scelta della banca tedesca quantomeno sospetta: l’esposizione della banca verso i titoli di Stato era passata da un valore di 8,01 miliardi al 31 dicembre 2010 a 997 milioni a giugno 2011. E questo proprio in un periodo in cui la stessa banca "diffondeva rapporti lusinghieri sui medesimi", come riportato da un articolo sul Corriere del 29 luglio 2011. Quando diminuisce la domanda di un bene (in questo caso i Titoli di Stato italiani), il suo prezzo scende, ed è proprio ciò che accadde in quell’occasione alle obbligazioni del Belpaese. L’abbassamento della domanda dei Titoli di Stato comporta, spesso e volentieri, una sorta di "allarmismo" da parte dei mercati finanziari: molti più operatori iniziano a vendere Titoli di Stato, quindi la domanda si abbassa ulteriormente. Di conseguenza il Ministero dell’Economia e delle Finanze, in questi casi, si vede costretto ad alzare i tassi di interessi offerti, poiché il "maggior rischio" percepito dagli investitori (principalmente banche e fondi di investimento) può essere messo da parte solamente nel momento in cui esso viene compensato da un maggior rendimento. La situazione venne peggiorata dall’intervento dell’Agenzia di Rating Standard & Poor’s, la quale nel settembre 2011 declassificò l’Italia da una gradazione A+, portandola ad A. I mercati finanziari, ovvero gli operatori che all’interno di questi operano, percepirono tale declassamento come un ulteriore indicatore del peggioramento dell’affidabilità italiana. Insomma, si credeva che il Belpaese non fosse in grado di rimborsare i propri debiti, e tutti temevano per le sorti del debito italiano. Nel novembre 2011, quando il differenziale tra Btp e Bund tedeschi, ovvero il famoso Spread, raggiunse i 575 punti base, corrispondenti ad una differenza del 5,75% in termini di tasso di interesse, giornali autorevoli come "Il Sole 24 Ore" titolavano "Fate presto", invocando l’arrivo di Mario Monti alla guida di un governo tecnico. Lo stesso Mario Monti che svolse il ruolo di International Advisor proprio per la Goldman Sachs a partire dal 2005. L’economista nato a Varese venne nominato Senatore a vita il 9 novembre 2011, per poi essere incaricato dall’allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano di formare un nuovo governo soltanto due giorni dopo. Dal 9 al 12 giugno, a Saint Moritz, in Svizzera, si svolse l’annuale riunione del Gruppo Bilderberg. 120 tra gli uomini più influenti ed importanti al mondo si riunivano in un hotel di lusso per tre giorni a porte chiuse, circondati da esercito, polizia e forze dell’ordine. Durante questi meeting, spesso e volentieri supervisionati e controllati anche da servizi segreti e uomini della CIA, non viene permesso a nessuno di entrare, e nessuno può sapere che cosa viene detto, gli argomenti che vengono affrontati, i temi discussi. Infatti, la regola seguita in queste riunioni è quella della Chatham House Rule, che dice che "i partecipanti sono liberi di utilizzare l’informazione ricevuta, ma mai l’identità o l’affiliazione dell’oratore". Nel 2011, tra i partecipanti a questa riunione troviamo Josef Ackermann, Direttore del Management Board e del Comitato Esecutivo di Goldman Sachs; Peter Sutherland, Direttore di Goldman Sachs; Mario Monti, rettore della Bocconi e futuro Presidente del Consiglio italiano. Tutti e tre in una riunione a porte chiuse: Goldman Sachs e Deutsche Bank, come abbiamo detto, diedero il via alla svendita sui Titoli di Stato italiani, Mario Monti arrivò alla guida del Governo per porre rimedio a tale situazione. Circa due mesi dopo, il 5 agosto 2011, Mario Draghi e Jean-Claude Trichet, entrambi membri del Gruppo dei 30, la più importante lobby di finanzieri e banchieri al mondo, fecero pervenire al governo italiano una lettera in cui chiedevano espressamente "un’azione pressante da parte delle autorità italiane per ristabilire la fiducia