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di Adriano Ardu e Donatella Campus
Nel corso della giornata in cui il giornalista e scrittore Aaron Pettinari ha presentato il suo libro “Quel terribile ‘92” a Macomer, nel Liceo Statale Scientifico Classico e delle Scienze Umane “Galileo Galilei”, parlando di cronaca, mafia e legalità, i ragazzi hanno potuto anche ammirare alcuni quadri del pittore Gaspare Mutolo, collaboratore di giustizia e, soprattutto, hanno avuto la possibilità di dialogare con lui, in diretta telefonica, per meglio comprendere il percorso di trasformazione che lo ha visto abbandonare il mondo della mafia per dedicarsi, oggi, al mondo dell'arte. Di seguito vi proponiamo alcune domande che sono state rivolte al collaboratore di giustizia.

Da quanti anni vivi in protezione? Se dovessi rivivere un’altra volta, rifaresti tutto ciò che hai fatto, sia nella prima che nella seconda fase della tua vita?
Dal 15 dicembre del ’91 ho cambiato vita e sono felice oggi perché ho trovato tanto amore, tanta serenità, principalmente nella mia famiglia. Oggi ho quasi ottant'anni ma guardando al passato non dimentico che non ho avuto un'infanzia facile. Io tutto quello che ho fatto l’ho fatto sempre convinto di fare una cosa buona. Oggi però conosco un'altra realtà. Se potessi nascere una nuova volta e avessi conosciuto prima quest'altra possibilità di vita sicuramente farei altre scelte.

Buongiorno, qua abbiamo avuto la possibilità di vedere alcuni suoi lavori, personalmente mi sono davvero piaciuti tanto, quindi le vorrei fare i complimenti per questo e non solo per il suo pentimento e per come ha affrontato tutto ciò che è venuto dopo il pentimento, quello che ha comportato; mi piacerebbe chiederle due cose, prima di tutto come si è sentito quando ha visto tutta la sua vita passarle davanti agli occhi, tutto quello che aveva fatto nel passato, come ha vissuto il presente e come intende proseguire la sua vita, come sarà il suo futuro. E poi vorrei chiederle anche che valore, che potere attribuisce all’arte. Crede che la sua arte, ma anche l’arte in generale, abbia il dovere, abbia un impegno civile, cioè l’arte deve trasmetterci la capacità, in qualche modo, di agire nel nostro presente e di migliorarlo, così come lei stesso sta provando a fare con i suoi lavori?
Intanto grazie per i complimenti, dopo, in merito all’arte, c’è stata una ragazza, Sonia che fa parte dell’associazione, che vedendo i miei primi lavori che ho fatto, ha fatto realizzare dei segnalibri scrivendoci “L’arte uccide la mafia”. Io nell’arte ho trovato la pace, da quando io dipingo e libero i miei pensieri che possono essere belli, brutti o cattivi, ma ormai faccio parte di questo mondo e cerco sempre di migliorarmi, perché l’arte migliora, ad essere più buoni, ad esprimere quello che uno sente dentro l’animo. Dopo, in merito a come ho vissuto, come ho detto al professore, la mia infanzia, la mia giovinezza è stata vissuta in un mondo diverso di quello che è oggi, cioè io facevo parte della mafia, e facendo parte della mafia non è che potevo avere molti pensieri buoni, ma non perché uno non è buono, ma perché uno vive in quella logica di sopraffazione, prepotenza, anche se uno è buono. Vivere nella mafia, o in qualsiasi associazione criminale, uno entra in un’altra dimensione, vive secondo quei criteri. Dopo io ho avuto modo, grazie principalmente a mia moglie che, nel ’81 si ribellò con me, perché abbiamo ucciso un ragazzo che lei conosceva, mi disse: “ma state uscendo tutti pazzi?”. Aveva anche lei figli di quell’età e si era molto preoccupata, certo quando io ho cambiato vita e questa vita che faccio ora ho trovato la serenità, principalmente mi sono goduto l’amore dei miei figli, i miei nipoti e pronipoti, vivo questa realtà, almeno questi pochissimi anni che rimangono nell’amore che ogni uomo può sentire. Quando mi trovo a confronto con i ragazzi cerco di dare con forza questo messaggio, che magari ci sono ragazzi che quando diventano grandi prendono una strada un po’ diversa da quella normale, e io dico sempre con forza “non vale la pena”, vale invece la pena di godersi l’amore dei figli, la moglie e tutta la famiglia. Sono contento che faccio questa vita ormai in questi ultimi anni e li dedico all’arte e alla fede.


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Ragazzo: Buongiorno, volevo chiedere se ha paura dei riscontri che può incontrare avendo tradito la mafia.

