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Lo scioglimento per infiltrazioni della criminalità organizzata è un istituto introdotto nel 1991 ed è ora disciplinato nel Testo Unico degli Enti Locali. Si tratta di una misura di prevenzione ante delictum, che si applica quando esiste il concreto pericolo che l’attività di un Comune o di un’altra amministrazione locale sia piegata agli interessi dei clan mafiosi. Al fine di accertare il condizionamento delle organizzazioni criminali sull’ente locale, il Ministro degli interni nomina un’apposita commissione d’indagine prefettizia. I lavori di quest’organismo sono interni, per cui, non è informata né l’opinione pubblica, tantomeno le forze politiche. Questo costituisce un vulnus poiché un fatto così rilevante nella vita di un ente locale non è portato a conoscenza della collettività. La Commissione svolge poi un approfondito esame dell’attività amministrativa, analizzando anche i risultati delle indagini giudiziarie sui gruppi criminali presenti sul territorio e gli eventuali provvedimenti adottati nei confronti di amministratori locali e dipendenti. Il prefetto trasmette le conclusioni di questo lavoro del comitato provinciale per l’ordine pubblico (che esprime il suo parere) e poi al ministro dell’Interno, il quale decide se archiviare (in tal caso la relazione del prefetto non è pubblicata: è un’altra lacuna della normativa attuale) oppure, sottoporre la proposta di scioglimento al Consiglio dei Ministri che delibera nel merito. Il successivo decreto di scioglimento del Presidente della Repubblica, con allegati la relazione del ministro e quella del prefetto, precisa la composizione della commissione straordinaria di tre membri, cui affidare la gestione dell’ente per un periodo massimo di un anno e mezzo, successivamente prorogabili fino a due, al termine dei quali si svolgono nuove elezioni. La relazione del prefetto è inviata anche all’autorità giudiziaria ai fini dell’eventuale applicazione delle misure di prevenzione reali. La procedura di scioglimento si applica anche ad altri enti locali (comunità montane, unioni di comuni, circoscrizioni), ai consorzi di comuni e province, nonché alle aziende sanitarie e ospedaliere, queste ultime, oggetto di particolare interesse da parte delle organizzazioni mafiose (quindici procedure di accesso dal 1991 al 2018). L’emergenza Coronavirus a livello nazionale ha messo sul piatto, circa, venticinque miliardi di euro, sui trenta totali della spesa pubblica per il servizio sanitario nazionale. Fondi che saranno gestiti attraverso Consip (una S.p.A.), società del Ministero dell’Economia. In Italia oltre la crisi delle piccole e medie imprese che consentirà con alta probabilità alle mafie di accaparrarsele, vi è anche la sanità con tutti i suoi rivoli, che aprirà un varco a nuove infiltrazioni mafiose. La privatizzazione del sistema sanitario è stata ed è ancora il tallone di Achille che farà spazio a mafie e corruzione. E’ un dato di fatto che, dove vi sia più pubblico, ci sono meno casi d’infiltrazioni mafiose in sanità rispetto a dove vi sia più privato. Chi studia il fenomeno mafioso sa che l’esternalizzazione dei servizi è un fattore di rischio infiltrazione. Le mafie, con la collaborazione diretta o implicita della politica e dell’amministrazione sanitaria, riescono a entrare nel business dei servizi esternalizzati legalmente, con propri rappresentanti incensurati e al di sopra di ogni sospetto. La liberalizzazione di molte gare d’appalto in ambito sanitario è una miniera d’oro in cui le mafie riciclano denaro derivante da proventi illeciti o si aggiudicano, attraverso opportune strategie corruttive, importanti appalti da cui ottenere nuovi profitti. La cosiddetta “zona grigia” composta di colletti bianchi è spesso complice delle mafie. Addirittura le organizzazioni criminali con il sistema delle collusioni politiche incidono anche sulle nomine del personale medico-sanitario e amministrativo. Non dimentichiamoci che i mafiosi hanno festeggiato quando è iniziato il processo di liberalizzazione del sistema sanitario