da alqamah.it
Il 25 gennaio il 34° anniversario del delitto del magistrato trapanese, nella stessa giornata la massima Corte affronta il caso del giornalista Rino Giacalone: dovrà dire se può essere dato del pezzo di m... al boss mafioso che fece uccidere il giudice.
Accade che certe occasioni nelle giornate cruciali dell'antimafia ad un certo punto finiscono per l'incrociarsi e il sovrapporsi. Domani, 25 gennaio, sarà il 34° anniversario del delitto mafioso del sostituto procuratore di Trapani Gian Giacomo Ciaccio Montalto. Ucciso dai sicari di Cosa nostra quando era oramai prossimo il suo trasferimento alla Procura di Firenze. Aveva dato fastidio a Cosa nostra Ciaccio Montalto e quel suo trasferimento a Firenze aveva suscitato parecchia preoccupazione ai boss. Anni dopo altre indagini confermeranno che le intuizioni del pm Gian Giacomo Ciaccio Montalto erano corrette, la mafia trapanese in Toscana aveva da tempo trasferito "cellule" e "interessi", le conoscenze investigative di Ciaccio Montalto erano così solide e tali da far scattare provvedimenti giudiziari gravi contro gli affari di mafia in quella terra. Mandanti di quel delitto sono stati riconosciuti dalla magistratura nissena i mafiosi più importanti della Sicilia, Totò Riina e il mazarese Mariano Agate. Il padrino di Mazara si prese addirittura la briga di far girare la voce sull'imminente delitto del magistrato in carcere, "Ciaccinu arrivau a stazione" andò dicendo con grande strafottenza e arroganza, come era suo solito fare, passando davanti alle celle dei sodali. Con lo stesso tono che userò alcuni anni dopo, nel 1988 quando dalla cella del Tribunale mandò a dire a Mauro Rostagno di finirla con lo scrivere "mischiate". Ciaccio Montalto e Mauro Rostagno furono puntualmente uccisi. Ci sono voluti anni per arrivare a questa sentenza di condanna per l'omicidio di Gian Giacomo Ciaccio Montalto (e tanti anni ci sono voluti per arrivare alla sentenza di condanna per i mandanti del delitto Rostagno), e mentre la magistratura arrancava la mafia trapanese si è rafforzata grazie anche a quel delitto, a quello scomodo magistrato tolto di mezzo. Mentre a Trapani mercoledì prossimo, domani, si ricorderà Gian Giacomo Ciaccio Montalto attraverso una serie di diverse e distinte iniziative organizzate da Libera, Anm, dal Comune di Valderice e dalla scuola intestata al magistrato, a Roma in Cassazione ci sarà una udienza che ovviamente non riguarda il delitto Ciaccio Montalto ma tocca proprio il padrino Mariano Agate defunto da un paio di anni. La Cassazione dovrà decidere sul ricorso presentato dalla Procura di Trapani, pm Franco Belvisi, contro l'assoluzione del giornalista Rino Giacalone che finì sotto processo per avere dato del "gran bel pezzo di m..." al boss Agate nel giorno della sua morte. "Se la mafia è una montagna di merda come ci ha insegnato Peppino Impastato, allora è ovvia conseguenza che i mafiosi che ne fanno parte sono pezzi di questa montagna di m...". Giacalone fu querelato dalla vedova e dai familiari del padrino mafioso mazarese, il pm chiese la condanna a 4 mesi per il giornalista, il giudice accolse la richiesta dei difensori di Giacalone, Carmelo Miceli, Enza Rando e Domenico Grassa, e pronunciò una sentenza di assoluzione "in nome dell'articolo 21 della Costituzione". La Procura di Trapani pare non aver accettato il riferimento costituzionale. In un'aula affollata da tanti giovani di Libera, dagli operai della Calcestruzzi Ericina, presenti il presidente di Libera don Luigi Ciotti e il sen. Mario Michele Giarrusso, componente dell'antimafia. Una sentenza però contro la quale la Procura di Trapani ha proposto appello in Cassazione. Ciaccio Montalto è stato quasi dimenticato, le sue indagini sono state talvolta affidate a ricordi incerti e ingenerosi, pochi restano a difendere la memoria del magistrato e paradossalmente ci troviamo dinanzi ad iniziative, querele accolte dalla magistratura inquirente, tese a tutelare in un qualche modo la sebbene fangosa memoria di chi ha fatto uccidere quel magistrato. La vicenda Ciaccio Montalto è attuale perché il movente di quel delitto è lo stesso di quello che muove oggi le azioni della mafia 2.0, quella che non spara più ma sa utilizzare le armi della delegittimazione. Ancora prima dell'entrata in vigore della legge Rognoni-La Torre (quella che nel 1982 sancì l'esistenza del reato di associazione mafiosa e introdusse le norme sui sequestri e le confische dei beni), Gian Giacomo Ciaccio Montalto aveva gettato le reti per catturare i beni dei mafiosi aiutato in questo da un dirigente della Squadra Mobile di allora, Giorgio Collura, destinato a una carriera segnata da eventi gravi, senza avere colpa di alcunché tranne la colpa di essere entrato in certi salotti per carpirne i segreti, per poi riprenderla alacremente, ma giammai a Trapani. Ciaccio Montalto e Collura avevano la stessa colpa agli occhi dei mafiosi, avere seguito quello che oggi si chiama "l'odore dei soldi", le pista del riciclaggio dei soldi guadagnati con i grandi traffici di droga. Soldi finiti in Toscana, dove mafia e massoneria erano una formidabile alleanza, capace di far muovere al tempo giusto i sicari in Sicilia e assieme ai killer gli spargitori di fango. "Gente che vogliamo chiamare pezzi di m... - dice il giornalista Rino Giacalone - e speriamo di poterlo fare con un alto pronunciamento della Cassazione". A difendere Rino Giacalone in Cassazione sarà l'avvocato Enza Rando.
Tratto da: alqamah.it