di Elisa Marincola
Nel polverone alzato con l’arresto di Antonello Montante, ex presidente di Confindustria Sicilia, e con il coinvolgimento di grossi nomi, dalla politica alla magistratura ai servizi, è sfuggito anche agli osservatori più attenti dello stato del giornalismo italiano una storia definibile, come minimo, inquietante.
Tra le decine, centinaia di dossier che sarebbero stati ritrovati in casa Montante uno ha di certo il sapore dell’intimidazione, se non di uno sperato (e non realistico) ricatto. Riguarda Attilio Bolzoni, giornalista di Repubblica, e prima ancora de L’Ora di Palermo, da sempre sulle tracce delle mafie, prima fra tutte Cosa Nostra, fino alle storie più recenti della Capitale.
Bolzoni è stato indagato, per quanto risulta, da quel 9 febbraio 2015 quando firma, con il collega Francesco Viviano, un articolo su Montante indagato a Caltanissetta e a Catania, poi si saprà per concorso esterno in associazione mafiosa. E’ stato effettuato un “accesso” al sistema centrale del ministero dell’Interno per verificare i suoi carichi pendenti, è stato sottoposto a un controllo fiscale e anche a una “lettura” dei suoi conti correnti. E’ stato perfino pedinato fin nella sua vita privata, con riferimenti precisi a fatti e persone che irrompono nella tranquillità dei legami familiari e, quindi, mettono indirettamente a rischio gli affetti del giornalista.
Non solo. Lo stesso Bolzoni riferisce oggi su Repubblica che nell’archivio nascosto nella casa dell’ex vice presidente con delega alla legalità di Confindustria nazionale, è stato ritrovato un foglio anonimo, datato novembre 2015, quindi nove mesi dopo il suo primo articolo sulla vicenda Montante, che accusava il giornalista di essere lui stesso membro della mafia, immaginiamo per alzare un velo di sospetto e delegittimare i suoi articoli (proseguiti fino ad oggi) che ricostruivano le vicende di Confindustria Sicilia, seguendo le tracce fino a Roma.
Naturalmente Montante (che afferma di non sapere nulla dell’archivio nascosto in casa sua, a sua insaputa) è innocente fino a prova (terzo grado di giudizio) contraria. Ma certo chiunque abbia stilato quel dossier non aveva intenzioni amichevoli verso Bolzoni. C’è già chi ipotizza che, se è stato dossierato, doveva esserci qualche “fumus” sospetto sulle sue attività. Ecco come funziona la vera macchina del fango, sporcare semplicemente con un sospetto creato ad arte un cronista con una storia, professionale e personale, più che limpida. Lui che, proprio per essersi permesso d’indagare sul “paladino dell’antimafia”, era stato additato da molti come il creatore di una macchina del fango contro la parte “buona” della nostra società.
Presto sapremo, quando l’intero fascicolo sarà consultabile (sono oltre 2.500 pagine e altre se ne aggiungeranno, visto che al momento dell’arrresto Montante avrebbe tentato di distruggere decine di dvd e chiavette con altri dati), quanti altri sono stati dossierati, e capiremo anche su quanti, a differenza di Bolzoni, gli autori di quello spionaggio avevano raccolto materiale utile per far pressione. Magari su altri giornalisti, magari su altri paladini antimafia. Tutti innocenti fino a prova contraria.
Ci aspettiamo però che, come in altri casi, apparentemente più eclatanti ma forse meno inquietanti, si alzi un coro unanime, nei media, tra i giornalisti ma soprattutto tra la società civile che è nutrita da un’informazione attenta, documentata e limpida, di solidarietà con Attilio, e che la #ScortaMediatica che ogni giorno garantiamo come Articolo21 e con le altre sigle che con noi si mobilitano, entri in azione per lui ma soprattutto per rilanciare le sue inchieste e le inchieste di quanti raccontano fatti scomodi scoperchiando legami tra poteri che condizionano la vita politica, sociale, economica, in una parola democratica del nostro Paese.
Tratto da: articolo21.org
Foto © Imagoeconomica
Dossier di Montante su Bolzoni, atto intimidatorio
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