di Francesco Bertelli
L'Italia è ripartita. Tutti gli indicatori dicono che la rincorsa alla ripresa è cominciata. Tutto va bene madama la marchesa. Ok. Perfetto. Pare un Pese diverso il nostro. Un coro generico di: “finalmente qualcosa si muove”, “queste sono riforme che servono per rimettere in piedi il Paese”.
Già, le riforme. Perfette anche loro.
Basterebbe per un istante soffermarci sui dati economici che sono stati lanciati in estate (in stile “Giochiamo a chi la spara più grossa”) in merito a occupati e disoccupati, per capire in che situazione siamo.
La realtà è un po' diversa da come ce la raccontano. E' come se esistessero due Paesi in due dimensioni diverse: una dimesione astratta ed una dimensione reale.
Televisioni, giornali e politici al seguito ci raccontano la dimensione astratta. Quella reale ce la tengono nascosta. Quest'ultima si trova in una condizione drammatica, soprattutto nell'aspetto della lotta alla mafia. Basta appunto, tornare a quelle riforme per capirlo.
Lorsignori hanno un unico desiderio: stralciare il lavoro di Giovanni Falcone. Ci erano quasi riusciti con la riforma dei pentiti (i folli “180” giorni per raccontare tutto; se lo racconti bene, altrimenti non entri nel programma protezione), e poi con l'allentamento del 41bis. Due punti del papello di Totò Riina affrontati e rispettati.
Adesso ne spunta un altro di punto: la modifica dei benefici carcerari. Si vuole modificare l'art.4 bis dell'Ordinamento Penitenziario in tema propro di benefici carcerari legati all'ergastolo. Perchè c'è il timore su questo punto? Semplice: oggi, di fatto, già la legge concede l'egastolo solo ai mafiosi e ai terroristi. Per gli altri reati (come l'omicidio) grazie a mille attenuanti e sconti di pena, l'ergastolo non viene mai applicato. Allora perchè la politica mette l'accento sulla riforma dell'ergastolo, esplicitando che ne rimarranno esclusi i mafiosi e i terroristi, quando già la legge prescrive tutto ciò? Brutte sensazioni riemergono.
Adesso ci provano con la riforma delle intercettazioni: sparisce l'udienza filtro, prima invocata da tutti e adesso da nessuno. Si disincentiva il comune cittadino a denunciare i reati della criminalità organizzata. Brutte senzazioni anche qui.
Niente è cambiato.
E poi quando tutti di dicono che va bene tutto, finisci quasi per crederci. Perchè però queste riforme avvengono adesso? Perchè la politica sposta l'attenzione sulla riforma del Senato e non sulla riforma dell'ergastolo?
E Nino Di Matteo che fine ha fatto? Quella solidarietà istituzionale che tutti abbiamo invocato per questi mesi, dov'è?
Eppure le speranze c'erano tutte: un nuovo Presidente della Repubblica e un nuovo Presidente del Consiglio.
Niente è cambiato neppure su questo fronte. E le brutte sensazioni qui si sommano. Ti capita di leggerti l'intervento che Di Matteo ha fatto il 25 settembre scorso per la presentazione del suo ultimo libro “Collusi”, e ti prendono dei brividi freddi. In riferimento alla sua protezione e al tritolo che si trova ancora a Palermo e non si trova lui risponde così: “Ho pudore a parlarne, purtroppo ho una brutta sensazione, ma amo il mio lavoro e lo vivo con enorme passione”.
Ed è qui che allora ti fermi a riflettere. Possibile che nel Paese dove tutti ci dicono che tutto va bene, un onesto servitore dello Stato si sente definitivamente abbandonato dal suo Stato? Si, definitivamente. E' questo che pensi quando rileggi quella frase: “ho una brutta sensazione”. Ti viene in mente il libro “Cose di Cosa Nostra” di Giovanni Falcone e Padovani, uscito nel 1991, pochi mesi prima di Capaci. Ti vengono in mente le decine di interviste a Falcone e Borsellino, accomunate dallo stesso messaggio: “non siamo protetti dallo Stato. La paura esiste sempre. Non ho paura del lavoro che faccio e ho capito che è necessario che continui a farlo. Convinciamoci che siamo cadaveri che camminano”. Poi le bombe.
Possibile che non sia cambiato niente?
Sì, è possibile. Anzi, è peggio di quel maledetto 1992. Prima c'era una sorta di cuscinetto tra il menefreghismo popolare e il rispetto delle regole. Esisteva la consapevolezza che il rispetto delle regole, che la democrazia, che la lotta stessa alla mafia, erano il fulcro per combattere l'ipocrisia e il disinteresse comune. L'unica arma contro l'omologazione (il terrore denunciato spesso dal profeta Pasolini).
Ecco oggi questo cuscinetto sembra sempre più fragile di un tempo. Vuoi per i disfacimento dela politica, vuoi per la mancanza di consapevolezza di molti livelli della società. Mille sono i fattori ma il risultato non cambia: certi temi sembrano noiosi se li prospetti a chi crede che il Paese sia ripartito.
E allora se questo Paese è davvero ripartito perchè Nino Di Matteo si sente così solo al punto da esternare il suo timore in pubblico? C'è uno Stato, meritevole di questo nome, che possa far sentire la sua voce a sostegno di un suo onesto servitore? Possibile che nessuno sappia dove si trovi quel maledetto tritolo?
Sì, perchè in questo Paese, dopo che la storia è già accaduta, esiste del tritolo arrivato a Palermo apposta per Nino Di Matteo e nessuno sa dove adesso si trovi. “In un posto sicuro” rilevano vari pentiti. Chi mantiene questo segreto? Possibile che non si sia l'interesse per un fatto drammatico come questo?
Al momento no.
Ma la colpa non è solo della politica. E' anche un po' nostra. Ci siamo giocati un ventennio: spettatori inermi, mentre sotto i nostri occhi un trattativa scritta con il sangue, fra pezzi dello Stato e gli assassini prima di Giovanni e poi di Paolo, metteva in ordine la spartizione del potere in questo Paese. E questo silenzio che oggi ruota intorno a Nino Di Matteo, è figlio di quel patto. Inutile ripetere le cose, ma un punto va chiarito: il nostro destino di Paese, è legato indissolubilmente alla collusione fra Stato e criminalità organizzata, evolutasi nella mafia dei “colletti bianchi”. Questa è la causa di tutti i nostri mali. E pare che a tutto ciò non ci sia volontà per procedere in senso inverso
Ecco perchè c'è una brutta sensazione.
Il rischio è quello che oltre a Di Matteo, a sentirsi soli, finiremo per essere tutti noi che lottiamo affinchè questo puzzo di compromesso morale un giorno (chissà quando) possa finire.
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