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vaudano mariodi Gruppo Fraterno sostegno ad Agnese Borsellino
Nell'ambito di una ricerca storica che aiuti a comprendere i fatti del presente con uno sguardo a quelli del passato, abbiamo pensato di intervistare il Dr. Mario Vaudano, Magistrato oggi in pensione, che con la sua lunga attività ha attraversato un trentennio. Ha toccato con mano tutte le piaghe della criminalità, occupandosi tra l'altro degli intrecci tra questa e la politica. Un connubio spesso approdato nei tribunali e nelle aule delle commissioni parlamentari. Abbiamo toccato vari temi, dallo scandalo Petroli alle stragi del '92 e molto altro. Vi invitiamo a leggerla con molta attenzione: questo è semplicemente il racconto di un Uomo che ha attraversato parte della Storia d'Italia ed ha lottato anche con poteri forti dello Stato. Al Dr. Mario Vaudano va tutta la nostra gratitudine sia per averci onorato con le sue risposte e sia per quello che fa ancora oggi nell'ambito della legalità, sempre alla continua ricerca di verità e giustizia.

 

Dr. Vaudano, molti di coloro che leggeranno non la conoscono, hanno venti/trenta anni, per cui negli anni '80/'90 neanche erano nati. E’ possibile che si siano imbattuti nel suo nome cercando “interrogatorio Pertini” in rete. Se lei dovesse presentarsi a questi giovani come si descriverebbe?
Un uomo della borghesia modesta piemontese da sempre «servitore dello Stato», che ha scelto nel lontano 1969 (mente esplodevano le bombe di piazza Fontana...) di fare il magistrato per passione e che ha avuto la fortuna di «approdare» in un ufficio in cui ha trovato due grandi maestri: Mario Carassi, uno dei fondatori di Giustizia e Libertà, e poi Bruno Caccia, assassinato nel 1983 dalla 'ndrangheta in un quadro mai chiarito del tutto. Il primo capo dei Giudici Istruttori a Torino, il secondo Procuratore della Repubblica a Torino tra il 1980 ed il giugno 1983, quando fu ucciso. Nonché dei colleghi eccezionali come Giancarlo Caselli e molti altri di diverse idee ma uguale passione per la giustizia e la nostra Costituzione. Le mie radici cristiano-sociali e la mia amicizia con persone fuori dal comune, come Luigi Ciotti sin dagli anni '70, mi hanno aiutato e confermato in questa scelta. Ciò non mi ha mai impedito di aver sempre un rapporto libero e critico con lui, come con un altro grande amico, Giancarlo Caselli, quando non ero e non sono d’accordo su qualche argomento. Devo dire che tutto ciò ha richiesto e richiede tuttora dei continui esami di coscienza e delle continue rimesse in causa, di fronte agli inevitabili errori e manchevolezze umane.

Negli anni '80, partendo da un infortunio sul lavoro, si è ritrovato a scoperchiare quello che allora venne definito “scandalo Petroli” con il successivo e relativo processo dal nome omonimo. Ha scoperto pezzi infedeli dello stato come generali della Guardia di Finanza e magistrati, e per questo ha subito delle conseguenze con varie ricusazioni, denunce penali e procedimenti disciplinari tutti conclusisi con il pieno riconoscimento della sua correttezza. A distanza di tanti anni le chiediamo: cos’è cambiato in Italia per ciò che riguarda la collusione e la corruzione di pezzi delle Istituzioni?
Forse é cambiato qualcosa di importante nella percezione, negativa, di questi fenomeni ed é diminuita la tolleranza tacita o quantomeno l’acquiescenza di una parte della società civile. Penso che tuttavia si tratti di una percentuale ancora minoritaria, e che vi sia ancora molto silenzio e molta compiacenza. Nell’insieme delle Istituzioni non credo che moltissimo sia cambiato, ma degli indizi positivi esistono anche se spesso vengono «sommersi» dalle molte, troppe vicende di corruzione e di collusione che emergono ogni giorno.