degli investitori"; in aggiunta, veniva chiesto al governo italiano di rispettare gli impegni per ottenere "condizioni di bilancio sostenibili e per le riforme strutturali", di realizzare una "piena liberalizzazione dei servizi pubblici locali e dei servizi professionali… attraverso privatizzazioni su larga scala", oltre a "riformare ulteriormente il sistema di contrattazione salariale collettiva, permettendo accordi al livello d’impresa in modo da ritagliare i salari e le condizioni di lavoro alle esigenze specifiche delle aziende". "Il Governo - continua la lettera - ha l’esigenza di assumere misure immediate e decise per assicurare la sostenibilità delle finanze pubbliche", il che si traduce nel raggiungimento dell’obiettivo "un bilancio in pareggio nel 2013, principalmente attraverso tagli di spesa". E ancora: "E’ possibile intervenire ulteriormente nel sistema pensionistico, rendendo più rigorosi i criteri di idoneità per le pensioni di anzianità… così ottenendo dei risparmi già nel 2012… e, se necessario, riducendo gli stipendi"; "Andrebbe introdotta una clausola di riduzione automatica del deficit, che specifichi che qualunque scostamento dagli obiettivi di deficit sarà compensato automaticamente con tagli orizzontali sulle spese discrezionali"; "Sarebbe appropriata anche una riforma costituzionale che renda più stringenti le regole di bilancio". Mario Monti, con l’introduzione del pareggio di bilancio in Costituzione all’articolo 81, ottemperò a questi veri e propri diktat. Da allora, il bilancio statale deve essere in pareggio; ciò significa che l’Italia non può spendere più di quanto incassa tassando. Tutto questo si traduce irrimediabilmente in una stagnazione economica perenne, dato che la ricchezza finanziaria netta del settore non governativo non cresce. Solo tramite una spesa a deficit importante lo Stato può rivitalizzare l’economia, in funzione del benessere dei cittadini, della piena occupazione e del pieno sviluppo della persona umana, come previsto dalla nostra Costituzione. Ad ogni modo, la crisi dello spread venne risolta da Mario Draghi, allora Presidente della Banca Centrale Europea, quando pronunciò la famosa frase del "Whatever it takes", che risultò sufficiente a far calmare i mercati, e a riportare la situazione in uno stato di equilibrio. L’arrivo di colui che è ritenuto uno dei più importanti economisti sulla scena mondiale, ovvero Mario Monti, e le riforme da egli poste in essere, come i tagli alla Spesa Pubblica ed agli investimenti, l’applicazione di misure di austerità, il Trattato sul MES, l’approvazione di riforme che oggi vengono considerate come "lacrime e sangue" non sono state sufficienti a risolvere la situazione. Ma tre parole di Mario Draghi sì. Questo, innanzitutto, dovrebbe farci riflettere molto sull’irrazionalità dei mercati. Gli stessi mercati per cui oggi si sacrificano migliaia, se non milioni di vite umane. Gli stessi mercati che oggi sono diventati più importanti dell’uomo, degli ecosistemi, della vita stessa. Inoltre, ci si potrebbe chiedere il perché Mario Draghi aspettò il mese di luglio del 2012 per placare gli spiriti irrequieti dei mercati finanziari dato che, a quanto pare, questo potere era a sua disposizione dal novembre 2011, quando entrò in carica come Presidente della BCE. Tale dichiarazione venne pronunciata il 26 luglio 2012, solamente tre giorni dopo la promulgazione del Patto di Bilancio Europeo, trattato internazionale approvato dal Senato e dalla Camera rispettivamente il 12 luglio ed il 19 luglio, da parte di Giorgio Napolitano. Forse era proprio quello l’obiettivo dell’arrivo di Monti al Governo? E forse, una volta raggiunto tale obiettivo, per salvare una situazione che iniziava davvero ad essere troppo critica, Mario Draghi scese in campo in modo così determinato e determinante?
L’Euro, strumento a favore dei popoli europei?
