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tribunale toga magLa condanna di Giuseppe Siciliano. Nelle intercettazioni degli uomini di Genovese il riferimento al rigore morale di Sebastiano Ardita che "fa saltare gli equilibri"
di Felice Cavallaro

Messina. Scoperchiata un’altra pentola maleodorante con coperture e inconfessabili cointeressenze fra un magistrato e i potenti della città senza ponte, della Messina che dopo l’epoca del «verminaio» denunciato da Ottaviano del Turco alla fine degli anni Novanta, ha continuato a vivere di veleni dentro e fuori il palazzo di giustizia. Un quadro devastante confermato dall’ultima condanna: quattro anni di reclusione per l’ex procuratore aggiunto di Messina Giuseppe Siciliano, oggi in pensione, con l’accusa di induzione indebita e tentativo di concussione su una storiaccia maturata nella vicina Taormina. Un colpo di clava al «sistema Messina» costruito attorno alla figura dell’ex segretario regionale PD Francantonio Genovese, poi transitato con le sue ridotte truppe nel centrodestra. Il re di scuole e centri della Formazione, altro scandalo isolano.

Le accuse
In sintonia, stando a pesanti intercettazioni, con questo discusso magistrato che era arrivato in tribunale a Reggio Calabria con sette capi di imputazione e ne ha visti saltare cinque, come sottolinea con magra soddisfazione l’avvocato Nino Favazzo pronto all’appello, legale anche del potente politico al vertice della Caronte, la società dei ferry boat dello Stretto. Il reato di induzione per i giudici che hanno espresso il pesante verdetto matura all’interno di un contenzioso vecchio di cinque anni fra la holding Impregilo e il Comune di Taormina. Giuseppe Siciliano avrebbe esercitato pressioni sull’allora commissario straordinario di Taormina perché accettasse la proposta transattiva di 26 milioni di euro. Il magistrato avrebbe aperto un procedimento per interferire sul contenzioso pendente al Tar di Catania per la ristrutturazione dell’hotel Castellamare di Taormina. Un contenzione tra la «Decisa», una società a responsabilità limitata del gruppo, e il Comune di Taormina, a sua volta patrocinato formalmente dall’avvocato Maimone Ansaldo Patti, ma di fatto dal figlio del magistrato. A Siciliano rimproverano addirittura esplicite minacce a un ingegnere nominato come perito dal Tar e da lui costretto a redigere un elaborato favorevole al Comune di Taormina, in modo da agevolare la «pratica» del figlio. Assolto invece dalle accuse di concussione consumata ai danni dei dirigenti comunali e dei componenti la cosiddetta «commissione Via», per un paio di vicende maturate a Messina.

Le intercettazioni
Resta nella città di quelli che furono definiti i «verminai» l’ombra di rapporti che hanno pesato per decenni. Come si evince dalla conversazione intercettata nel giugno 2013 dalla polizia, attraverso una microspia collocata sulla Volvo di Francesco Gallo, già responsabile del «Servizio pianificazione e controllo strategico», organo con influenza sulle decisioni della burocrazia della presidenza della Regione, e Salvatore La Macchia, entrambi considerati uomini di fiducia di Genovese. Tutti preoccupati dal fatto che Siciliano in quei giorni lasciava l’incarico e nel suo stesso ufficio, come procuratore aggiunto, subentrava il giovane e determinato Sebastiano Ardita, lo stesso che in effetti avrebbe poi chiesto una pesante condanna per Genovese. Inquietante il confronto con presunti rapporti fra un magistrato di Catania e l’ex governatore Raffaele Lombardo, da un lato. E, dall’altro, altrettanto inquietante l’ironico commento sul possibile tentativo di Genovese, a parere di Gallo, di influire addirittura sul Csm per la scelta del procuratore aggiunto: «Tanto poi gli diamo la tessera della Caronte e ce li facciamo amici...». Testuale, dagli atti giudiziari:
La Macchia: Ah, oggi hanno indagato a Lombardo ed al figlio per voto di scambio. Gallo: Dice se non sei mafioso quanto meno... Così è, Lombardo lo hanno preso di mira, basta! Gli è finito il rapporto con D’Agata (ex procuratore aggiunto di Catania). Da quando è saltato D’Agata... Ed è venuto quello là, il fratello di, di ...
La Macchia: Si, di Salvi...
Gallo: ... di Salvi, gli è finita di fare politica e qui pure. Se n’è andato Siciliano ed è arrivato questo giovane in cerca di gloria (Ardita - ndr) ...
La Macchia: (ride)
Gallo: ...e sono saltati gli equilibri...
Lui (Genovese, ndr) quando va a Roma gli domanda... al CSM chi mandate a Messina, che gli interessa.
La Macchia: (ride)...
Gallo: ...tanto poi gli diamo la tessera della Caronte e ce li facciamo amici... Parole che poi trasferite nell’inchiesta condotta dal «giovane in cerca di gloria», piazzatosi proprio nell’ufficio di Siciliano, ma sotto la guida del procuratore Guido Lo Forte. La svolta di Messina dove ormai hanno cominciato a scoperchiare le pentole.

Tratto da: corriere.it

Foto © Giorgio Barbagallo

#sebastianoardita

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