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scordato-cosimo-webdi Antonino Cangemi - 17 giugno 2015
Palermo, pur tra gli atavici mali e le tante contraddizioni, è ricca di risorse. Tra di esse la presenza di sacerdoti che predicano il Vangelo e ne mettono in pratica gli esempi in quartieri difficili. Don Cosimo Scordato, parroco di San Francesco Saverio, a Palermo, lo fa da tantissimo tempo all’Albergheria conciliando il suo impegno di finissimo teologo a quello di operatore religioso capace di calarsi in contesti sociali precari.

D’altra parte in padre Scordato la vivacità intellettuale si coniuga alla pratica evangelica, i suoi studi, per quanto acuti, non sono che un’appendice, un completamento del suo esercizio pastorale in una comunità segnata dalla sofferenza materiale dell’indigenza e da sottoculture minate da deviazioni varie.
Una sottocultura contro la quale don Scordato ha da sempre elevato i suoi scudi è quella mafiosa. Con tante iniziative, tutte coraggiose e incisive.
Di recente padre Scordato ha affrontato il tema della mafia, visto dalla prospettiva ecclesiastica, con un saggio nello stesso tempo agile e ricco, “Dalla mafia liberaci o Signore” edito da Di Girolamo.
Significativo è il sottotitolo, “Quale l’impegno della chiesa?”, che sottolinea come il saggio, pur denso di riflessioni teologiche colte e profonde, muova da intenti pratici. In esso infatti don Scordato, tracciati i profili di Cosa nostra e analizzati, anche sulla scorta di una nutrita bibliografia, gli approcci deviati degli “uomini d’onore” ai misteri del sacro, si pone diversi interrogativi a cui fornisce risposte puntuali.
Come contrastare sul piano culturale la mafia? Con quelle risorse –ci suggerisce Scordato- di cui si è ricchi nel Meridione: il calore umano, il senso di accoglienza, della gioia, della festa e della partecipazione.
La mafia se per lo Stato si sostanzia in fattispecie di reato previste dal codice penale, per la chiesa, interessata alla dimensione della coscienza, è un peccato. Il peccato di mafia, che porta ad assumere comportamenti e atteggiamenti di prevaricazione in vista dell’accumulo illecito di guadagni materiali, ha una dimensione sociale perché si regge su un’organizzazione e investe, oltre che le singole vittime, l’intero consorzio umano.
Come deve reagire la chiesa per sconfiggere il peccato di mafia? Innanzitutto con la sua scomunica, che di per sé sarebbe pleonastica perché mafia e Vangelo sono intrinsecamente inconciliabili, ma che assume un valore simbolico significativo sotto diversi profili: la chiesa prende le distanze, in modo netto e inequivocabile (come non sempre è accaduto) da un fenomeno con essa antitetico, i mafiosi percepiscono il loro peccato ad onta di ritualità ed esibizionismi pseudo religiosi.
La chiesa però, se da un lato deve condannare la mafia, irredimibile nella sua struttura contraria al Vangelo, deve tentare, per quanto sia difficile, di intraprendere il cammino che conduce alla redenzione e alla conciliazione degli uomini che si sono macchiati del peccato di mafia. E’ un percorso accidentato e lastricato da mille ostacoli, ma lo detta il Vangelo e può condurre all’autentico pentimento e alla conversione. Pentimento e conversione che, se indotti da sinceri e profondi moti dello spirito, debbono essere accompagnati da concrete opere caritatevoli e di riparazione dei torti inflitti alle vittime.

Tratto da: siciliainformazioni.com

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