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di Azione Civile
“Io ho visto molti funerali di Stato: dico una cosa che credo io e che quindi può anche non essere vera, ma molto spesso gli assassini erano sul palco delle autorità” dichiarò ad Enzo Biagi una settimana prima di essere assassinato Pippo Fava. Sono passati decenni ma, con poche variazioni, è una considerazione che può essere adattata a molte situazioni. Il sacrificio di Falcone e Borsellino vede all’opera, da 25 anni, le vette dell’ipocrisia e della doppiezza italici. In occasione di ogni anniversario, e in tante altre occasioni, i loro nomi vengono accostati ai più aulici discorsi. Densi di retorica, alti proclami, petti in fuori. Dalla stessa classe politica, giornalisti e opinionisti à la carte, che tutto l’anno negano di fatto l’impegno di Falcone e Borsellino. Sono gli stessi che, nonostante le sentenze e la realtà ormai acclarata, negano la trattativa Stato-Mafia e perseguitano chi denuncia, combatte ed è in prima fila. Hanno realizzato norme che hanno favorito colletti bianchi, affari sporchi, ne sono stati protagonisti diretti. Dalla Terra dei Fuochi ad appalti in tutta Italia, dal business criminale infiltratisi nella sfera pubblica. E ogni volta un magistrato, un giornalista, un amministratore pubblico o un militante politico ha denunciato e ha combattuto le mafie viene apostrofato nelle maniere peggiori possibili, isolato e delegittimato. Basti pensare agli insulti e agli attacchi rivolti contro Dario Vassallo e alla memoria del fratello Angelo.
Pur di negare la trattativa Stato-mafia viene sbandierata l’indagine Mafia-appalti. Omettendo di citare dati, fatti e nomi, come di coloro che furono coinvolti e poi parteciparono al grande banchetto del TAV Torino-Lione. Così come chiudono gli occhi, e anzi favoriscono legislazioni e regolamenti di comodo, sulle tantissime infiltrazioni in cantieri e appalti in tutta Italia. In nome della sburocratizzazione, della lotta a presunti (quanto inesistenti) lacci e lacciuoli che frenerebbero lo sviluppo e l’economia. Fino ad arrivare (lo vediamo su rifiuti e Taranto per esempio) a schierarsi e favorire veri e propri ricatti - in nome dello sviluppo e del denaro - di multinazionali, cartelli d’affari e imprenditori legati a zone grigie e affari sporchi.
La negazione della Trattativa Stato-Mafia, e il contrasto a chi denuncia, documenta e combatte le cosche di oggi, è l’apice di un processo molto più ampio. Viviamo in tempi in cui sicurezza e tolleranza zero sono egemoni nel dibattito pubblico. Ma, sempre più, è stata insinuata la convinzione che mafia e corruzione non sono un gran problema, che non bisogna occuparsene più di tanto, che il battersi per la giustizia e la legalità è poco democratico, che è un virus giustizialista e manettaro da debellare. Sono tantissimi anni, dagli anni successivi a Mani Pulite passando per il berlusconismo e gli ultimi tempi, che parlamentari, opinionisti e giornalisti main stream lanciano campagne innocentiste e si cimentano in panegirici per arrestati e condannati per corruzione e mafie. Così come, favoriti anche da certe campagne presunte “anti-casta”, ha preso piede nella società italiana che le scorte sono un privilegio per pochi e costi inutili da tagliare. E così, mentre nei Palazzi i veri sprechi e privilegi sono più o meno intatti, sono rimasti senza difesa, isolati e in pericolo giornalisti, testimoni di giustizia, magistrati e non solo. Per mesi abbiamo letto e sentito della situazione delle autostrade italiane. Gennaro Ciliberto anni fa denunciò fatti gravissimi. Oggi è testimone di giustizia e in tribunale si è recato a testimoniare senza alcuna protezione. All’unico testimone dell’assassino di don Peppe Diana la protezione dello Stato viene negata per un mero cavillo burocratico. Nonostante pronunce della magistratura all’ex magistrato, il cui impegno per lo Stato e la giustizia è iniziato proprio accanto a Paolo Borsellino, Antonio Ingroia la scorta viene ancora negata. E l’elenco potrebbe continuare.
La sicurezza è considerata mero strumento di propaganda e ottenimento di consenso elettorale. Pronti a chiudere gli occhi e diventare accondiscendenti con amici e amici degli amici, che siano colletti bianchi, politici accusati di corruzione e altri reati gravi, ultras condannati per spaccio e altri reati violenti. O davanti all’attività di gruppi neofascisti che - simili alle leghe all’opera negli anni della Trattativa Stato Mafia - autori di spinte eversive ed antidemocratiche.
La memoria senza impegno, il ricordo senza seguirne l’esempio sono ipocrisie che offendono chi è morto e ne tradiscono il sacrificio. Per questo vogliamo ricordare Paolo Borsellino e gli agenti della sua scorta Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina, e tutti coloro che sono morti per i più alti ideali democratici, impegnandoci quotidianamente, smascherando i doppiogiochisti e gli ipocriti, chi ammanta dietro belle parole il marcio quotidiano.

ANTIMAFIADuemila
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