In occasioni di istruttorie
congiunte (oggi diremmo indagini) ha prima conosciuto il pool di Palermo e ha poi avuto un’amicizia con il Dr. Giovanni Falcone. Che uomini erano Falcone e Borsellino sul piano lavorativo e umano? Che ricordo ha di loro?
Non ho conosciuto se non di sfuggita il dr. Borsellino, in occasione dei miei incontri di lavoro con il dr. Falcone a Palermo ed a Torino. Ho conosciuto invece meglio il dr. Falcone. Lo ricordo come una persona intelligentissima, seria ed eccezionalmente competente, con una capacità di lavoro ed una memoria incredibili, una buona vena ironica (mai maligna né maliziosa) ed una grande gioia di vivere.

Ricorda come apprese di Capaci e Via D’Amelio?

Perfettamente. Avevo parlato con il dr. Falcone qualche settimana prima della strage perché avevo deciso di fare domanda con sostituto procuratore nazionale antimafia in quell’ufficio ideato da lui e di cui lui avrebbe dovuto essere a capo. Gli avevo domandato se mi avrebbe accettato come collega e lui scherzando mi aveva detto che «se non avessi fatto la domanda mi avrebbe strozzato…». Il giorno dei fatti doveva essere un sabato ed io ero nel pomeriggio a casa ad Aosta (ero Procuratore capo della Repubblica presso la pretura di Aosta a quell’epoca) ed appresi la notizia dalla televisione. Rimasi incollato e completamente sotto shock davanti allo schermo, sperando ancora che potesse salvarsi, fino a quando appresi la notizia della sua morte dopo quella della moglie (che avevo ugualmente conosciuto, in occasione di una cena insieme a lui a Palermo) e degli agenti della scorta. Ricordo bene che i miei collaboratori della Procura di Aosta si precipitarono a casa mia per verificare come stavo poiché conoscevano il mio legame con il dr. Falcone e volevano essermi accanto in quel terribile momento.

Gli italiani ricordano quelle due date (il 23 Maggio 1992 e il successivo 19 Luglio) come eventi che hanno modificato la vita di tutti noi. Le chiediamo: quelle stragi si sarebbero potute evitare? Perchè lo Stato ha fallito?
Non ho elementi sicuri per dire se si sarebbero potute evitare, anche se i processi in corso dovrebbero far emergere almeno qualche spunto di verità. Preferisco non aggiungere le mie considerazioni personali ad una situazione che mi sembra oggi già abbastanza complicata. Posso solo affermare, sulla base di fatti e documenti direttamente a mia conoscenza, che l’intreccio tra servizi cd. segreti deviati o comunque utilizzati a fini diversi da quelli istituzionali, malavita organizzata ed anche mafiosa in senso stretto, massoneria anche occulta ed estremismo politico specialmente di estrema destra con collegamenti anche internazionali, mi é risultato purtroppo presente già dall’inizio degli anni '80 nel corso del mio lavoro e di alcune specifiche istruttorie. Così come il collegamento preciso e provato con ambienti politici anche di altissimo livello. Per questo motivo, già negli anni '80, mi trovai con i colleghi di Torino a denunciare ufficialmente e per iscritto, agli organismi parlamentari ed istituzionali competenti, condotte che apparivano a prima vista come illecite da parte prima dell’on. Andreotti e poi dell’on. Craxi. Senza esito, putroppo, in entrambi i casi, ma con precisi e provati documenti e testimonianze. Gli atti di queste denunce si trovano negli archivi della Commissione parlamentare sulla loggia P2 e della Procura Generale di Torino e Milano. Devo ammettere che a quell’epoca ho constatato che vi era una «vicinanza» tra gli uffici di Procura Generale e il potere politico in sella, in particolare con l’on. Craxi a Milano (ma non solo). Non lamentiamoci quindi troppo della situazione attuale, perché ho visto di peggio…
Per la strage di via D’Amelio ho un ricordo preciso di un incontro ad inizio di luglio 1992 (quasi casuale) vicino a Palermo con il dr. Scarpinato che lavorava all’epoca con il dr. Borsellino. Dialogammo a lungo e ricordo bene che mi disse che il dr. Borsellino e lui “erano dei morti che camminavano” e che da un momento all’altro si aspettavano che accadesse il peggio. Questo mi costringe a pensare che qualcosa di inammissibile stesse avvenendo e che non si facesse il necessario per evitarlo.

