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mafia padrino coppola brandodi Pippo Giordano
Quand'ero ragazzo guardavo silente il mondo dei mafiosi. Il mio primo incontro inconsapevole con un mafioso fu allorquando all'età di 5/6 anni vidi mio padre togliersi la coppola e chinandosi prese la mano di un uomo baciandola: “servo suo sono!”. Disse. Rimasi colpito da quel gesto. Poi crescendo capii da solo chi erano i mafiosi. Ma non potevo chiedere e non potevo più “guardare”, ormai ero divenuto adulto. Frequentai le loro abitazioni e le loro aziende ma sempre con passi felpati e roboanti silenzi. Intanto, la mafia sparava e uccideva non solo i sodali, anche uomini delle istituzioni. Poliziotti, carabinieri e magistrati. Noi giovani, allora, non potevamo parlare di mafia e nemmeno avere lo sguardo “pizzutu”, ossia indagatore. L'obbligatorietà di uno sguardo assente era la norma, una specie di polizza per la vita. E già a quei tempi dedussi che tra gli uomini d'onore non poteva esserci amicizia. Poi nel diventare poliziotto, la mia deduzione divenne certezza. Acclarai sul campo, che l'amicizia in Cosa nostra altro non era che una dolce chimera. I cosiddetti uomini d'onore si nutrivano del sangue di coloro che pomposamente definivano amici. A loro interessavano i piccioli non disgiunti dal potere. Altro che amicizia. La decisione di uccidere, sormontava qualsivoglia teoria amicale. E nemmeno l'assassinio del supposto amico, divenuto nel frattempo nemico da abbattere, bastava a chetare la sete di vendetta. L'amicizia tra i mafiosi, decantata con platealità intrinseca in Cosa nostra, svaniva e gli spari mettevano fine alla supposta amicizia. Sovente, l'epilogo funesto non si fermava con la morte del vecchio “amico” ma andava a colpire oltre con l'intento di disprezzare il morituro. Non vi è alcun dubbio che l'ascesa dei corleonesi di Totò Riina, ruppe quei comportamenti arcaici che da illo tempore regolava la mafia siciliana, che seppure foriera di violenza non s'era mai spinta in modo diffuso al barbaro metodo della vendetta trasversale. Prendiamo il caso del killer più potente della mafia siciliana, Scarpuzzedda. Questi, a un certo punto iniziò a ribellarsi allo strapotere di Riina: seppure invitato si rifiutava di andare a trovare Riina. Scarpuzzedda, fu assassinato con un colpo alla nuca da un presunto amico, proprio mentre stava preparandogli un caffè. Morto Scarpuzzedda, un killer “amico” sparò alla sua donna, ferendola gravemente (il killer mi raccontò la dinamica). Conobbi la donna di Scarpuzzedda, prima del ferimento. Io e la mia squadra l'arrestammo per una questione di droga e che allora non sapevamo che fosse la donna del numero uno dei killer ricercati. Era una delle più belle donne di Palermo. Quella donna, nel corso della traduzione in carcere, con i suoi silenzi ci fece “capire” tante cose: Scarpuzzedda era ancora in vita. Ho raccontato questo episodio, per far comprendere che l'amicizia in Cosa nostra non è mai esistita e mai esisterà.

Tratto da: facebook.com/jordanpippo/posts/2478053235554847

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