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pizzolungo monumento partecipacoop pp 500di Francesco Zichichi
Trentuno anni dopo, lo stesso silenzio che uccide, che cancella, che non ricorda. Credete davvero che la montagna di merda non esiste più? Credete davvero alle parole del Sindaco di Trapani, Vito Damiano, che “non bisogna parlare di mafia(..)”? In realtà, che la mafia esiste, lo sappiamo tutti. E lo confermiamo ogni qualvolta abbiamo lo stesso atteggiamento delle scimmiette di WhatsApp: non sento, non vedo, non parlo. Ma certo, in questo modo la mafia non ci tocca, non ci uccide. Mi sento morto quando la mia bellissima Trinacria affonda in un mare d’indifferenza. Noi siamo le vittime del nostro silenzio, siamo le vittime di noi stessi. Noi siamo i mandanti di Carlo Palermo, di Barbara Rizzo ed i suoi figli Giuseppe e Salvatore Asta, gemelli di soli 6 anni. E la lista continua con Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e Rocco Chinnici, Giuseppe Montalto e Mauro Rostagno e Carlo Alberto Dalla Chiesa, Giuseppe Impastato e così via. Una lunga, lunghissima lista di nomi e cognomi di semplici persone che hanno scelto di spalancare bocca, orecchie ed occhi. Ma, ad oggi, cosa ci resta di loro? Delle lapidi sulle quali piangere? Delle tombe talvolta vuote? No, ad oggi, quello che ci hanno lasciato questi eroi, è la speranza di ripulire dal sangue innocente le nostre case. Le vittime delle mafie non avevano il dovere di morire per noi. Loro sono morti perché hanno fatto valere un loro diritto, quello di lottare, di urlare che in Italia, ed in Sicilia più che mai, c’era e c’è qualcosa che non va. E quel qualcosa è arrivato, da tempo, negli uffici delle nostre città. Non è più nelle vecchie case di campagna a progettare il prossimo attentato. Adesso è seduto nella poltrona a progettare qualche appalto.
Mafia e indifferenza si possono sconfiggere? Si, basta volerlo. E a Trapani, così come nelle altre città, non lo si vuole. E’ così che funziona: ci si nasconde dietro un applauso, dietro le parole o le gesta di qualcun’altro. Quanti di voi avrebbero il coraggio di insultare la mafia senza nascondersi dietro ad un computer, usando la vostra voce, per strada, urlando? Quasi nessuno. Perché gran parte degli “eroi” si chiudono a casa, dietro le tapparelle e gridano al buio. Eppure, in questo modo, l’indifferenza potrebbe essere sconfitta. Se la gente “le negherà il consenso, anche l’onnipotente e misteriosa mafia svanirà come un incubo.” Paolo Borsellino.
Paura? Tanta. Ma non quella di essere ammazzato, lo preferirei, piuttosto che vivere piegato a questa società collusa, che uccide giorno dopo giorno le speranze, i sogni, che mette delle clausole alla vita impadronendosi di essa. La vera paura e passeggiare per le strade della città e vedere quegli sguardi spenti, di persone invisibili. La paura è quella di vedere la gente tapparsi le orecchie per strada se pronunci quel nome. Si, l’innominabile Matteo Messina Denaro, che tradotto in un’unica frase: la merda! Non abbiate paura di loro, sono solo degli ominicchi che si fanno chiamare boss. Abbiate paura, invece, quando sentite gli adulti dire che non bisogna parlare di mafia, che non bisogna combatterla perché si rischia, che “cu si fa l’affari propri, campa cent’anni”. Ci sono parole che pesano come macigni, e quelle parole sono i pilastri della società civile. Bisogna vegliare su di esse, bisogna saperle custodire. Volete essere liberi? Lottate, non scappate dalla vostra terra. Non tagliate il cordone ombelicale da questa madre che profuma di agrumi, che si veste di colori accesi, per farci ricordare ogni giorno qual’è la vera bellezza. E cantatela questa bellezza, solo così si può sconfiggere la mafia.
“Niautre, popolo dormiente, popolo di sta terra chi, forse, è terra ri nuddro. Popolo addumisciutu arruspigghiati! Unnu viri chi ti sta carenno u to terreno sutta li to iamme? Un ti senti lentu lentu? Comu si qualcuno ti voli livare a to casa, e chiddra ri to figghie..e di to nipute.. pi farici grandi coltivazioni di picciule allurdate ri sangu?”.