Io per carattere non sono una persona che ha avuto mai paura, perché ho vissuto sempre, diciamo, la mia gioventù è stata sempre consapevolmente sapevo che da un giorno all’altro potevo morire. Anche perché io come collaboratore ho fatto un percorso diverso da altri. Io ho conosciuto ed ero un amico dell’uomo più cattivo che esiste nella mafia, Riina, è stato forse il destino o qualcosa di sovrannaturale io dopo ho lottato la mafia con l’uomo più forte che combatteva la mafia, che era Giovanni Falcone, e poi Paolo Borsellino.
Ho ritenuto giusto collaborare perché ho ritenuto sbagliato quello che facevo. La paura qual è? La paura è che io non ho paura, ho soltanto il rimorso di quella vita che ho fatto provocando tanto dolore alle famiglie.

Buongiorno, io volevo chiederle qualcosa, prima quando ci hanno presentato la sua figura, ci hanno detto che lei è stato spinto a collaborare oltre che per una precisa scelta personale, anche perché ha incontrato delle figure straordinarie come quelle di Falcone e Borsellino, che sicuramente erano isolati all’interno della magistratura italiana, quindi le volevo chiedere cosa ha trovato in loro che invece è mancato o manca tuttora, all’interno della giustizia italiana. Qual è oggi l’eredità che dovremo tenere presente per combattere il fenomeno mafioso?

Diciamo che io sono stato spinto a collaborare, e ho deciso di collaborare, con il giudice Falcone e dopo con Borsellino, loro volevano che io collaborassi come hanno fatto tutti gli altri collaboratori. Io ho preso la mia collaborazione come una missione, pensavo che potessi essere ucciso, ma non me ne fregava niente, infatti sapevo che i collaboratori potessero essere uccisi, se ne parlava di questo quando io ero nella mafia. Io ho scelto queste persone perché queste effettivamente lottavano contro la mafia, mentre io sapevo che altri loro colleghi non la combattevano. Allora per questioni di abitudine, di cultura, non c’era una lotta contro la mafia o contro le organizzazioni mafiose, nelle città, nei paesi, comandavano il prete, il maresciallo e il mafioso, quindi anche il mafioso era guardato come una specie di istituzione. Quando le cose sono cambiate e Salvatore Riina ha fatto guerra a tutti, ai mafiosi e allo Stato, io, pur essendo molto amico di questo personaggio, sono stato il primo a mettermi contro e ho scelto quelle persone, sicure, che combattevano la mafia, all’inizio con alcune divergenze. Sono contento, perché prima ho collaborato con loro, poi ho collaborato con tutti e le cose sono cambiate. Lo Stato, anche se non come prima, ha preso le distanze, ma ci sono ancora dei personaggi che sono dentro le istituzioni che connivono con questa mafia, questa camorra, con queste organizzazioni criminali. Come diceva Falcone. “la mafia con lo Stato o si combatte o si va d’accordo”.


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Salve, io le volevo chiedere come ha trovato il coraggio di mettersi contro la macchina della mafia, conoscendola anche da vicino i suoi metodi.
Il coraggio l’ho trovato perché avevo quattro figli, di cui uno aveva quasi diciotto anni, e avevo visto tante persone, anche più piccole di mio figlio che venivano uccisi, perché la mafia aveva cambiato atteggiamento rispetto al tempo in cui io ero felice, ero contento di essere un mafioso. Allora i bambini non si toccavano, le donne non si toccavano. Dopo, io e altri, quando veniva uccisa una donna o un bambino, non parlavamo per paura, ma era una cosa che ci faceva male, da qui questo mio voltafaccia verso la mafia, perché io non mi sono visto più in quelli che erano gli ideali, quando da mafiosi si facevano i banchetti si brindava a tutti i bambini del mondo, a tutte le donne del mondo, per noi bambini e donne erano sacre. Poi con l’entrata dei Corleonesi e la loro potenza, si era perso il lume della ragione e quando hanno iniziato ad uccidere donne e bambini, io non mi sono più ritrovato in quella che era la mia visione di quella che era la mafia e mi ci sono messo contro, cercando quelle persone che erano più esposte contro la mafia. Quindi io sono stato ben felice ed ho iniziato con uno schema ben chiarissimo, quello di mettermi non solo contro i mafiosi ma anche contro le istituzioni corrotte.

Ragazza: Buongiorno, ho fatto una riflessione, lei nel corso della sua vita ha lavorato, nella prima parte e possiamo dire anche nella seconda, con i pilastri dei lati opposti di questo che possiamo chiamare conflitto, volevo chiederle, nella prima parte è stato un po’ per caso, come ci hanno raccontato, nella seconda parte è stato per scelta, quali sensazioni ha provato lei in entrambe le parti, quali differenze nel suo animo ha provato?