Ma siamo sicuri che, salvando l’Euro, Draghi abbia fatto gli interessi dei popoli europei? E, più in generale, siamo sicuri che l’Euro sia uno strumento che faciliti davvero cooperazione, impegno comune, uguaglianza e pace tra gruppi di persone e nazioni? Il sogno europeo è mai esistito davvero? Secondo il giornalista d’inchiesta Francesco Amodeo, no. "Quest’Europa è nata per essere l’incubo dei popoli, l’incubo dei lavoratori e delle classi meno abbienti, ed il sogno delle oligarchie finanziarie che l’hanno voluta, l’hanno finanziata e l’hanno costruita"; queste le sue parole durante la Trasmissione "Notizie Oggi" di Canale Italia, riscontrabili documenti alla mano anche nel suo libro-inchiesta "La Matrix Europea", dove Amodeo illustra in maniera dettagliata e minuziosa il ruolo delle più grandi lobbies ed organizzazioni internazionali nel processo di deciso-making globale, la loro collaborazione con la CIA nella costruzione del progetto di Unione Europea, come anche le prove del Colpo di Stato finanziario avvenuto in Italia nel 2011, descritto sopra. Che cosa volevano ottenere queste oligarchie finanziarie dalla realizzazione del progetto UE? "Un super Stato, totalmente svincolato da ogni controllo democratico; una Banca Centrale totalmente indipendente dai governi, ma che rendesse i governi totalmente dipendenti dai mercati; una moneta unica in mano ad una Banca Centrale privata". "Questo", dice Amodeo, "è il progetto originario di Unione Europea, e l’hanno ottenuto. Infatti, nel 2000 sono stati desecretati dei documenti che non sono mai stati portati alla luce in Italia, ma sono documenti degli archivi di Stato americani. Essi dimostrano che, negli anni ’50, le oligarchie finanziarie americane, di concerto con la CIA, hanno creato l’American Committee on United Europe (ACUE), ovvero il ‘Comitato Americano per la creazione dell’Unione Europea'. Questo Comitato lavorò di concerto con la CIA, infatti tutti i Presidenti dell’ACUE e quelli della CIA negli anni ’50 coincidono, come ad esempio William Donovan". I documenti americani desecretati, di cui sopra, sono stati ripresi dal giornale britannico The Telegraph, che nel suo articolo "Euro-federalists financed by US spy chiefs", spiega come l’Unione Europea venne completamente finanziata dalla CIA e dalle più grandi oligarchie finanziarie americane. Oggi le prove di questi fatti sono facilmente riscontrabili sul sito della Princeton University, nel "Library Finding Aids", dove sono riportate comunicazioni epistolari tra Winston Churchill; Allen Dulles, direttore CIA tra il 1953 ed il 1961; Coundenhove Kalergi, vero padre fondatore dell’UE, assieme a Joseph Retinger, anche fondatore del Club Bilderberg; William Donovan, anche responsabile della creazione della filiale inglese di Gladio, padre dell’intelligence americana, nonché uno dei primi organizzatori delle riunioni Bilderberg; David Rockefeller, magnate americano deceduto nel 2017, anche lui fondatore del Club Bilderberg e della Commissione Trilaterale, assieme a Henry Kissinger ed a Zbigniew Brzezinski. Che cosa c’entrano il Club Bilderberg e la Commissione Trilaterale con la nascita dell’Unione Europea e dell’Euro? Lo stesso presidente del gruppo Bilderberg, il Visconte Etienne Davignon, a lungo anche Commissario europeo, nel 2009 ebbe a dire che "il Bilderberg aiutò la creazione dell’Euro". Inoltre, le riunioni e le decisioni di tale gruppo, ancora e soprattutto oggi condizionano l’operato comunitario europeo: alla riunione Bilderbegr 2016, dove vennero prese in analisi le future scelte politiche e riforme dell’Unione Europea, troviamo coloro che, tre anni dopo, sarebbero stati nominati al vertice delle maggiori istituzioni europee ed internazionali: Christine Lagarde, che sostituirà Mario Draghi alla Presidenza della BCE; Ursula Von Der Leyen, che arriverà a capo della Commissione europea; Charles Michel, che verrà nominato Presidente del Consiglio Europeo; Kristalina Georgieva, poi scelta come nuovo Direttore del Fondo Monetario Internazionale; alla stessa riunione era anche presente Mitsotakis, che diventerà il nuovo Presidente del Consiglio in Grecia. Partecipanti alle varie riunioni del Bilderberg e della Commissione Trilaterale sono stati anche Enrico Letta, successore di Mario Monti alla guida del Governo italiano, Bill Clinton, Angela Merkel, Tony Blair, Herman Van