Una giornata per rendere onore alle storie di Lea Garofalo, Don Puglisi e Libero Grassi, Giuseppe Fava e Peppino Impastato, il generale Carlo Alberto dalla Chiesa e Paolo Borsellino, ma anche alla storia del movimento antimafia che in tanti anni si è sviluppato.
E' così che domenica 29 novembre, su Rai Storia, è andata in onda la puntata di “Domenica Con”, lo spazio curato da Enrico Salvatori e Giovanni Paolo Fontana, per un palinsesto creato da Nando dalla Chiesa e che si è concluso con la messa in onda del film di Pif “La mafia uccide solo d’estate”, in prima serata.
Dalla Chiesa ha messo insieme le voci per raccontare la nascita del movimento antimafia, soprattutto fatto dai giovani a partire dalla grande manifestazione del Palalido di Milano, nel 1986: “Quell’assemblea - ha ricordato dalla Chiesa - fu una rivelazione, perché il fatto che il coordinamento degli insegnanti e dei presidi contro la mafia sarebbe riuscito a riempire il Palalido di migliaia di studenti, lasciandone altre migliaia fuori, e oltretutto facendo sì che tutti gli studenti dovessero aver fatto attività di studio e ricerca sulla mafia, era impensabile. Quegli insegnanti decisero di mettere il nord al fianco di Palermo e della Sicilia e poi avrebbero fatto capire anche sul proprio territorio cosa stesse succedendo”.
“Il movimento antimafia - ha spiegato - è importante, pieno di protagonisti, ricco di speranze, dolori, conquiste e ha contribuito a cambiare il volto dell’Italia. Un movimento che non fa barricate in piazza, ma fa barricate morali; non dice parole trasgressive, ma sa essere trasgressivo perché tende ad arginare lo strapotere, la forza delle organizzazioni mafiose e della corruzione. Un movimento fortemente caratterizzato anche dalla presenza delle donne”. E proprio una donna, Lea Garofalo, è stata protagonista del primo appuntamento del pomeriggio nella fiction “Lea”, dedicata alla testimone di giustizia che ha avuto il coraggio di denunciare la “famiglia”, pagando con la vita.
Non poteva mancare un ricordo del Prefetto dalla Chiesa, una galleria di storie come quella del giornale antimafia “L’Ora” di Palermo, le “Vite contro la mafia” di Giuseppe Marrazzo, e i ritratti di Giuseppe Fava, Peppino Impastato, don Giuseppe Puglisi, ma anche il film “La nostra terra” di Giulio Manfredonia con Stefano Accorsi e Sergio Rubini dedicato alle cooperative nate sui terreni confiscati alle mafie.
E a concludere la giornata, ovviamente, c'è stato anche il ricordo di Falcone e Borsellino, con il documentario “Paolo Borsellino, l'ultima stagione”.
Dalla Chiesa, da parte sua, ieri su Il Fatto Quotidiano ha espresso tutta la propria commozione.
"Sarà pure stata minoranza, però lo spirito di sacrificio di tanti e tanti magistrati, funzionari pubblici, esponenti delle forze dell’ordine, notissimi o sconosciuti, la loro sfida quotidiana a un potere sanguinario, ha qualcosa di grandioso - ha scritto - In nome di quale stipendio, per quale Stato, per quale popolo?".
E poi ancora ha raccontato l'emozione per "le centinaia e centinaia di familiari che orgogliosamente chiedono giustizia con le loro foto appese al collo. Ognuno con le proprie rughe antiche o fresche, figli o anche nipoti accanto. Costretti a ripetere dignitosamente la vicenda - per gli altri anonima - dei propri cari. E i film, le canzoni, le parole d’ordine, le frasi sulle magliette, una moderna antropologia in cammino. I nomi delle cooperative nate sui beni confiscati, la sfida suprema di Libero Grassi che va in tivù ad annunciare al suo estorsore che non lo pagherà. Gli occhi sgomenti e fieri di Paolo Borsellino nel suo ultimo discorso nel cortile della biblioteca comunale di Palermo. Che grande storia italiana, amici lettori. Tragica e nutrita di una speranza che non si spegne mai. Mi scoppiava e mi sfuggiva da tutte le parti. E posso assicurarvi che nonostante le 10 ore di programma non ci stava, proprio non ci stava tutta dentro nel modo giusto. Un fatto indimenticabile, un aneddoto da antologia risorgimentale, un personaggio da romanzo. Tutto fluiva nei filmati, negli articoli di giornale, nella memoria. Ci si può chiedere a cosa questo sia servito se il Paese è conciato com’è. Ma bisogna chiedersi come esso sarebbe se tutto questo non avesse alzato barricate morali davanti ai kalashnikov e al tritolo che pensavano di piegare a sé il destino di una nazione, non avesse reso sconvenienti i patti con gli assassini, non avesse contrastato l’idea di una legge prona come tappeto al potente più corrotto. Perché in fondo abbiamo pur costruito il Paese che oggi insegna l’antimafia al mondo, dalle leggi alle indagini agli studi. Perciò qui vi dico che sento l’onore di avere fatto parte di questa storia e di scrivere su un giornale che se la porta dentro con rispetto e amore".