Negli anni '90 si è ritrovato a ricoprire l'incarico di Procuratore della Repubblica presso la pretura di Aosta ed in quel periodo già emergeva la ramificazione della ‘ndrangheta al nord: perché lo Stato è stato assente nei periodi successivi? Solo da un decennio ci si occupa costantemente delle infiltrazioni della mafia calabrese nel nord Italia, eppure lei già aveva visto da vicino la potenzialità di questa forma dicriminalità organizzata: come mai si è taciuto negli anni successivi?
In realtà sin dai primi anni '80 a Torino ed in Piemonte ci eravamo ben resi conto della presenza della 'ndrangeta e di cosa nostra al Nord. Troppi hanno dimenticato la catena di sequestri di persona, molti con esito mortale per le vittime (ricordo solo, a titolo di esempio, il tragico sequestro di Cristina Mazzotti terminato con la morte della giovane vittima, abbandonata in una discarica), sequestri posti in essere tra la metà anni '70 ed inizio anni '80 a Torino e Milano ed anche in altre localita’ del centro-nord.
Ricordo che nel giugno 1983 fu ucciso, per la prima volta (e, fortunatamente, ultima) un capo della Procura della Repubblica in Italia settentrionale. Il Procuratore di Torino, Bruno Caccia, freddato a colpi di pistola in un agguato sotto casa sua. Avevo lavorato con lui tra il 1980 e 1983 nell’ambito del processo per lo scandalo Petroli ed mi ero incontrato proprio con lui il sabato per un atto importante. Fu ucciso il giorno dopo, domenica. Si cerco’ di far passare questo assassinio come un atto delle brigate rosse costruendo anche una falsa rivendicazione, come è avvenuto anche per altri omicidi (ricordo quello di Giuseppe Impastato nel 1979). Poi emerse che gli autori erano membri della 'ndrangheta legati anche a Cosa Nostra della zona messinese e di Barcellona Pozzo di Gotto. A tutt’oggi é stato condannato definitivamente per questo omicidio solo un responsabile, Domenico Belfiore. Restano oscure molte altre responsabilità ed è per questo che oggi la famiglia del dr. Caccia chiede di riaprire le indagini per cercare di far un po' di luce su molte complicità, forse anche istituzionali e nell’ambito della Magistratura dell’epoca a Torino ed altrove. Io mi sono impegnato con la famiglia a fornire loro un supporto tecnico e morale, naturalmente gratuito. Pochi mesi fa abbiamo avuto la soddisfazione, questa volta paradossalmente proprio grazie anche all’intervento del Procuratore Generale di Milano che ha richiamato la Procura di Milano all’osservanza di alcune regole processuali, di riuscire a riaprire formalmente l’indagine. Ora andiamo avanti!
Quando divenni Procuratrore ad Aosta, nel 1989, avevo dietro di me e dentro di me tutte queste esperienze ed é per questo che cercai di far emergere la situazione di infiltrazioni mafiose molto forti specie calabresi, ma non solo, in Val d’Aosta. Suscitando molte forti reazioni, anche se la realtà era abbastanza evidente per chi avesse voluto solo aprire onestamente gli occhi. Basti pensare che nel corso di un’operazione per frodi negli appalti Anas si constatò che l’autista di uno dei principali imputati (poi condannati), e uno dei più importanti imprenditori valdostani in ottime relazioni con il governo regionale, era un esponente del clan Nirta… Fu condannato anche il presidente della regione dell’epoca, per fatti connessi. Devo pero’ constatare che, a seguito di procedura di riabilitazione, la stessa persona dopo circa dieci anni é stata rieletta a Presidente della Valle d’Aosta.

