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di Massimo Pisa
L’uomo compare dalla boscaglia e attraversa massicciata e binari con un cartone della pizza in mano. Ha jeans strappati ma di sartoria, mocassini a pattern scozzese, giubbino leggero e l’andatura di chi non ha fretta. L’impazienza è dei quattro ragazzi che lo aspettano sotto il "ponte interrotto": un moncone di cavalcavia che i treni locali e i merci oltrepassano appena usciti dalla stazione San Donato, in direzione Rogoredo, e che gli automobilisti sulla Tangenziale Est nemmeno notano, quando escono per Corvetto. L’uomo apre il cartone e distribuisce. Incassa. Non è margherita, né funghi e prosciutto. E questo è solo l’antipasto dell’ennesima serata di pellegrinaggio tossico alla "mattonella". La ridotta del boschetto. L’ultima zona franca dello spaccio di eroina nella città assediata dalla pandemia.
Qui non esiste distanziamento sociale, in fila non si contano i metri e nemmeno i centimetri. Guanti e amuchina non hanno mai avuto cittadinanza, e nemmeno le mascherine. Qui l’unica regola è presentarsi verso il tramonto, anche con gli spiccioli, ché qualcosa te la danno sempre. E andare a farsi qualche metro più in là, sul pratone, sotto un albero, sotto al viadotto. Quando il buio avvolge l’area, protegge gli "spaccini" dai raid, conforta i tossici. Che hanno tante vie d’ingresso, un po’ meno delle vie di fuga in caso di visite indesiderate. Per arrivare alla più comune, bisogna oltrepassare l’ingresso del vecchio boschetto: lato destro di via Sant'Arialdo, primo sottopassaggio oltre la stazione. L’enorme San Sebastiano appiccicato al muro, trafitto da siringhe, non saluta più la processione dei disperati, i sentieri sono ormai ripuliti, i prati lindi, le baracche e i tappeti di siringhe e le ragazzine che venivano a vendersi per una dose sono ormai un ricordo.
Ma è scendendo sulla sinistra, lungo i binari dell’alta velocità sigillati dal cemento, che dalle sette della sera in poi si riforma la coda dei pellegrini. Si incamminano dalla banchina di Rogoredo, scavalcano muretti e cancelli in via Sant’Arialdo, risalgono il prato da Chiaravalle, fino a uno dei due sottopassi che scorrono sotto le traversine semideserte e portano al "ponte interrotto", a quella tenda improvvisata con un piumone rosso consunto. Qualcuno attraversa la linea dei Frecciarossa che non passano più ( a parte quello del mattino verso Napoli), come una volta facevano i pusher in fuga. Altri risalgono dalla testa del binario 1 di San Donato, oltrepassando la distesa di bottiglie di birra, di carrelli della spesa arrugginiti, di sacchetti di plastica e aghi usati insieme a una mezza dozzina dei tanti leprotti che stanno ripopolando i prati di Metanopoli. Ma è il punto più esposto. Ai controlli. Alle sentinelle che vengono a chiedere chi sei e che vuoi, ogni volta che una presenza sconosciuta viene a disturbare questa quiete.
Lì sotto, alla "mattonella", il fixing non è cambiato. Venti l’eroina, quaranta la coca - c’è sempre qualche grammo a disposizione del "cliente" più esigente, quello che mischia e va avanti a speed - i prezzi sono tornati quelli standard dopo l’impennata di un mese fa, quando il repentino svuotamento di tante piazze storiche dentro le circonvallazioni si era tradotto in un aumento della domanda qui, dove roba ce n’è sempre, dove gli uomini - i cugini, gli amici, gli amici degli amici - dei Mansour continuano ad arrivare dal Marocco, anche dopo le operazioni che hanno mutilato il clan dominante. Almeno così racconta chi questi prati non li ha mai persi di vista e va detto che, durante il nostro periodo di osservazione, di pattuglie ne abbiamo incrociate più d’una: gazzelle della compagnia dei carabinieri San Donato, volanti di polizia, pure un’auto della Locale con relativa richiesta di documenti e spiegazioni. A queste, vanno aggiunti i periodici servizi in borghese di finanzieri e investigatori di Polfer e commissariato Mecenate.
Ma il racconto orale dell’ultimo mese di monitoraggio della zona è fatto anche di diverse cacce a vuoto, di inseguimenti notturni, di tuffi nelle acque del canale, di fughe sull’asfalto della tangenziale o dietro ai treni in corsa. Proprio perché il "ponte interrotto" è un punto strategico, avvistare è un attimo, sfidare la sorte per infilarsi dove nessuno ti inseguirebbe non è mai stato un problema. Non lo è adesso la minaccia del Covid. "Ho 53 anni e mi faccio da quando ne avevo 31, secondo te che cazzo me ne può fregare del virus? Ma magari mi venisse, così la facciamo finita". L’uomo che dice di chiamarsi Pasquale, e che dimostra dieci anni in più di quelli dichiarati, la sintetizza così mentre camminiamo in fila indiana di ritorno verso Rogoredo. Poi sparisce nel sottopassaggio verso via Orwell.

Tratto da: La Repubblica edizione Milano

Foto © Imagoeconomica

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