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macchina da scriveredi Laura Porcu
I numeri presentati dall'Ossigeno per l'Informazione. L'Italia al 77esimo posto nella classifica di Reporter Sans Frontieres

L’Italia ricorda i suoi ventisei angeli dell’informazione. Beppe Alfano, Carlo Casalegno, Mauro De Mauro, Cosimo Cristina e ancora Giuseppe Fava, Mario Francese, Peppino Impastato, Mauro Rostagno, Mauro Siano, Giovanni Spampinato, Walter Tobagi. Undici eroi, undici giornalisti italiani uccisi dalla mafia dal 1945 ad oggi.
Amerigo Grilz, Guido Puletti, Ilaria Alpi, Miran Hrovatin, Marcello Palmisano, Marco Lucchetta, Alessandro Ora, Dario D’Angelo, Raffaele Ciriello, Maria Grazia Cutuli ed infine Enzo Baldoni. Ulteriori undici nomi impressi nelle nostre memorie per aver perso la vita in missioni all’estero. Ma non basta.
Secondo l’Ossigeno per l’informazione sono 28 i giornalisti uccisi in Italia mentre facevano il proprio lavoro. 1110 in tutto il mondo. Una ecatombe alla quale si aggiungono i 1400 minacciati di morte in Italia dal 2006 ad oggi. Questa lunga lista di nomi ci ricorda quanto sia difficile e pericoloso il lavoro di chi nel proprio paese e fuori dedica la propria vita ad informare gli altri.
È facilmente immaginabile infatti capire quanto sia rischioso il lavoro dei giornalisti inviati all’estero e in scenari di guerra ma è sconcertante comprendere i rischi che corrono molti cronisti impiegati nel nostro stesso territorio. Si tratta di persone che ricevono minacce di ritorsioni, aggressioni, di morte. Veri e propri agguati. Undici di loro sono stati uccisi in Italia. Ricordarli significa non solo rendere loro omaggio ma affrontare il principale problema dell’informazione. Il diffondersi di simili forme di censura, attuate tramite pressioni e minacce, mina ogni giorno la libertà di stampa, di espressione e di informazione.
Un problema diffuso non solo in Italia ma che il nostro Paese vive in maniera molto più incisiva rispetto agli altri paesi dell’Eurozona. L’Italia si posiziona infatti tra gli ultimi paesi in Europa per quanto riguarda la libertà di stampa. Le storie di questi cronisti sono tutte diverse fra loro ma accomunate dal fatto che le vittime hanno perso la vita mentre lavoravano in missione tentando di illuminare vicende oscure.
Come ha sottolineato l’Unesco, non ci si può limitare a commemorare i giornalisti uccisi senza comprendere che essi rappresentano solo la punta dell’iceberg. Per ogni vittima, infatti, vi sono tantissimi giornalistici che subiscono minacce e intimidazioni. Sono gli invisibili di questa professione. Una parte debole di questa categoria, lasciati a sé stessi, senza alcuna tutela. Solo negli ultimi sei anni sono stati circa 1400, un numero sconvolgente se si pensa che questi sono quel i denunciati.
Siamo davanti a un grosso problema italiano, in cui la libertà di stampa e di informazione vengono fortemente minate, un problema che indebolisce ancor di più della crisi economica la struttura democratica.
Di che libertà di stampa possiamo parlare in un paese in cui bruciano la macchina, ripuliscono la casa, rubano strumenti per lavorare ai cronisti? L’Osservatorio internazionale Freedom House certifica da anni come il nostro Paese abbia una libertà di stampa parziale.
Primo passo per combattere l’isolamento e l’autocensura è un contratto di tutela e non solo per i professionisti. Nessun giornalista può essere lasciato solo. E le istituzioni, oltre che i cittadini, hanno l’obbligo di dimostrare che non lasciano solo o indifeso chi mette a rischio la propria vita per informarli. L’articolo 21 della Costituzione e le dichiarazioni universali dei diritti che valgono nelle società democratiche devono valere sempre e comunque come principi guida. Essi sanciscono, insieme ad diritto di cronaca il diritto dei cittadini di ricevere una informazione libera, corretta e completa. Affinché ciò accada, è necessario che ogni paladino dell’informazione venga protetto e tutelato, sempre.

Tratto da: ultimavoce.it

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