Dal marzo 1994 lei ha ricoperto l’incarico di Direttore dell’Ufficio Estradizioni ed assistenza giudiziaria penale internazionale del Ministero della Giustizia, quindi un incarico molto delicato. Ad un certo punto l’allora ministro di Giustizia chiese le sue dimissioni: quali fili aveva toccato Dott. Vaudano?
Questo richiede ancora un lungo discorso… Arrivato nel marzo 1994 nel nuovo ufficio di Direttore dell’Ufficio Estradizioni ed assistenza giudiziaria penale internazionale del Ministero della Giustizia, trovai anche qui un ufficio senza praticamente altri magistrati collaboratori, ma con un gruppo di validissimi cancellieri esperti in tutti i settori di competenza. Grazie alla mia passata esperienza e la fiducia accordatami dalle autorità straniere ed in specie svizzere, in pochi mesi riuscimmo, in collaborazione con le Procure di Milano, Palermo e Roma, a far arrivare documenti bancari e giudiziari essenziali che determinarono poi la condanna di persone di alto livello, tra cui il Ministro della difesa Previti ed alcuni intermediari finanziari tra cui l’avvocato Acampora, che già era stato implicato ed arrestato nel corso del processo dei Petroli e successivamente era diventato avvocato d’affari per il gruppo Fininvest. Ugualmente importante fu l’accettazione dell'estradizione dall’Argentina in collaborazione con la Procura Militare di Roma del criminale di guerra Priebke, nonostante feroci opposizioni e importanti problematiche giuridiche.
Nel giugno '94 mi fu richiesto dal nuovo Ministro della Giustizia Biondi di rassegnare le dimissioni, perché “non allineato”. Rifiutai, chiedendo per iscritto che mi fossero indicate le mie eventuali mancanze come Direttore dell’Ufficio Estradizioni. Non ci fu risposta a questa mia missiva e continuai nel mio lavoro. Ma a settembre fui convocato dal Direttore degli Affari Penali Mele, che mi informò che il Ministro aveva iniziato procedimento disciplinare contro di me, ma che lui “non sapeva per quale motivo”, ma mi consigliava le dimissioni facendo intendere che in questo modo forse l’azione discliplinare non sarebbe stata coltivata. Dopo poco tempo fui materialmente estromesso dall’ufficio e messo in un ufficio che si occupava del disciplinare degli uscieri giudiziari, ove in pratica non mi fu dato nulla da fare.
Dopo due o tre mesi il capo di Gabinetto mi convocò e mi disse che, “se stavo tranquillo”, mi sarebbe stato affidato un altro incarico direttivo, ma non il precedente ufficio a cui era già destinato un magistrato “gradito” e cioè il dr. Nitto Palma (che poi divenne per lunghi anni ed è tuttora parlamentare di Forza Italia e fu persino Ministro della Giustizia). Io rifiutati ogni altro incarico e feci il concorso per un posto all’Ufficio Studi del CSM, che vinsi prendendo funzione ivi nel giugno 1995. Il procedimento disciplinare si era concluso intanto in un’assoluzione già in fase istruttoria. Dopo un certo tempo si accertò che il procedimento disciplinare era stato “costruito” dal Procuratore Generale di Torino dr. Silvio Pieri su sollecitazione “privata” del Ministro Biondi con cui era in rapporti di amicizia, al solo scopo di aver un pretesto per rimuovermi dall’Ufficio Estradizioni. Fu lo stesso dr. Pieri ad ammetterlo, nel corso di un audizione davanti al CSM nel 1996.
Dopo circa tre anni al CSM, in cui mi occupai essenzialmente di pareri sullo stato dei magistrati e di rapporti internazionali, concorsi a posto di Presidente del Tribunale distrettuale di Sorveglianza per il Piemonte e Valle d’Aosta, che vinsi prendendo le funzioni a Torino nel marzo 1997. L’ufficio ed il Tribunale, suddiviso in cinque sedi (Torino, Asti, Alessandria, Cuneo, Novara e Vercelli) era in condizioni difficili per la carenza di magistrati e personale di cancelleria ed ausiliario e per la vetustà dei locali, con una quasi totale mancanza di informatizzazione. Tra il 1998 ed il 2000 riuscii a raddoppiare i magistrati in servizio a Vercelli e Novara, a coprire tutti i posti vacanti nelle altri sedi, a raddoppiare il personale di cancelleria ed assistenza giudiziaria, ad informatizzare con nuovi strumenti tutto il Tribunale, a ripulire ed a riorganizzare in modo decente (con la collaborazione del Comune di Torino) tutti i locali del Tribunale, le aule di udienza e le camere di sicurezza (che erano in uno stato indegno) necessarie per i condannati detenuti quando venivano a partecipare alle udienze. Putroppo incontrai difficoltà questa volta da parte di alcuni magistrati di sorveglianza già in servizio a Torino ed Alessandria da anni, che iniziarono una guerra sotterranea contro ogni forma di riorganizzazione (forse non abbastanza partecipata con i magistrati e troppo in accordo con il personale ausiliario) e contro determinate aperture nelle decsioni di misure alternative e permessi.
Alla fine mi trovai improvvisamente “sotto inchiesta” del Consiglio Giudiziario di Torino, su denuncia di una magistrata che era nel contempo giudice di sorveglianza parte in causa e membro del Consiglio Giudiziario, e mi fu negata la promozione alle funzioni direttive superiori. Feci ricorso al CSM che riconobbe, dopo alcuni mesi molto difficili di gestione dell’ufficio per me, che il parere del Consiglio Giudiziario era infondato ed errato e decise all’unaminità di promuovermi alle funzioni direttive superiori oltre che di nominarmi membro della Commissione speciale del CSM per lo studio dei problemi della sorveglianza, in cui collaborai per tutto il tempo restante delle mie funzioni.
Nel 2000 concorsi per il posto di Consigliere di Cassazione ed anche per un posto di Consigliere giuridico all’Ufficio Europeo Antifrode (OLAF) appena istituito. Oltre all’interesse per le funzioni internazionali, avevo la necessità di riuscire a ricomporre l’unità famigliare con mia moglie francese, anche in vista dell’adozione che sembrava concretizzarsi in Francia.