Rompuy, Romano Prodi, Emma Bonino, Giulio Tremonti, Corrado Passera, Ignazio Visco, Matteo Renzi, rivelatosi determinante nella tenuta del governo giallo-rosso prima, e nella caduta di Conte dopo. Luigi Di Maio, nell’aprile 2016, ha partecipato ad un pranzo presso l’ISPI insieme a membri italiani della Commissione Trilaterale, tra cui Carlo Secchi, presidente italiano dell’organizzazione, Paolo Magri, direttore della Commissione Trilaterale in Italia, Mario Monti, ed i vertici di aziende che finanziano la Commissione. La democrazia? Solo un brutto ricordo. Tralasciando il fatto che per la Commissione Trilaterale "la democrazia non è che un modo di costituzione dell’autorità, e non è detto che possa essere applicato universalmente", e che "taluni dei problemi di governo degli Stati Uniti scaturiscono oggi da un eccesso di democrazia", possiamo scoprire molto nel "Diario europeo" di Altiero Spinelli. Considerato forse il più importante padre fondatore dell’Unione europea, ci viene raccontato che, in esilio a Ventotene ed in collaborazione con altri socialisti, Spinelli elaborò il Manifesto per un’Europa Libera e Unita. Non stiamo dicendo che ciò non corrisponda al vero, ma sicuramente non ci viene detta la verità. Leggendo il suo libro, infatti, scopriamo dei suoi continui viaggi a Washington per cercare fondi per la realizzazione del suo progetto. Egli incontrò Donovan, Allen Dulles, rappresentanti di spicco della Ford Foundation e della Rockefeller Foundation, vertici della CIA e Kalergi: "Alle 4 ho visitato Donovan (Cia, Acue, Gladio, ndr). Era presente anche Hovey, Executive Director dell’ACUE che avevo già visto… Donovan si è impegnato formalmente a cercare fondi. Ha approvato la mia decisione che sia io a dirigere l’operazione. Era completamente scettico sui governi… Praticamente ho l’appoggio dell’USIA, della Ford Foundation e dell’ACUE. Più di questo non potevo sperare… Monnet ha la scelta di stare con me o sparire"; altri esponenti del famoso Manifesto di Ventotene presero le distanze da Spinelli, come si evince dalle righe successive, probabilmente perché si resero conto che il progetto da loro elaborato 10 anni prima stava prendendo tutt’altra direzione rispetto alla realtà: "Ernesto Rossi mi ha detto che non vuole venire al congresso e che non vuole essere nella direzione del MFE (Movimento Federalista Europeo). Cardini non vuole più essere eletto al cc. In fondo è quello che desideravo"; Spinelli, il 17 giugno 1961 incontrò anche il fondatore della Commissione Trilaterale Zbigniew Brzezinski, ed uno degli autori del testo anti-democratico "The crisis of democracy", Samuel Huntington, il quale scrisse che "un eccesso di democrazia significa una carenza di governabilità; una facile governabilità lascia intendere una democrazia difettosa"; "il funzionamento efficace di un sistema politico democratico richiede, in genere, una certa dose di apatia e disimpegno da parte di certi individui e gruppi. In passato, ogni società democratica ha avuto una popolazione marginale, di dimensioni più o meno grandi, che non ha partecipato attivamente alla politica. In sé, questa marginalità da parte di alcuni gruppi è intrinsecamente antidemocratica, ma ha anche costituito uno dei fattori che hanno consentito alla democrazia di funzionare efficacemente". Spinelli dimostrò di avere piena consapevolezza dei veri obiettivi delle oligarchie finanziarie in tema Unione Europea e Moneta Unica; egli, parlando di Robert Marjolin, partecipante più volte alle riunioni del Gruppo Bilderberg, membro della Commissione Trilaterale, Commissario europeo per gli Affari Economici e Monetari e Segretario generale dell’Organizzazione per la Cooperazione Economica Europea, disse che "Scopo di Marjolin è di spennare le sovranità nazionali senza farle gridare". L’11 giugno 1965, Marjolin ricevette una comunicazione del Dipartimento di Stato USA che lo invitava a "portare avanti in segreto" i progetti di Unione monetaria. Le parole di Spinelli sembrano incredibilmente ricordare quelle di Mario Monti, che nel febbraio 2011 ebbe a dire: "Non dobbiamo sorprenderci che l’Europa abbia bisogno di crisi e di gravi crisi per fare passi avanti; i passi avanti dell’Europa sono, per definizione, cessioni di parti delle sovranità nazionali ad un livello comunitario". E l’ex Primo Ministro italiano continua, dicendo che i cittadini e le