Effettivamente nella prima parte della mia vita, il ricordo che ho, da mafioso, è quello di vivere nel lusso, lo stare bene, senza problemi, avere tutte le comodità, uno che vive in quello stato guadagna tanti soldi però niente ha valore, non ha valore a vita umana, con tanta facilità si uccide, si sequestra, si fanno delle cose brutte, io l’ho vissuto nel dopoguerra ed era tutto un altro modo di vivere. Nella seconda parte ho veramente gustato il senso della famiglia, l’amore dei figli, gli amici, la tranquillità, essendo stato uno che non ha avuto mai paura, forse era proprio destino che ho sentito il dovere di accusare i personaggi delle istituzioni mafiose e avere come “pulitura dell’animo” la pittura. Io ho passato e passo molto tempo a dipingere, ma non perché ho paura ad uscire, anche perché ormai il mio cervello da tanti anni aveva fatto questo rigetto, aveva rigettato le cose brutte che combinavo. Ho avuto questo ripensamento anche per il dolore di tanti amici miei uccisi, specialmente il dolore per donne bambini uccisi, sono stato io a ripudiare quello che facevo ed ho messo la mia vita nelle mani di Falcone e Borsellino perché quello che avevo fatto prima mi faceva schifo. Ora sono rimasto vedovo e mi dedico alla pittura, per me la pittura è tutto e proseguo in questi ultimi anni, ho quasi ottantanni, non mi illudo di campare ancora tanto.


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Innanzitutto le faccio i complimenti, lei ci sta dando un grandissimo messaggio, se tutti esprimessimo la nostra potenzialità nella creatività dell’arte, in qualsiasi sua espressione, piuttosto che nell’egoismo, sarebbe una società diversa. Adesso le voglio chiedere, lei nella prima vita, cosa ha pensato il giorno in cui è stato ucciso Peppino Impastato, ha un ricordo di quel momento, oppure non si ricorda niente, oppure avrà pensato che era uno dei tanti. Ha un qualche ricordo? Perché per noi, per i ragazzi lui è un simbolo della lotta alla mafia.
Io i ricordi li ho sempre vivi, la mia vita fino a 49 anni è stata sempre turbolenta, avventurosa, per il modo di vivere, nel bene, nel lusso e anche nel dolore, perché capisco ora quando ricordo la mia vita, non penso al lusso o agli appartamenti che avevo, ma penso anche al dolore che ho arrecato alle persone, e la cosa che di più mi ha fatto male ricordando questo, è che a volte frequentavo persone di famigliari che io avevo ucciso, ma ero talmente abituato a quella che per noi era normalità, che poi incontravamo quelle persone come se nulla fosse successo. Quindi, quando io ricordo queste cose, mi fa male ricordarle, ma mi giustifico perché ero ignorante, ero al buio, il mio mondo era quello, cercavo di viverlo nella maniera più bella, più onesta, più lineare, però quando sono passato alla seconda vita questi ricordi li ho perché non li posso dimenticare, sono negativi, ma poi per trent'anni ho cambiato vita e sono tanti, e l’ho fatto con quella semplicità d’animo per trovare quell’amore che prima non conoscevo, come dicevo quello dei figli, dei nipotini, delle sorelle che mi ricordano che quel cambiamento è stato bello anche per loro. Per quanto riguarda Peppino Impastato, lui era un personaggio molto noto a Cinisi, si sapeva che lui era contro anche alla sua famiglia, avendo i famigliari anche mafiosi, lui era di un pensiero libero e contro la mafia. Cercava di insultare e di provocare il boss del paese, Gaetano Badalamenti, anche con battute tipo “Tano Bada a come te Lamenti”, oppure “Tano Seduto”. Io sono stato il primo a seguire il processo ulteriore, prima avevano archiviato il caso come omicidio casuale, dopo, quando io ho collaborato, ho potuto dire che l’omicidio di Peppino Impastato non era stato un incidente, ma un omicidio di mafia. Hanno riaperto il processo e la realtà era evidente.

Ritornando all’importanza della pittura non ho potuto fare a meno di notare che nei suoi quadri, quelli che abbiamo qui esposti, quelli a carattere paesaggistico, sono qui rappresentati degli uccelli nell’angolo a sinistra, volevo chiedere se questa fosse un’allegoria riferito al passato o come si sente adesso o se fosse solo un caso o una scelta della sua pittura.
Io quando dipingo non ho un pensiero ben preciso di quello che devo fare, perché io, anche se dipingo da tanto tempo, e dipingerò sempre, fino all’ultimo respiro della mia vita, quello che disegno è quello che sento al momento. Io di solito mi ispiro tanto nelle casette con quei colombi, mi ricordano tanto Palermo, negli ultimi dipinti che ho fatto ci sono alcune piovre, segno del male, con interi paesi e sopra la testa della piovra un’aquila reale, che prende con gli artigli la piovra, come segno di bene, con la speranza che col tempo prima o poi finirà. Anche per me sarebbe una cosa bella, perché quando trentanni fa io ho cominciato a collaborare, ci sono stati alcuni giudici che mi hanno chiesto: “il tuo sogno qual è’” e io ho detto “il mio sogno è quello di andare a prendere un gelato a Mondello”, dove io sono cresciuto, ma è molto più importante del gelato in sé, perché andare a prendere un gelato a Mondello significa che lo Stato ha vinto. E oggi siamo sulla buona strada.

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