Nel febbario 2001 presi le funzioni alla Corte di Cassazione, in attesa che la procedura per l’OLAF si concretizzasse, come poi avvenne nel giugno 2001 con decisione unanime del CSM. Ma a settembre, il nuovo Ministro della Giustizia Castelli bloccò la procedura amministrativa per la mia messa fuori ruolo, richiedendo al CSM di revocare la delibera favorevole nei miei confronti. Le motivazioni apparenti erano risibili oltre che illegittime (come fu poi riconosciuto due anni dopo dal TAR e dal Consiglio di Stato), ma vigorosamente sostenute, con accuse anche in sede parlamentare di ogni genere (particolarmente accanito fu l’on. Nitto Palma). A questo punto, visto che il CSM aveva nel frattempo confermato la sua delibera, decisi di prendere ugualmente possesso all’OLAF (dandone immediata comunicazione al CSM e al Ministro della Giustizia, oltre che alla tesoreria per l’immediata interruzione della corresponsione del mio stipendio).
Successe 'l’ira di Dio': l’ambasciatore italiano all’UE (personaggio poi implicato e condannato per peculato) chiese al Direttore OLAF di allontanarmi immediatamente dall’OLAF, con richiesta ufficiale del Presidente del Consiglio (Berlusconi) italiano. Una campagna di stampa si scatenò su tutti giornali favorevoli al governo, preanunciando azioni disciplinari che puntualmente si concretizzarono (tra l’altro notificando i capi d’incolpazione al domicilio di mia madre di 86 anni che subì un forte turbamento).
A questo punto io decisi di non ripresentarmi in servizio in Italia e di lasciarmi decadere, anche perché non potevo rischiare una situazione familiare che mettesse in pericolo l’adozione della bimba che era da poco avvenuta, nell’ottobre 2001. Il CSM ne prese atto e dopo un anno dichiarò estinta ogni azione disciplinare.
Rimasi quindi all’OLAF fino al dicembre 2001, occupandomi di investigazioni e di assistenza giuridica agli investigatori, particolarmente per le frodi in Italia, Belgio e Francia.
Purtroppo, a partire dal 2006, con le pressioni di funzionari italiani, legati al governo italiano in carica ed ai servizi, e di funzionari francesi che avevano preso la direzione dell’investigazioni approffittando anche della grave malattia del direttore (deceduto poi ad inizio 2010), iniziò anche qui una guerra continua contro ogni attività che mettesse in causa (collaborando efficacemente con la magistratura italiana e francese) i rispettivi governi italiani e francesi in carica (all’epoca i governi Berlusconi e Sarkozy).
Mi fu offerto di andare in pensione anticipatamente. Rifiutai e con l’aiuto di un gruppo di investigatori di più paesi che si opponevano a questo tipo di gestione, nel 2010 presentai un lungo esposto al segretario generale della Commissione, molto documentato sulle attività irregolari della direzione in carica.
Questo permise, contro l’aspettativa di Germania e Francia che avevano già individuato il loro candidato in uno dei personaggi scorretti che era nel frattempo divenuto direttore delle investigazioni, una decisione del Parlamento europeo in sede di audizione dei candidati (che partecipavano al posto di direttore generale lasciato vuoto dal direttore nel frattempo deceduto) che bocciò i candidati “interni” e portò poi con l’accordo di Commissione e Consiglio alla nomina del nuovo attuale direttore, un magistrato italiano molto esperto: il dr. Giovanni Kessler. Io decisi, tuttavia, nonostante le richieste del dr. Kessler, di andare in pensione ai 65 anni, per ragioni familiari e perché non desideravo dare l’impressione di essere “premiato” per le mie azioni di denuncia.

