di Alessio Pracanica
Possiamo affermare con discreta certezza che da ieri, nel già luminoso firmamento della commedia all’italiana, è sorta una stella di prima grandezza.
Parliamo dell’ormai mitico Giulio Gallera, assessore lombardo alla Sanità, che davanti alle telecamere si è lanciato in vertiginose esemplificazioni epidemiologiche, nel tentativo di spiegare al volgo grezzo e ignorante il famigerato fattore Rt.
“0,51 vuol dire che per infettare me bisogna trovare due persone nello stesso momento infette, e questo vuol dire che non è così semplice trovare allo stesso tempo due persone contagiose per infettare me.”
In effetti, è abbastanza difficile trovare due persone disposte ad ascoltare le elucubrazioni di Gallera, per il tempo sufficiente a infettarlo.
Estendendo ulteriormente il brillante ragionamento, si potrebbe desumere che, in caso di Rt pari a 0.90, basterebbe un nano o un mutilato di guerra. Se invece il fattore Rt scendesse miracolosamente a 0,01, bisognerebbe convocare novantanove positivi e sollazzarsi tutti insieme, appassionatamente, finché Covid non sopraggiunga.
Proseguendo nelle similitudini, trovandosi al cospetto di un tasso di natalità dello 0,50 il buon Gallera ne dedurrebbe, giustamente, che per fare un figlio occorre la piena collaborazione tra due persone. A dimostrazione della regola che anche gli orologi rotti, due volte al giorno, servono a qualcosa.
Guai, però, a far precipitare le percentuali. Perché con un tasso dello 0,33 si renderebbe necessario il menage a trois e con valori ancora inferiori, solo l’orgia ci salverebbe dall’estinzione. Con tassi pari o superiori a 1, invece, un timido e tranquillo onanista potrebbe, con la dovuta calma, ripopolare il pianeta.
Nessuno pretende, sia chiaro, specifiche competenze tecniche dai politici, poiché il loro ruolo sarebbe altro. Ma prendendo in prestito le parole del veneziano Iacopo Badoer, si deve per l’ennesima volta convenire che un bel tacer non fu mai scritto, né, tantomeno, pronunciato.
Tornando alla politica, dobbiamo registrare il peloso polverone sollevato dalle critiche alla sanità lombarda, espresse dall’onorevole Ricciardi. Fior di reazioni indignate che hanno pretestuosamente miscelato gestione politica ed efficienza tecnica, utilizzando come schermo gli incolpevoli operatori della sanità, per altro mai menzionati da Ricciardi.
Che la sanità lombarda annoveri molteplici eccellenze professionali, è un fatto indiscusso. Che ogni professionista della Lombardia, dal più giovane dei portantini all’ultimo dei primari, abbia fatto in questa emergenza tutto ciò che era in suo potere, e spesso anche di più, è altrettanto assodato.
Ben diversa cosa è la gestione politica.
In questo caso, a voler parlare di “modello Lombardia” si rischia di scivolare dalla commedia al grottesco.
Pensiamo alle numerose inchieste che hanno coinvolto e travolto illustri esponenti della giunta regionale, proprio in tema di sanità.
Primo fra tutti, il celeste Formigoni, condannato a 7 anni e 6 mesi, per aver ricevuto, in deroga ai suoi frugali e monacali costumi, benefit del valore di svariati milioni di euro, favorendo in cambio gli intrallazzi del faccendiere Pierangelo Daccò.
Senza per questo voler sminuire, né dimenticare gli arresti di Mario Mantovani, ex vicepresidente regionale e di Fabio Rizzi, padre della riforma sanitaria lombarda, che dopo aver patteggiato una condanna a due anni per corruzione, nell’ambito di una più vasta inchiesta sulla sanità privata, ricopre tuttora la carica di Presidente della Commissione Sanità della Regione Lombardia.
Se questo è il modello, insomma, non osiamo immaginare le copie.
Venendo poi all’emergenza Covid, salta subito agli occhi la bizzarra delibera regionale dell’otto marzo, su proposta del sempre fantasmagorico Gallera, che disponeva il trasferimento nelle case di riposo dei contagiati a bassa intensità.
Provvedimento, per ovvi motivi, già al vaglio della magistratura inquirente.
