di Piero Ferrante
“Quel giorno ebbe inizio come le feste dei santi patroni nelle ricorrenze che si celebrano nei paesi della Sicilia, quando anche l’aria è pervasa dall’attesa e improvvisamente i mortaretti rompono il torpore del sonno, annunciano all’alba il giorno che viene, col suo carico di preparativi, di speranze e di riti”. Ogni qualvolta gli si domandava di parlare della strage della Piana degli Albanesi, di quel primo maggio 1947, Giuseppe Casarrubea, che alla piana non poteva esserci piccolo com’era, partiva con questo racconto. Lui, lo storico rigoroso e, insieme, il siciliano ferito. Lui, tra i primi, a fine anni Settanta, a provare a illuminare quella zona nera dove si incontravano mafiosi, fascisti, settori deviati di Stato.
C’è molto di Casarrubea nel graphic novel Portella della Ginestra. Un sottile filo nero, in uscita giovedì (27 ottobre) per la casa editrice BeccoGiallo. Sceneggiato dal duo Luca Amerio-Luca Baino e illustrato da Susanna Mariani, ripercorre le vicende di una delle pagine più oscure della Storia repubblicana. E lo fa con il grande merito di non limitarsi a narrare una vicenda (col rischio dietro l’angolo, di farne una sorta di fiaba popolare o di leggenda o, peggio, di perpetuarne burocratiche menzogne), bensì di provare a scoprirne le trame sepolte, seguendo i fili più intricati e resistenti, quelli che vanno ben oltre l’invisibile barriera alzata dal timbro del segreto di Stato e che piuttosto tenta di arrampicarsi su, più su, fino in cima, fino ai potentissimi pupari. In uno stile secco e privo di deviazioni barocche, veloce ma riflettuto, rafforzato da tratti grafici evocanti i fotogrammi del Sacco e Vanzetti di Giuliano Montaldo e il Todo modo di Elio Petri, Portella riporta a galla la coscienza sporca che insozza l’anima di una fetta d’Italia: Turiddu Giuliano e fra’ Diavolo, Mario Scelba e Giulio Andreotti, l’ingerenza statunitense, i mafiosi, i militari, i golpisti e i massoni. Le trame e i mandanti; le stragi e gli esecutori; le nebbie dense del silenzio, cupo, calato sull’Italia come una cappa che opprime. Verità reale che sfuma in verità di comodo, con colpevoli scelti di volta in volta prima di diventare a loro volta di troppo, scomode presenze per un sistema che si alimenta di omertà, occhi bendati, bocche cucite, orecchie serrate.
Ed è questo il senso più profondo del fumetto: la divaricazione tra ciò che è stato e ciò che viene fatto credere sia stato. La Storia non come patrimonio collettivo, ma come un numero da circo, come una maschera tragica sul viso di un attore tragico, come un gioco truccato dove le regole le stabiliscono, prima-durante-e-dopo i vincitori. Che poi sono sempre gli stessi, quelli che possono cambiare di abito, possono mutare l’accento e il tono di voce, pur rimanendo in ogni caso identici a se stessi.
Ma Portella si staglia come un atto di ribellione. E’ il dito che in pochi hanno osato alzare per invocare chiarezza, per spiattellare in faccia al potere il suo peccato originale reso evidente da quel pomo d’Adamo che, ancor oggi, gli sporge dalla gola. Eppure, quello che il libro lascia in eredità non è la certezza del conoscere, quanto piuttosto ila rivendicazione di mettere un altro gigantesco punto di domanda, l’ennesimo, dietro quelle verità cosiddette ufficiali.
(img tratta dal libro. Copyright BeccoGiallo)
Luca Amerio, Luca Baino, Susanna Mariani, Portella della Ginestra. Un sottile filo nero, BeccoGiallo 2016
Tratto da: narcomafie.it