In Francia, in pensione ma attivo... Prima di tutto mi dedico alla famiglia ed in particolare a mia figlia adolescente ed ai miei figli, e alla nipote, in Italia. Per il resto, pur mantenendo ancora contatti con l’OLAF, mi occupo di volontariato in Francia, specialmente con la neonata associazione di diritto francese “Libera France” e con altre associazioni tra cui Anticor (associazione francese diramata su tutto il territorio francese, e che da alcuni anni promuove efficacemente la lotta contro la corruzione). Continuo ad occuparmi occasionalmente di formazione di magistrati europei, oltre che dell’Observatoire geopolitique des criminalités – OGC –, in cui sono membro del Consiglio di Amministrazione. Non ho troncato affatto i legami con l’Italia, dove continuo a recarmi ogni tre mesi, per vedere i miei figli, la nipote ed amici. Inoltre da circa due anni ho accettato di fare il consulente tecnico per la famiglia del Procuratore Caccia, assassinato nel 1983 dalla mafia a Torino. Collaboro con loro e l’avvocato Fabio Repici e non manca il lavoro ed anche qualche primo risultato. Mantengo rapporti con la magistratura e con alcune riviste sui cui scrivo di tanto in tanto, come Questione Giustizia e Rocca, rivista della Pro Civitate Cristiana di Assisi. E con altre riviste italiane ed estere. Attività che svolgo tutte a titolo strettamente gratuito.
Voglio aggiungere ancora una considerazione, molto importante per me: non mi sono mai sentito un perseguitato nè un uomo deluso a causa di queste scelte. Anzi, mi sono sempre ritenuto (pur con non pochi momenti di grande fatica, tristezza e di delusione) una persona molto fortunata che ha avuto il privilegio di vivere quello che aveva scelto di fare e di poterlo fare, in costante contatto con il mondo e con le persone. Perché onestamente io continuo ad amare il mondo e gli esseri umani, anche di fronte a fatti e condotte terribili.
(24 dicembre 2015)

Gruppo Fraterno sostegno ad Agnese Borsellino in collaborazione con l'Osservatorio veneto sul fenomeno mafioso
(fonte: gruppo facebook 'Fraterno sostegno ad Agnese Borsellino')

Tratto da:
19luglio1992.com
     

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