Altrettanto curiosa, appare la vicenda dell’Ospedale in Fiera, fortemente voluto dal governatore Fontana e realizzato con la fattiva collaborazione del leggendario Bertolaso.
Nel cui cda sarebbe presente anche la signora Giulia Martinelli, ex di Matteo Salvini.
L’ospedale è frutto dell’indefessa opera di 110 fornitori e 829 tra tecnici e maestranze, che hanno sgobbato h24 per creare una struttura di 24mila mq con 221 posti di terapia intensiva, atmosfera controllata negativa e filtri assoluti, 2 sale Tac, 2 sale Rx, 2 sale operatorie, 6 spogliatoi, 33 docce, centro videoconferenza per 70 persone, networking in fibra ottica 10 GB/sec e wi-fi alta velocità 1G/sec, 2 aree triage, 2 ingressi distinti per ambulanze, gruppi elettrogeni e di continuità da 2700 kva, tripla riserva di gas con serbatoi per 82.000 litri di ossigeno e 20.000 di azoto, condizionamento estivo e invernale e locali relax per il personale sanitario.
“Stiamo facendo la storia,” ebbe a dichiarare trionfalmente il governatore Fontana, dando inizio ai lavori.
Costo, in attesa di ulteriori verifiche, 17,5 milioni di euro più Iva, pazienti ospitati: 21. Adesso pare non serva più e se ne ventila la demolizione.
Dalla storia alla decadenza, insomma, il passo è breve.
Il mio nome è Fontana, governatore dei governatori, giudica le opere mie immortali, o mortale, e disperati!
Ma questi, si dirà, sono i normali infortuni di un paese devastato da corruzione e burocrazia. Perché la Lombardia dovrebbe fare eccezione?
Eccezione forse no, ma da qua a diventare modello, ce ne corre.
Dulcis in fundo, è opportuno commentare i numeri della pandemia.
Su un totale di 61.195 closed case, in Lombardia, ci sono stati 15.840 morti.
Valore quest’ultimo, che andrebbe ritoccato verso l’alto, volendo prestar fede ai dubbi recentemente espressi dall’Inps, in merito alle cifre di mortalità.
Anche così, esprime comunque un’incidenza di decessi pari al 28% dei casi finora risolti. Quasi un ammalato su tre, in altre parole, non ce l’ha fatta. Una percentuale che non ha corrispettivo in nessun altro posto del mondo e unico dato epidemiologico, parlando di vittime, ad avere una qualche rilevanza.
Tanto per dare un’idea, in Piemonte, seconda regione per numero di contagiati, tale percentuale è del 17%, come negli Usa e in Spagna diventa del 12%.
Inutile argomentare che i dati della Lombardia potrebbero essere falsati da un fantomatico, e per ora sconosciuto, numero di casi asintomatici. In quanto, Inps e Istat docet, i morti per Covid sembrerebbero essere molti, molti, molti di più, rispetto alle statistiche ufficiali.
Qualche critica, quindi, al modello Lombardia e alla sua gestione dell’emergenza sembrerebbe più che lecita. Senza per questo mancare di rispetto agli operatori della sanità, ai defunti e alle loro famiglie.
Anzi. È nascondendo eventuali leggerezze, errori e responsabilità che si fa torto alla memoria di chi non c’è più e alla fatica di chi si è sacrificato.
Giunti alla fine, per dovere di cronaca occorre precisare che i talenti dell’avanspettacolo non albergano tutti tra il Ticino e il Mincio. L’Italia, terra fertile e generosa, ne partorisce sotto ogni latitudine.
Prova ne sia che qualche giorno fa, la signora Iole Santelli, presidentessa della regione Calabria, esprimendosi in merito alla misurazione della temperatura corporea, ha candidamente dichiarato: “Di cosa stiamo parlando? Con 40 gradi all’ombra chi non avrà 37 gradi di temperatura corporea?”.
“Non chiedete cosa può fare il vostro paese per voi, chiedetevi piuttosto cosa voi potete fare per il vostro paese,” ammoniva John Fitzgerald Kennedy.
Ecco, restituire i comici alla loro primaria vocazione sarebbe già un buon inizio.
Foto © Imagoeconomica
Il modellino Lombardia
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