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di Loris Mazzetti*
Il 9 agosto Enzo Biagi avrebbe compiuto cento anni: classe 1920. Una vita dedicata al giornalismo.

Il primo articolo lo scrisse a diciassette anni e a ventuno diventò giornalista professionista. Biagi è stato un grande cronista e lo è stato per tutta la vita, avendo della professione una concezione etica che lo ha fatto diventare un riferimento per chi, ancora oggi, nel giornalismo non vede solo un mestiere.

C’è una definizione che Federico Fellini – amico da sempre, anche lui classe 1920 – diede di Biagi e del suo giornalismo: “ L’immagine di Enzo è per tutti quella di un giornalista amico, che si colloca tra la notizia e il telespettatore, come un ambasciatore. Ricorda quella fiducia che da ragazzini si dava al medico di famiglia che arrivava in casa con un’aria di buonumore portando la competenza e il talento di chi da tanto tempo lotta con i bacilli e i malanni, alla fine anche la malattia diventava un qualche cosa con cui si poteva venire ad un accordo”.

Il suo giornalismo è stato straordinariamente innovativo e ha dato spazio alla storia della gente, quella normale, quella che festeggia gli anniversari, che crede ai proverbi, quella che fa fatica ad arrivare alla fine del mese, a volte trascurata, spesso sottovalutata. A Epoca istituzionalizzò la critica televisiva; a il Resto del Carlino inventò il supplemento con i programmi tv.

Arrivò alla Rai nel 1961 come direttore del Telegiornale: “Andavo a scoprire un modo nuovo di fare il mio mestiere”. Era l’anno delle grandi innovazioni: Jurij Gagarin fu il primo uomo a volare nello spazio; a Milano si costituì la prima giunta di centrosinistra. Fece diventare commentatore televisivo Giorgio Bocca. Il suo primo intervento fu sui preti proprietari terrieri: uno scandalo. Debuttò in tv anche Indro Montanelli, che parlò di Trockij e di Stalin, un tabù per l’epoca.

Con l’arrivo di Biagi, l’informazione televisiva non fu più come prima. Cambiò le regole, scandalizzando i conservatori: fece uscire le telecamere dallo studio, portando in diretta i luoghi nei quali accadevano i fatti; sostituì l’annunciatore con il giornalista alla conduzione; impose all’azienda che il redattore e la troupe avessero lo stesso trattamento economico in trasferta per permettere di stare tutti nello stesso albergo e mangiare nello stesso ristorante; lanciò il primo rotocalco della televisione italiana: Rt. “Pensavo che anche con le immagini si potessero raccontare delle storie e approfondirle come sui periodici di carta. In fondo non mi sono inventato niente, ho solo portato in Rai quella che era la mia esperienza nei giornali”, disse.

Quante trasmissioni di approfondimento giornalistico hanno preso spunto da Linea diretta del 1985, la trasmissione che lo rese internazionale: Financial Time “Qualche cosa di totalmente fuori dal comune sta succedendo nel mondo della televisione italiana”; Liberation “La sua franchezza e la brutalità delle sue domande rivoluzionano la politica dell’informazione italiana”; Newsweek “Quando un uomo dai capelli grigi e con gli occhiali è apparso sui teleschermi, è stato per l’Italia un momento storico: egli cercava di fare del giornalismo obiettivo”. Il programma tv che più lo ha rappresentato, a cui è stato maggiormente legato, è Il Fatto di Enzo Biagi: un approfondimento quotidiano fra i cinque e i dodici minuti sull’argomento del giorno. Lo “stile Biagi” nell’intervista era inconfondibile. Il suo modo di rivolgersi agli intervistati, pacato e rispettoso, senza aria da giustiziere, ma con la chiarezza delle domande (asciutte), non concedeva tregua, inseguiva l’intervistato con la cosiddetta seconda o terza domanda, fino a ottenere la risposta. L’intervista è stata la cifra del suo giornalismo: è lui che ha inventato il faccia a faccia. I suoi incontri hanno fatto Storia, hanno accompagnato il telespettatore verso il nuovo millennio.

Enzo Biagi è stato un giornalista “scomodo”. Lo è stato da vivo, lo è ancora oggi a tredici anni dalla scomparsa: in quanti, tra i politici, avrebbero voluto Biagi nell’oblio, come tentò Silvio Berlusconi, allora presidente del Consiglio, con l’editto bulgaro. Il 18 aprile 2002 lo accusò, con Santoro e Luttazzi, di aver fatto un uso criminoso della tv. La risposta di Biagi non si fece attendere: “Quale sarebbe il reato? Stupro, assassinio, rapina, furto, incitamento alla delinquenza, falso e diffamazione? Denunci”. Poi aggiunse: “Signor presidente, la mia età e il senso di rispetto che ho per me stesso mi vietano di adeguarmi ai suoi desideri. Sono ancora convinto che in questa nostra Repubblica ci sia spazio per la libertà di stampa. E ci sia perfino in Rai che, essendo proprio di tutti, come lei dice, vorrà sentire tutte le opinioni. Perché questo è il principio della democrazia. Sta scritto, dia un’occhiata, nella Costituzione”.

Furono cinque gli anni dell’esilio di Biagi dalla Rai, l’ex Cavaliere aveva vinto solo una battaglia. Biagi, con il ritorno in tv nell’aprile 2007, pochi mesi prima di morire, a ottantasei anni, la guerra.

Il 9 agosto in occasione dei suoi cento anni il Comune di Lizzano in Belvedere gli intitolerà la strada principale di Pianaccio, il paese dell’Appennino Tosco-Emiliano che ha dato i natali a Enzo Biagi. Quella strada che Biagi aveva percorso per raggiungere la Sega Vecchia all’inizio del 1944 per raggiungere i partigiani della brigata Giustizia e Libertà.

Enzo Biagi nome da partigiano: il Giornalista.

* Fonte: Articolo 21

Tratto da: liberainformazione.org

Foto © Imagoeconomica

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