collettività nazionali "possono essere pronti a queste cessioni solo quando il costo politico e psicologico del non farle diventa superiore al costo del farle, perché c’è una crisi in atto, visibile conclamata… Quando una crisi sparisce, rimane un sedimento, perché si sono messe in opera istituzioni, leggi, ecc… Per cui non è pienamente reversibile". La shock therapy applicata militarmente dalle peggiori dittature della storia, oggi, è portata avanti con crisi reali o percepite, al fine di favorire gli interessi di pochi a discapito dei molti. Se Monti dice che si deve rinunciare alla sovranità nazionale, che in tutte le democrazie moderne appartiene al popolo, per ottenerne una di livello comunitario europeo, bisognerebbe quantomeno chiedersi quali siano le caratteristiche di quest’ultima. Purtroppo, andando a fondo, ci si accorge che in Europa la sovranità non appartiene ai popoli. Il Parlamento Europeo, de facto, ha moltissime difficoltà a legiferare, compito che rimane esclusivamente nelle mani di una Commissione i cui vertici non sono sicuramente eletti dai popoli, bensì accondiscendenti a determinate logiche e provenienti dalle stesse organizzazioni di cui sopra. L’Euro, la moneta unica, è solo uno strumento con il quale queste oligarchie stanno perseguendo obiettivi politici e sociali. Lo strumento ed il falso problema del debito sono strumentalizzati dall’UE, Commissione Europea in primis, per arricchire i pochi a discapito dei molti. I parametri così stringenti del 3% sul rapporto Deficit/Pil e del 60% sul Debito Pubblico/Pil, senza considerare l’introduzione del Pareggio di Bilancio in Costituzione, che dunque costringe l’Italia a realizzare surplus di bilancio, stanno affossando l’economia del nostro Paese. Molti ritengono che questo sia un bene, in quanto lo Stato, così facendo, "può rimettere i conti in ordine", dato che "lo Stato è come un padre di famiglia, e deve poter spendere quanto incassa, non di più". Queste frasi preconfezionate, decantate dai maggiori media mainstream mondiali, sono innanzitutto prive di qualsiasi logica economica, ma anche logica e morale. Infatti, nessuno ci dice che un bilancio si legge da entrambe le parti, cioè sia dalla parte degli Attivi che del Passivo. Se uno Stato ha un passivo (un debito), è perché si è indebitato, solitamente emettendo obbligazioni. Ma per cosa li usa lo Stato quei soldi? Per costruire infrastrutture, ospedali, carceri, tribunali, pagando imprese, che a loro volta pagheranno i dipendenti, che faranno aumentare la domanda interna, facendo crescere Pil e gettito fiscale, in un circolo virtuoso. Quindi l’Attivo corrispondente al Passivo (debito) è ricchezza reale per i cittadini, oltre alla ricchezza finanziaria (denaro) che quella ricchezza reale deve rappresentare. Uno Stato che non opera in deficit di bilancio (Spesa Pubblica > Entrate), può fare pareggio di bilancio (Spesa Pubblica = Entrate) o surplus di bilancio (Entrate > Spesa Pubblica). Ma uno Stato che opera in Pareggio di bilancio crea stagnazione economica, in termini di ricchezza finanziaria netta; e ancora, uno Stato che opera in Surplus di Bilancio crea recessione economica, poiché sottrae ricchezza finanziaria alla collettività. L’Italia è il Paese più virtuoso in Europa in termini di avanzo primario: da anni spendiamo meno di quanto incassiamo, al netto della spesa per interessi. E’ questo il vero motivo della stagnazione e della recessione economica dell’economia italiana; sono anni che viene sottratta ricchezza finanziaria agli italiani. Ad ogni modo, la tendenza italiane segue quella macroeconomica a livello mondiale: dagli anni ’70, c’è stata una progressiva presa di potere da parte dell’economia finanziaria, e l’inizio di una morte lenta ma inesorabile dell’economia reale, ovvero di quell’economia che produce beni, servizi, ricchezza e benessere reali. Tale tendenza è iniziata negli Stati Uniti d’America, dove nel 1947 la manifattura contava per il 27% del PIL, mentre la cosiddetta FIRE (che comprende Finanza, Assicurazioni, Immobiliare) era al 10.3%; nel 2017 tale dato risulta incredibilmente invertito, con un settore manifatturiero che si attesta all’11.4% del Pil, mentre la FIRE ha raggiunto un livello quasi doppio, arrivando a toccare il 20.7%. Il punto di inversione tra economia reale ed economia finanziaria cade all’inizio degli anni ’90, proprio