regionale. Un famoso pentito di mafia a tal proposito disse: “La regione ormai è territorio nostro e comandiamo noi”. Questo è accaduto e accade tuttora perché vi è un sistema di controllo insufficiente in ambito privato e in questo varco sono entrate mafia e corruzione arrivando poi anche al pubblico. In questo momento l’Italia è la più esposta in Europa alla corruzione e alle infiltrazioni mafiose che mieteranno vittime tra gli operatori sanitari, ma, soprattutto, tra gli anziani e i disabili e cioè nella parte più debole ed esposta della popolazione. Sono convinto che le misure adottate in caso di emergenza sanitaria debbano essere specifiche ed eccezionali, rigorosamente proporzionate e limitate non solo al tempo di durata dell’emergenza. Lo scioglimento di tali enti può rientrare tra le misure più efficaci. Il Parlamento deve, inoltre, essere informato in tempo reale al fine di esercitare i suoi poteri di controllo sull’azione amministrativa e sull’uso del denaro pubblico. Ritengo occorrano anche nuovi strumenti in grado di creare un meccanismo che consenta agli investigatori di seguire più facilmente i flussi finanziari, al fine di identificare i soggetti che percepiscono il denaro pubblico, con la finalità di evitare, mediante la tracciabilità, che finisca nelle mani della criminalità organizzata. A conferma di quanto appena esplicitato, nel 2019, scrive la Direzione investigativa antimafia, sono state sciolte due Aziende sanitarie locali. L’infiltrazione negli enti locali inerenti alla sanità, dicono gli analisti, “si conferma come irrinunciabile” per le organizzazioni criminali: perché attraverso i funzionari pubblici, le cosche riescono a mettere le mani sulle risorse sanitarie della pubblica amministrazione rendendosi “irriconoscibili”, e riuscendo addirittura a farsi apprezzare per affidabilità imprenditoriale. Nel settore sanitario le mafie riescono a incidere anche sul sistema delle nomine poiché utilizzano professionisti e imprenditori che si “propongono loro alle cosche” per simili incarichi. Nelle due aziende sanitarie sciolte per mafia, si riscontra una continuità nell’azione di condizionamento in grado di perpetuarsi per decenni e a prescindere persino dal posizionamento politico dei candidati. Dall’esame dei due provvedimenti di scioglimento emerge in tutta evidenza come le organizzazioni mafiose abbiano l’assoluta necessità di infiltrarsi nel settore della sanità pubblica e privata poiché da essa traggono ingenti guadagni. Questo, inoltre, consente loro di ottenere consenso sociale nei più svariati modi, dalle assunzioni alle sovvenzioni fino alla mancata riscossione dei canoni, di garantirsi appoggio politico, appalti e servizi pubblici, lucrando persino sulle risorse naturali e sulle peculiarità produttive che il territorio riesce a esprimere. Personalmente ritengo che tutte le istituzioni antimafia debbano mettere in campo una strategia di prevenzione e repressione ad hoc proprio nel settore della sanità che sia “ancora più efficace”, specie ora che si possono verificare gli effetti sul piano economico dell’inserimento delle mafie dopo il Covid. Sono convinto che i più esposti agli interessi delle organizzazioni criminali saranno proprio i settori della sanità pubblica e privata, a partire proprio dalle Regioni che potrebbero beneficiare d’ingenti somme di denaro. Inevitabilmente nella gestione dell’emergenza e del post emergenza in ambito sanitario, molti servizi, di cura e non, dovranno essere esternalizzati. Proprio in questa fase ci saranno sicuramente le prime infiltrazioni della criminalità organizzata e le attività corruttive dei colletti bianchi. Il mio assunto pur essendo dottrinale, purtroppo, già trova conferma nell’indagine sui dispositivi sanitari di protezione individuale, su cui indaga la Procura della Repubblica di Roma con il primo arresto di un imprenditore romano per la turbativa di gara Consip per ventiquattro milioni di euro. E’ la certificazione del primo caso d’infiltrazione mafiosa, in era Covid, nel settore sanitario.

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