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tizian giovanni c ansadi Giovanni Tizian
La minaccia peggiore per un cronista è l'isolamento. Quel doversi confrontare con l'indifferenza di chi, invece, dovrebbe non solo indignarsi ma anche agire di conseguenza dopo che un sistema è stato smascherato. Troppe volte, tuttavia, il giornalista che si occupa di mafie resta solo, con i suoi guai, le sue querele, le sue paure di fronte a segnali inequivocabili spediti dai clan.
In un Paese in cui le cosche imprenditrici non creano allarme, anzi fanno proseliti, la reazione spontanea è minimizzare la questione mafiosa, ridurla a una storiaccia di ordine pubblico.
Perciò in assenza di morti ammazzati e ferocia gratuita, la maggioranza è convinta che i padrini non siano poi così malvagi. E che peraltro contribuiscono alla crescita del Pil nazionale, all'occupazione e a far girare l'economia. Il riciclaggio, in fondo, non è una bomba di tritolo piazzata sotto un'autostrada. Ripulire denaro sporco, corrompere funzionari pubblici e spartirsi appalti con le cricche imprenditoriali, è cosa diversa dal radere al suolo un negozio per punire il titolare che non paga il pizzo. La mafia non esiste, fine della storia.
I cronisti che quotidianamente si ritrovano a raccontare il nuovo volto del crimine organizzato avvertono, eccome, questa ostilità sociale. Più il livello di complicità si alza, più lo scherno nei loro confronti si fa duro. «Questo signore vede la mafia ovunque...», «È alla ricerca di visibilità, poverino», «Infanga per quattro lire l'immagine della nostra regione».
Il teorema dei negazionisti di professione è un virus. Prima o poi rischia di infettare tutti. Finché cittadini, politici, imprenditori, professionisti, non capiranno che i quattrini delle mafie sono mortali per l'economia sarà difficile cambiare rotta.
Il giornalista sarà sempre quello che vede fantasmi dappertutto. La mafia uccide anche con il denaro, cioè uccide il mercato, lo orienta a favore dei farabutti. In questo senso continua a essere una mafia sanguinaria. E finché non coglieremo tale distorsione non sposteremo di una virgola l'orientamento negazionista che rafforza, al pari dell'omertà, i nuovi protagonisti del crimine.
Omicidio dell'economia, esatto. Provate a chiederlo a quegli imprenditori onesti tagliati fuori dai giochi dei grandi appalti cosa pensano del riciclaggio e della corruzione. La stessa domanda ponetela, poi, a quei figli che hanno assistito al suicidio del padre, spolpato dall'usura dei clan che gli hanno sottratto l'azienda in un solo mese. Oppure fatevi un giro nelle periferie italiane, chiedete dei morti di eroina. Chi pensate che sia il grande regista occulto, la mano invisibile che sta dietro a questi traffici? Ecco, immaginate un ragazzo, riverso a terra, con un filo di vomito che gli cola dalla bocca e una siringa nel braccio. Ucciso da un'overdose.
Da questa morte i clan hanno tratto profitto. Denari che ritornano nelle nostre comunità ripuliti in locali alla moda, ristoranti, discoteche, società di costruzioni, imprese del gioco d'azzardo legale. Pensate a quante vite sono state necessarie per creare imperi economici rispettati e apparentemente puliti. Pensate a questo quando un cronista prova a raccontare il potere politico e finanziario delle mafie contemporanee. Almeno provateci, prima di isolarlo e prenderlo per pazzo.

Foto © Ansa

Fonte: mafie.blogautore.repubblica.it

Tratto da: "Mafie da un'idea di Attilio Bolzoni"

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