dopo la caduta del Muro di Berlino. Il risultato è che, oggi, abbiamo un’economia reale (quella che interessa ai popoli, quella basata sulla produzione di ricchezza reale) morente, caratterizzata da una rarefazione monetaria quasi strangolante, ed una economia finanziaria (quella che interessa all’1% della popolazione mondiale) iper-inflazionata, dove circolano quantità di denaro infinitamente grandi, che permettono all’1% della popolazione mondiale di farla da padrone. Basti pensare che il volume dei soli strumenti derivati, oggi, si attesta a circa 2,2 milioni di miliardi di Euro, cifra pari a 33 volte il Pil mondiale. E la moneta unica europea si inserisce perfettamente all’interno di questa logica, poiché basata su quelle logiche neoliberiste che antepongono "il mercato" all’uomo: ecco quindi che si devono tagliare pensioni, salari e stipendi, "per aumentare la competitività", si deve tagliare la Spesa Pubblica perché "lo Stato deve avere i conti in ordine", si deve privatizzare per "fare cassa", e tutte le ricette hanno distrutto l’economia reale mondiale, non solo europea, e che già conosciamo. A tutto questo si aggiunge un altro gravissimo problema, ovvero quello relativo al Credit Crunch: oggi, le micro e le piccole imprese italiane (che insieme formano circa il 99% del comparto produttivo del nostro Paese) non ricevono più credito dal sistema bancario. Un’impresa che non può lavorare a debito, prima o poi, fallirà. Siccome l’inversione di tendenza descritta prima ha provocato una riduzione dei flussi di cassa delle imprese operanti nell’economia reale, e siccome proprio i flussi di cassa sono il principale elemento di valutazione delle banche per la concessione del credito, le micro e le piccole imprese italiane, europee e mondiali stanno morendo. Nel 2011, i prestiti verso le società non finanziarie, in Italia, erano pari a circa 900 miliardi di Euro; nel 2019, tale cifra è scesa fino a toccare i 650 miliardi. E continuerà a scendere, se non invertiamo la tendenza, che prima di tutto è ideologica e politica. A livello macroeconomico, il credito erogato dal sistema bancario verso le micro e le piccole imprese è minore rispetto al debito ripagato dalle stesse piccole e micro imprese allo stesso sistema bancario. Quindi, il volume di denaro presente nel circuito economico delle piccole e micro imprese si sta contraendo ulteriormente. Un grande volume di credito viene erogato solo verso le società finanziarie, le assicurazioni, o verso le multinazionali, poiché queste riescono a garantire flussi di cassa ingenti. Quindi, queste tipologie di imprese continuano ad ingrandirsi, ad accrescere il proprio patrimonio, valore azionario, volume d’affari, mentre le micro e le piccole imprese lentamente muoiono. Si sta andando, inesorabilmente, verso un oligopolio in tutti i settori economici, anche in quello bancario. Il risultato di questa inversione di tendenza è che, dal 2002 ad oggi, il numero di miliardari in Europa è passato da circa 100 a più di 900; nel frattempo, dal 2006 al 2016, il numero degli italiani che non riescono a permettersi uno standard di vita accettabile è triplicando, arrivando a toccare i 4.74 milioni di unità. Mentre negli anni ’80 il risparmio delle famiglie era del 25% rispetto al reddito, oggi è di circa il 2%: ciò significa che, su un introito di 2.000€, una famiglia risparmiava in media 500€ negli anni ’80, mentre oggi arriva a malapena a 40€. Cala il risparmio, aumenta la povertà assoluta. Le famiglie in povertà si sono moltiplicate: nel 2005 erano circa 800.000, nel 2018 tale cifra risultava maggiorata di 1 milione di unità. La diminuzione della propensione al risparmio delle famiglie ha comportato anche una forte diminuzione della fertilità; e quest’ultima è anche inversamente proporzionale all’aumento della spesa per interessi pagati sul Debito Pubblico. Più soldi diamo ai banchieri, meno figli facciamo. Oggi, in Europa, il 10% della popolazione detiene il 70% della ricchezza. Il reddito familiare netto è diminuito quasi del 10% dal 2003 al 2014. Se si è miliardari, l’Euro è una cosa bellissima; se si è poveracci, l’Euro è una sciagura. Quindi, siamo proprio sicuri che Mario Draghi abbia agito in nome dei popoli europei pronunciando quel "Whatever it takes", peraltro in netto ritardo? Siamo proprio sicuri che abbia agito per preservare i nostri interessi?