Il Comune di Erice con l’associazione Libera e assieme alla scuole del territorio sta allestendo le iniziative per l’edizione 2017 del “Non ti scordar di me”, una manifestazione che taglia quest’anno il traguardo come decima edizione e dedicata al ricordo delle vittime della strage mafiosa di Pizzolungo del 2 Aprile 1985: Barbara Rizzo Asta ed i suoi due gemellini di sei anni, Giuseppe e Salvatore Asta. Furono straziati dal tritolo che i mafiosi collocarono dentro un’auto. Un’autobomba che era destinata a fermare per sempre la vita di un pm, Carlo Palermo, e della sua scorta. L’auto guidata da Barbara Rizzo Asta che stava accompagnando i suoi figlioletti a scuola, al momento dell’esplosione fece da scudo all’auto del magistrato. Nell’ambito del “Non ti scordar di me” dall’anno scorso è stato istituito il concorso giornalistico riservato agli studenti delle scuole superiori e dedicato al giornalista Santo Della Volpe. Anche per quest’anno verrà nuovamente indetto il concorso, a giorni verrà diffuso il tema che dovrà essere giornalisticamente sviluppato dagli studenti e per quest’anno si annuncia la novità del coinvolgimento anche degli studenti delle terze medie. L’anno scorso il tema affidato agli studenti fu questo:
La strage di Pizzolungo del 1985. «Gli invisibili ammazzati dalla mafia e dall’indifferenza». Mafia e indifferenza si possono sconfiggere?
Gli articoli premiati sono stati quelli di:
Francesco Zichichi (V A) dell’I.S. Sciascia e Bufalino di Erice,
Antonino Di Stefano (V G) dell’I.T. G.B. Amico di Trapani
Romano Salvatore (V E) dell’IPSEOA Ignazio e Vincenzo Florio di Erice
Il concorso giornalistico si è svolto con il sostegno oltre che del Comune di Erice e dell’associazione Libera anche da parte di Fnsi, Usigrai, Libera Informazione, Articolo 21



Non ti scordar di me 2/ Indifferenza? No, grazie. Non siamo mafiosi

di Antonino Di Stefano

«Mio fratello, una macchia sul muro». Cosi Margherita Asta ricorda uno dei suoi fratelli rimasto ucciso nella “strage di Pizzolungo”. Il caso, solo il caso ha voluto che, quella mattina del 2 aprile 1985, alle 8:30, l’esplosione di un’autobomba uccidesse, a bordo di una Volkswagen Scirocco, Barbara Rizzo e i suoi bambini, Giuseppe e Salvatore Asta, madre e fratelli di Margherita.
L’autobomba era stata preparata dagli uomini di “Cosa nostra” per eliminare il sostituto procuratore Carlo Palermo, diretto al tribunale di Trapani. L’esplosione ha preso in pieno l’auto della famiglia Asta che ha fatto da scudo a quella del sostituto procuratore, rimasto ferito. Dei figli e della madre, non rimase niente, niente di niente, a parte quella “macchia” sul muro di una palazzina poco distante dalla tragedia. Una macchia che non è solo un brutto ricordo, ma anche il segno di un brutale e furioso assassinio. Tra i soccorritori, c’è il marito della donna, Nunzio Asta. Trova solo pochi resti. Non crede ai suoi occhi. Tra quei brandelli sparsi, non riesce a riconoscere nulla che gli appartenga. Ma una sua impiegata aveva già verificato: i suoi figli non erano stati a scuola quel giorno.
La tragedia della famiglia Asta è, purtroppo, solo uno dei tanti fatti di cronaca che portano la firma della mafia a danno di vittime oggi “invisibili”. Invisibili perché si dimentica facilmente che i mafiosi, figli del male e del terrore, hanno fatto di questa bellissima Isola, quale è la Sicilia, il loro teatro di guerra, il terreno dei loro “giochi”.
Da anni, si combattono le ingiustizie, la corruzione e l’omertà con “armi” pacifiche, e molto spesso sottovalutate, che cercano di diffondere cultura del rispetto delle regole, dell’onestà, della memoria. Non è pur vero che chi dimentica è complice?! Forse sì, forse no, ma rimane pur sempre un gesto ingiusto e immorale dimenticare tanto male e sofferenza. Giudici, come Paolo Borsellino e Giovanni Falcone, grandi uomini, come Carlo Alberto Dalla Chiesa, grandi giornalisti, come Mauro Rostagno, e tanti altri “eroi”, hanno combattuto la mafia e hanno dato la loro vita per ciò in cui credevano.
Quelli citati sono solo alcuni dei tanti grandi uomini che, in difesa dei loro valori, hanno sacrificato gran parte della loro vita per sconfiggere questa brutale minaccia, alimentata anche dall’indifferenza e dal silenzio di chi ha paura di combattere e di chi ha, più semplicemente, paura. Un adolescente, in un suo tema, ha scritto della mafia: «Io voglio scrivere che la mafia è una montagna di m**da! Noi ci dobbiamo ribellare. Prima che sia troppo tardi! Prima di abituarci alle loro facce! Prima di non accorgerci più di niente».
Il suo invito a lottare e ribellarci è anche una risposta alla domanda “La mafia si può sconfiggere?”.
Credo che la mafia non sia in grado di sopravvivere in contesti di amore, di pace, di onestà, di lealtà, di convivenza civile fondata sul rispetto degli altri. Allora, non sarà certamente impossibile non arrenderci e continuare a combattere. Combattere per Falcone, per Borsellino, per Dalla Chiesa, per i valori civili e umani, per non essere schiavi, per noi.
“Invisibile” è ciò che non si può vedere, non ciò che non vogliamo vedere. Ciò che non vogliamo vedere, si chiama paura, la paura di chi pensa che la mafia non si possa sconfiggere. Quella dannata paura conduce alla vittoria della mafia e non è possibile, non è possibile lasciare che siamo guidati dalla paura, dall’indifferenza. Basta rendere “l’invisibile” visibile. Solo cosi riusciremo ad avere fiducia, a mettere fine alle loro follie, prive di significato e scopo se non per i loro sporchi interessi. Solo sconfiggendo la paura, capiremo che la mafia è un “tumore” curabile da distruggere con il meglio di noi.

