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castro julio c brechadi Jean Georges Almendras 
I giovani sul palco: "Brillo en Cautiverio" , opera sul detenuto uruguaiano scomparso

I resti del detenuto scomparso dell'Uruguay, Julio Castro, insegnante e giornalista rapito il 1 agosto 1977 (all'incrocio tra Avenida Rivera e Calle Francisco Llambí, nella capitale uruguaiana), da forze di polizia e da militari della dittatura di Montevideo, sono stati trovati il 21 ottobre 2011 in un campo militare, nella zona uruguaiana di Toledo; dipartimento di Canelones. E' stato uno dei soli quattro corpi ritrovati nel quadro degli scavi effettuati nei  territori militari, durante i tre periodi del governo di sinistra, Frente Amplio. Il martirologio di Julio Castro ha viaggiato per il mondo. E’ stato portato anche in teatro dai giovani del cast di "El Sótano" nel 2012, con il titolo: "Brightness in captivity"; ad opera dell’attore e regista teatrale, Christian Almendras. Nel 2012, il Movimento Giovanile del Comune di Montevideo ha ricevuto un riconoscimento riguardo la rappresentazione. Sei anni dopo questa distinzione, domenica 28 ottobre, i giovani del nostro movimento Our Voice hanno presentato quest'opera sul palco, presso il Teatro di ciclo e memoria, organizzato dall'Unione Uruguaiana di attori (SUA); nel 50° anniversario degli omicidi degli studenti Liber Arce, Susana Pintos e Hugo de Los Santos. Omicidi commessi dal terrorismo di Stato nel 1968, prima che si instaurasse la dittatura militare.
Il testo teatrale, che in origine ha una durata di 40 minuti, è stato messo in scena in quindici  minuti da uno dei cast di attori amatoriali del movimento Our Voice. È stata letteralmente una delle espressioni più importanti dell'incontro di domenica, che includeva altre rappresentazioni riguardo gli omicidi degli studenti avvenuti nell’arco di cinquant’ anni, da parte di forze repressive che già agivano in Uruguay molto prima del 27 giugno 1973.
Our Voice non ha risparmiato spiegazioni, né messa in scena, né potenziale di recitazione per rappresentare "Brillo en Cautiverio". Il testo chiaro, i dialoghi simbolici ed energici di Christian Almendras non hanno assolutamente costituito un ostacolo per gli attori: Diego Grachot, Juan Manuel Ferreira, Facundo Faropa e Anubis Leal.
Ogni giovane è stato in grado di affrontare il ruolo assegnato. Ognuno di loro si è sentito parte di un progetto, che aveva come comune denominatore la denuncia e il nobile compito di preservare la memoria di uno dei tanti atti criminali commessi dal terrorismo di Stato; già insediato in Uruguay un anno e tre mesi dopo il giorno in cui l'esercito, con la complicità del presidente costituzionale dell'epoca, Juan María Bordaberry, ha fatto un colpo di Stato  (come parte del Piano Condor).
Un'ottima illuminazione e un'interpretazione accurata hanno espresso molta forza e sensibilità, rendendo lo spettacolo chiaro e lineare. E’ stato raggiunto l'obiettivo di trasferire al pubblico una delle pagine più emblematiche della dittatura uruguaiana, poiché la vittima era una nota personalità dell'educazione e del giornalismo nazionale.
Diego Grachot (uno studente di teatro indipendente) ha interpretato Julio Castro, impressionando il pubblico in ogni momento della sua esibizione. Performance che ha condiviso con Juan Manuel Ferreira, il quale ha rappresentato il suo personaggio in maniera esemplare, trasmettendo al pubblico il perfetto significato del proprio ruolo di oppressore. Il risultato delle scene di entrambi è stato molto positivo.  E’ stata una recitazione eccezionale, dove non c'erano né alti né bassi nell'espressione, tantomeno nei toni usati e nella dinamica della violenza; uno spettacolo trasformato in una drammatica pagina di ieri, molto utile per non perdere la memoria e la conoscenza di cosa è successo durante quegli anni di terrore.
All'altro capo del palco, dove l'ambientazione ha avuto successo, Facundo Faropa e Anubis Leal non hanno deluso gli spettatori. Al contrario, la scena a loro assegnata ha mostrato  brillantemente la validità del dramma vissuto in quegli anni, come nesso necessario per comprendere il messaggio profondo imposto nel testo. Un testo che è valido nella sua interezza. Un’ interpretazione molto buona, come è accaduto in questo caso, diventa un elemento davvero utile per lo spettatore, affinché egli abbia un'idea chiara, drammatica, della sofferenza vissuta da un uomo anziano con problemi di salute (ma non di coscienza) in balìa della repressione; dopo aver subito torture, interrogatori e un proiettile nel cranio. "Brillo en Cautiverio" è un testo tempestivo, che ha raggiunto le mani dei giovani del movimento culturale Our Voice, i quali ne hanno sfruttato il contenuto. Questi ragazzi sono stati protagonisti del difficile compito di sensibilizzare i giovani, che non conoscevano la sottomissione e le sofferenze causate dai persecutori delle dittature degli anni Sessanta e Settanta; non lontani dalle "dittature" delle false democrazie di oggi.
Il lavoro di Our Voice è stato applaudito calorosamente dal pubblico, composto principalmente da giovani. Un pubblico che ha capito perfettamente il messaggio dell'autore del testo e degli attori. Il contenuto dei messaggi ha creato un’armonia nel momento in cui il lavoro ha cominciato a fondersi in un'atmosfera molto ben riuscita di repressione e ricordi, dove il presente ha fatto tremare il pubblico della nuova generazione, che non ha vissuto la dittatura. Nel finale è stato ricordato il vero significato di tanto dolore e sofferenza provato dalle vittime di quei giorni: "[…] Spero solo che il proiettile che lo ha ucciso ci insegni a vivere con dignità… ". Nel circuito della sala teatrale del SUA, sono state viste altre due esibizioni ed è stata cantata una canzone, evidenziando l'opera "Las Camisas Blancas: muerte y vida de Susana Pintos", diretta da Romina Grassi, Sandra Massera e Florencia Protazonio. Sotto la direzione di Sandra Massera, le attrici Romina Grassi e Florencia Protazonio hanno dato vita alla studentessa Susana Pintos, assassinata dalla repressione nel 1968, sotto la presidenza di Jorge Pacheco Areco. Una performance ugualmente impeccabile.
In un momento in cui la cultura dell'impunità sembra essere sempre più installata in Uruguay (e in America Latina), i tribunali di giustizia, cercando di allontanare gli oppressori militari e civili, sono spazi vitali di cultura e di arte teatrale, per conservare la memoria. Our Voice non poteva essere assente in questo lavoro di impegno militante, in nome della  giustizia e della verità. Our Voice non poteva restare indifferente a un testo così sensibile di  denuncia della dittatura, rappresentato in un evento teatrale di impegno giovanile verso i martiri studenteschi dell'anno 1968. Il lavoro teatrale e la sensibilità riflessa in ogni secondo di performance di Diego, Juan Manuel, Facundo e Anubis non ci hanno deluso. È stata la provvidenziale e inestimabile realizzazione artistica di un gruppo di giovani, che fanno della loro vita una militanza quotidiana per arginare la cultura dell'impunità, consegnando alla giustizia i responsabili delle violazioni dei diritti umani ai tempi delle dittature militari.

Tratto da: ourvoice.it

Foto © BRECHA

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