Perché il Quantitative Easing non ha aiutato e non aiuterà i Paesi Europei
Mario Draghi è anche stato elogiato dalla maggior parte dei media nostrani poiché, con il programma di acquisto dei Titoli di Stato sul mercato secondario, chiamato Quantitative Easing, sarebbe andato contro gli interessi della Germania e dei Paesi del Nord Europa, e si sarebbe immolato per il bene dell’Italia e dei Paesi del Sud Europa. Questa sicuramente è una visione molto distorta della realtà. Certo, il Quantitative Easing ha avuto l’effetto di abbassare i tassi di interesse pagati dai paesi europei sui Titoli di Stato (tassi di interesse che oggi sono prossimi allo zero), ma bisogna avere la visione d’insieme per capire a che cosa è davvero servito il Quantitative Easing, non solo il Europa, ma nel mondo. Bisogna necessariamente comprendere dove siano finiti tutti quei miliardi creati dal nulla, a che cosa siano serviti, dato che la situazione, ad oggi, non è affatto migliorata, anzi. Il programma denominato Quantitative Easing è stato portato avanti dalle principali banche Centrali dei Paesi Occidentali: BCE e Bank of England in primis. Di che cosa si tratta? Si tratta di un programma di acquisto di Titoli di Stato da parte della BC; in Europa, siccome la BCE non può finanziare direttamente l’indebitamento degli Stati sovrani (poiché il Trattato di Maastricht lo vieta), deve per forza rivolgersi al mercato secondario, ovvero a banche, fondi pensione, fondi di investimento, e compagnie di assicurazione in possesso di Titoli già emessi in precedenza. La BCE, tramite il suo sito ufficiale, ci dice quale dovrebbe essere il processo di acquisto dei Titoli di Stato sul mercato secondario, dall’inizio alla fine:
1. La Banca centrale europea acquista titoli obbligazionari dalle banche;
2. Il prezzo dei titoli aumenta (poiché aumenta la domanda, ndr.), e si crea moneta nel sistema bancario;
3. Di conseguenza, molti tassi di interesse diminuiscono e i prestiti diventano meno costosi;
4. I cittadini e le imprese possono contrarre più prestiti e spendere meno per rimborsare i propri debiti;
5. L’effetto che ne deriva è una ripresa dei consumi e degli investimenti;
6. L’incremento dei consumi e degli investimenti sostiene la crescita economica e la creazione di posti di lavoro;
7. Con l’aumento dei prezzi, la BCE consegue un tasso di inflazione inferiore ma prossimo al 2% nel medio termine.
Quindi, il livello di attività economica dovrebbe oggi essere galoppante. Eppure non è così. Perché? Innanzitutto non è assolutamente vero che l’abbassamento dei tassi di interesse comporta sempre un aumento dell’erogazione del credito, anche se il costo di questo si abbassa. Il problema con questa narrativa diviene particolarmente evidente quando i tassi di interesse vengono abbassati di molto, anche fin sotto zero in alcuni casi, senza produrre alcun effetto. "Dopo le crisi finanziarie e bancarie", dice Richard Werner, "chiunque può abbassare i tassi anche sotto zero, e questo non produrrà alcun miglioramento per la salute dell’economia, siccome i tassi di interesse non sono il fattore determinante della creazione del credito bancario". La Bank of Japan, ad esempio, abbassò i tassi di interesse negli anni ’90, facendoli passare dal 7% allo 0,001% alla fine della stessa decade, senza produrre alcun risultato. Dunque, il Giappone tentò di espandere le riserve delle banche commerciali attraverso il Quantitative Easing, ma anche questo approccio risultò fallimentare. Anche la Bank of England ha adottato le stesse politiche del Giappone, mettendo in campo un programma di Quantitative Easing di 375 miliardi di sterline in tre anni, ed abbassando i tassi di interesse allo 0,5% (i più bassi di sempre), ma senza alcun risultato positivo per l’economia. Il problema, come abbiamo detto nel paragrafo precedente, è che le imprese che dovrebbero contrarre i nuovi prestiti non lo possono fare, perché sono le stesse banche ad impedirlo. Una banca, quando deve valutare l’affidabilità di un debitore, valuta innanzitutto la cosiddetta Probability of Default, ovvero la probabilità che il debitore fallisca in futuro. Tale dato è strettamente correlato al flusso di cassa registrato nel