Antonino Di Stefano
Classe V G
Istituto Tecnico Tecnologico “G. B. Amico” di Trapani
Docente
Caterina Mangiaracina



Non ti scordar di me 3/ La cultura ci rende liberi

di Salvatore Romano

Il 2 aprile 1985, a Pizzolungo, muoiono Giuseppe e Salvatore Asta insieme alla madre Barbara, a causa di un’autobomba destinata al giudice Carlo Palermo e alla sua scorta.
L’auto, guidata dalla madre dei gemellini Asta, fece da “scudo” all’auto del giudice Palermo.
La sorella Margherita Asta tutt’oggi rammenta l’indifferenza generale che per tanti anni ha fatto sì che questa terribile strage passasse sotto silenzio, quasi ignorata.
L’indifferenza è senza dubbio il male peggiore, ma si può combattere?
Si può sconfiggere? In che modo? Lottando, innanzitutto, contro l’omertà diffusa che favorisce e alimenta la malavita. Si può lottare, però, contro qualcosa che si conosce ecco perché è fondamentale parlarne, esaminare e sviscerare i vari aspetti del fenomeno mafioso per poterlo comprendere e fronteggiare.
Un rimedio a questo male, profondamente radicato nel tessuto sociale, è senz’altro la cultura della Legalità, una cultura che deve essere promossa dalle diverse istituzioni, a partire dalla scuola, in quanto luogo in cui si formano i cittadini di domani; solo così possiamo combattere l’indifferenza, sensibilizzando le giovani generazioni attraverso l’informazione.
La mentalità mafiosa, ancora oggi, permea la società: occorre un movimento culturale che scuota le coscienze dei più giovani, meno condizionati dai ragionamenti utilitaristici. È a loro che dobbiamo  rivolgerci affinché non si lascino influenzare da false promesse, da poteri che si fondano sulla logica della prevaricazione che schiavizza e limita la libertà individuale. La conoscenza rende liberi e può farci uscire da quel clima di rassegnazione che ha avuto il sopravvento nella nostra terra.
Anche il giudice Carlo Palermo sottolinea che per combattere la mafia bisogna conoscere.
E per Santo Della Volpe è la corretta e libera informazione che può sensibilizzare la popolazione rendendola più consapevole e più partecipe nella lotta alla criminalità mafiosa.
Quando si parla di mafia non se ne sa mai abbastanza, si tratta di un fenomeno innaturale e spregevole che ha portato molte persone a compiere dei reati anche verso gente innocente, distruggendo la vita dei familiari sopravvissuti. Una società complice di un sistema corrotto non potrà mai prosperare e rimarrà vittima di interessi privatistici.
È necessario, dunque, risvegliare la coscienza dei cittadini affinché denuncino gli atteggiamenti di stampo mafioso. A svolgere questo compito ci sono molte associazioni e movimenti tra cui “Libera”, “Addio Pizzo” e “Libero Futuro”.
In memoria di quel 2 aprile 1985 ricordiamo, infine le parole del giudice Carlo Palermo per provare a capire l’immenso dolore che da quel giorno accompagna la sua vita: “Non sono mai riuscito  a superare le emozioni di quel giorno né il senso di colpa che me ne è derivato e di cui ogni giorno – vi assicuro ogni giorno e notte – rivivo le immagini”.
Riflettiamo, però, anche sul coraggio e sulla determinazione di Margherita Asta: “Io non mi sono mai fermata in questi anni, ho lascialo segni vostri dappertutto.., chi vi ha assassinato quella Mattina ha cercato di frantumare la mia vita insieme alla vostra ma non c’è riuscito”.
Margherita continua a lottare per dirci che la mafia non è invincibile, è un cancro da cui si può guarire, ma ciascuno di noi deve fare la sua parte così che le vittime della mafia non muoiano due volte a causa di quell’indifferenza che uccide anche senza le armi.

Tratto da: liberainformazione.org

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