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borrometi paolo computerIntervista a Paolo Borrometi
di Graziella di Mambro

La voce è ferma, scandisce lentamente le parole perché consapevole che sta elencando alcuni concetti che sono alla base del dovere di informare e della democrazia. Parla in una sala piena Paolo Borrometi, accanto a lui ci sono i vertici della Federazione Nazionale della Stampa Italiana e dell’Ordine nazionale, la portavoce di Articolo 21 e in sala ci sono tantissimi colleghi. Sembra una chiamata alle armi, in una battaglia difficile, più difficile del previsto.“Se sono qui, con voi è perché lo Stato ha vinto. La Direzione Distrettuale antimafia di Catania, i carabinieri, la polizia, le forze dell’Ordine tutte, hanno vinto perché tutti insieme sono riusciti ad evitare ciò che sarebbe potuto succedere. Tante volte siamo abituati a dire che lo Stato perde contro la mafia. Io voglio dire con forza e chiarezza: stavolta lo Stato ha vinto. La presenza dello Stato al mio fianco è costante e io lo voglio ribadire con forza questo aspetto, che è determinante

Queste nuove minacce sono un colpo allo stomaco…comunque
“E’chiaro che ci sono dei punti irrisolti, questioni che sicuramente gli inquirenti svilupperanno. Il fatto poi che ci sia un capomafia ancora in libertà e che ancora qualche giorno fa ha realizzato un’intervista nella quale diceva sostanzialemte che la mafia non esiste è un aspetto che fa riflettere. Stiamo parlando di Ragusa, ma potrei citare altre terre di questo Paese, la provincia di Siracusa, Foggia, Ostia tutti luoghi in cui per troppo tempo si è detto ‘la mafia non esiste’ e dove noi, purtroppo, siamo rimasti soli a raccontarle. Su tale aspetto alcune cose vanno dette: qui nessuno di noi vuole essere un eroe, nessuno è un esempio, noi siamo unicamente dei giornalisti che vogliono continuare a raccontare. Però, se uno dei dei più importanti quotidiani on line della provincia di Ragusa ha scritto ‘presunto boss’ di un capomafia condannato in via definitiva per associazione mafiosa, droga, allora qualcosa davvero non va. Se mettiamo il nome di uno spacciatore dobbiamo mettere, a maggioor ragione, il nome di un capomafia. Ed è un esempio anche per i cittadini, perché i cittadini lì non denunciano, pensando di essere lasciati soli come siamo stati lasciati soli noi”.

Le tue inchieste non si fermano, ma può bastare? C’è altro da fare, secondo te?
“Io continuo a raccontare, è ovvio. Ma chiedo ai colleghi di riprendere le nostre inchieste e non solo di raccontare le nostre storie. Riprendere le inchieste mie e di tutti i giornalisti minacciati. Molti li ho sentiti in questi giorni e in ciò sento anche la resposnabilità di presidente dell’Associazione Articolo 21, la sento sulle mie spalle perché è fondamentale riprendere ciò che i cronisti minacciati documentano. Qui stiamo parlando di una storia in cui l’autore dell’attentato tranquillamente se ne va in tabaccheria a comprare l’accendino per innescare l’autobomba, sapendo che ci sono le videocamere. Se accade una cosa del genere è perché questi signori pensano di potersi permettere di non temere nessuno. E noi, i giornalisti italiani, i colleghi tutti, non dobbiamo permettere che pensino una cosa del genere, non dobbiamo consentire loro di toglierci il futuro. E se lo faremo noi, lo faranno anche i cittadini”

Sempre più indagini delle Procure del Sud portano all’arresto di esponenti di criminalità organizzata in realtà come Lombardia, Veneto e altre regioni che rappresentano il cuore della produttività italiana. Quanto sono radicate le mafie al nord?
“Ormai il dato è certo e tracciabile in tantissime inchieste. La mafia non ha confini, va dove si possono fare affari. Non solo al nord, pensiamo alla ndrangheta che sta conquistando i Paesi dell’ex Europa dell’Est, aggredendo interi settori dell’economia e anche lì purtroppo ne abbiamo avuto prova definitiva con l’assassinio di un giornalista, Jan Kuciak, e della sua compagna. Segui i soldi, troverai le mafie”

Le mafie dispongono di un’enorme liquidità derivante dalle attività illecite. Su che tipo di complicità possono contare per riciclare questo denaro?
“Anche qui ci vengono in soccorso tante inchieste giudiziarie e giornalistiche, non si può più smentire. Ed ecco perché abbiamo il dovere professionale e civile di proseguire in questo lavoro di inchiesta sui flussi di denaro sporco e sule complicità. I più importanti magistrati antimafia del Paese confermano che corruzione e mafia sono due facce della stessa medaglia. La criminalità organizzata non potrebbe esistere senza complicità, specie quando si innesta su tessuti economici sani cercando di avere il sopravvento. Per questo è importante che tutta la nostra categoria faccia il suo dovere, fino in fondo e così non ci saranno più giornalisti soli. Ai colleghi rinovo l’invito a venire nella mia terra, vedere cosa succede e invito anche chi ha rappresentanza sindacale nella mia terra a far comprendere che la mafia esiste perché se continuano a dire che la mafia in quelle terre non esiste, allora vuol dire che anche loro mi stanno condannando a morte”.

La presenza di tanti giornalisti di tutte le testate alla conferenza stampa convocata in Federazione della Stampa da Articolo 21 è la prova che l’appello di Paolo Borrometi non può cadere nel vuoto e, allo stesso tempo, è la traccia più forte della necessità che ancora c’è in questo Paese di parlare di mafia, raccontarla, ammettere che esista, adesso più che mai. L’argomento è uscito dai dibattiti politici che contano. La storia di Paolo fa capire che è stato un errore riporla nel cassetto pensando di nascondere il problema.

Tratto da: articolo21.org

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