periodo precedente alla possibile contrazione del nuovo debito. Quindi, i tassi possono anche essere bassi, ma se non le imprese non registrano flussi di cassa consistenti, non riceveranno nuovo credito dal sistema bancario. E siccome il modello economico di riferimento è totalmente stato modificato negli ultimi 40/50 anni, oggi a crescere e ad arricchirsi sono solo le grandi imprese, le multinazionali, che diventano sempre più grandi, sempre più potenti, sempre più influenti, anche dei Governi stessi. Quello che si verifica con il Quantitative Easing a livello macro, dal punto di vista contabile, è un aumento delle riserve sul mercato interbancario, e la conversione dei Titoli di Stato in possesso alle banche commerciali in cash. A questo punto, il cash, venutosi a creare letteralmente dal nulla, può essere allocato dove le banche commerciali ritengono più opportuno. Dato che le banche commerciali sono delle aziende private (come lo è la BCE), queste per definizione perseguono il massimo profitto realizzabile. Oggi, il massimo profitto possibile è realizzabile solo in un posto: il mercato finanziario. E questo proprio a causa dell’inversione di tendenza descritta in precedenza. Un mercato finanziario già inflazionato di per sé rende possibili ritorni immensi sugli investimenti. Una banca non ha alcun interesse a finanziare una micro o una piccola impresa, quando il mercato finanziario offre guadagni molto maggiori in un tempo molto minore. Il Quantitative Easing è stato messo in campo per tenere in piedi un sistema economico-finanziario totalmente malato, che già dal famoso "lunedì nero" del 1987 aveva iniziato a dare i primi problemi. Un sistema economico e finanziario basato totalmente sul debito, che ormai è diventato inarrestabile ed impagabile a livello mondiale. Storicamente si è sempre proceduto alla cancellazione di tutti i debiti attraverso il Giubileo, oppure tramite la guerra. E le movimentazioni geopolitiche odierne non fanno assolutamente ben sperare. L’effetto ultimo del Quantitative Easing, dunque, è stato quello di accrescere ulteriormente il livello di inflazione di un mercato finanziario totalmente distaccato dalla realtà, iper-inflazionato, che non ha alcuna corrispondenza con la produzione di beni e servizi, con l’economia reale. Dal crollo del 2008, l’indice azionario S&P 500 ha realizzato un +400%; l’indice Nasdaq un +460%; le azioni Amazon hanno fatto un +5900%; quelle Apple un +3600%; quelle Google un + 1190%. Questi numeri non corrispondono affatto alla realtà. Le aziende qui citate sono assolutamente sopravvalutate, il loro valore reale non corrisponde affatto al loro valore di mercato. Questa spinta iper-inflazionistica è stata determinata da un afflusso di ingentissime quantità di denaro, sottratte all’economia reale, che oggi sta morendo. Grazie a questo sistema, i super-ricchi, che nei mercati finanziari ci navigano, hanno accresciuto ancor di più i propri introiti. Un esempio eclatante è quello di Jeff Bezos, che ha triplicato il suo patrimonio in soli 5 anni, divenendo nel 2020 l’uomo più ricco al mondo con un patrimonio stimato di 113 miliardi di dollari. Ma si tratta di ricchezza che non esiste. Si tratta di ricchezza che mai potrà essere convertita in beni e/o servizi reali, almeno non interamente. Si tratta di una super bolla speculativa che, prima o poi, scoppierà. Ma, anche in questo caso, funzionerà di nuovo il solito schema profitti privati-perdite pubbliche. A seguito della crisi del 2008, che in confronto a quella descritta qui sopra è stata una sciocchezza, i Paesi europei, e quindi i loro contribuenti, hanno versato alle principali istituzioni finanziarie e bancarie una cifra che si aggira intorno ai 4.000 miliardi di Euro, per permettere loro di rimanere in piedi. La domanda, dunque, rimane sempre la stessa. Siamo proprio sicuri che Mario Draghi abbia agito per conto e negli interessi dei popoli europei? Oppure ha sempre fatto gli interessi dei pochi che, grazie a questo Euro, grazie a questa Unione Europea, grazie a questo modello economico si arricchiscono immensamente, a discapito di interi popoli che stanno morendo?
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