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ciancimino-processo-2annifadi Adriana Stazio - 27 maggio 2015
Esattamente due anni fa, il 27 maggio 2013, aveva inizio il processo sulla trattativa Stato-mafia, Bagarella + 9, davanti alla seconda sezione della Corte di Assise di Palermo. La prima udienza si tenne all'aula bunker del Pagliarelli.

Ricordo come allora l'emozione di quel giorno, ero felice ed emozionata: quella difficile inchiesta, osteggiata e ostacolata in ogni modo, era arrivata alla fase dibattimentale, era sfociata in un processo che vedeva sul banco degli imputati per la prima volta uomini delle istituzioni accanto a boss mafiosi.

Ricordo l'emozione e la fierezza di Massimo Ciancimino, che con le sue dichiarazioni aveva dato inizio a quelle indagini e nonostante tutti gli attacchi e la delegittimazione, un arresto per calunnia e tutte le minacce, era andato avanti con tenacia e sapeva che se quel giorno eravamo arrivati a quel risultato era anche grazie al suo contributo, alle sue scelte difficili ma importanti e al suo non aver mollato, che senza tutto questo quel processo non ci sarebbe stato. Tanti sacrifici avevano portato a un risultato tangibile e per nulla scontato.

Ricordo i magistrati del pool in prima fila, con il procuratore della Repubblica dott. Messineo; anche loro certamente saranno stati emozionati, soprattutto il dott. Di Matteo che questa inchiesta l'aveva fatta nascere, proprio come Massimo, sebbene con ruoli ben diversi: uno mettendo a verbale i suoi ricordi, l'altro da pm raccogliendo e vagliando le dichiarazioni.

Ricordo l'emozione di Salvatore Borsellino, anche lui consapevole del momento storico che stavamo vivendo, che finalmente avrebbe potuto far luce su quei patti scellerati alla base delle stragi e della morte di suo fratello Paolo, che si era messo di traverso rispetto a quella trattativa, e consapevole di aver contribuito anche lui ad arrivare a quel giorno, con la sua battaglia instancabile per chiedere verità insieme alle sue Agende Rosse.

E ricordo i tanti attivisti delle Agende Rosse giunti da tutta Italia, gli abbracci con tutti, il caloroso saluto e la stretta di mano in aula tra Salvatore e Massimo, e poi alla fine dell'udienza le agende rosse alzate dagli attivisti fuori dall'aula bunker, le contestazioni a Nicola Mancino, lo smemorato che non ricordava di aver incontrato Paolo Borsellino e i saluti affettuosi a Massimo Ciancimino, il teste chiave dell'accusa immortalati in questa foto che uscì su Repubblica.

Tutto questo diede molto fastidio, proprio quella mattina Massimo Ciancimino aveva ricevuto una lettera "anonima", gli intimava di mollare, ma lui si presentò lo stesso al processo e dichiarò ai giornalisti che non avrebbe mai mollato e che era fiero di essere arrivato dove era arrivato. In realtà la lettera non l'aveva ancora vista nella cassetta della posta, ma tanto anche se lo avesse fatto, la reazione alle minacce sarebbe stata uguale.

Quanto preannunciato nella lettera però si avverò: nella notte tra il 28 e il 29 maggio Massimo fu arrestato per ordine della DDA di Bologna per una presunta evasione fiscale con l'aggravante dell'art. 7 che subito cadde al vaglio del gip, ma servì per confezionare quell'arresto. Un arresto ad orologeria, lo definì subito Salvatore Borsellino. La tempistica era fin troppo evidente, quell'arresto fu stavolta un boomerang per chi aveva pensato di delegittimare in quel modo il testimone o di farlo mollare: dal carcere dopo oltre un mese, in cui era stato in totale isolamento per motivi di sicurezza personale (assimilato ai collaboratori di giustizia), cui seguì un altro mese di arresti domiciliari, uscì più forte nello spirito e nel sostegno delle persone, anche se debilitato nel fisico e con quasi 15 chili in meno.

Era giusto oggi ricordare anche quello che accadde il 29 maggio, perché purtroppo queste battaglie costano sacrifici e prezzi alti da pagare, prezzi che Massimo ha pagato e paga perché crede nella sua battaglia, che è anche la nostra. Qualcosa su cui dovremmo riflettere su tutti noi e non fargli mancare mai il nostro sostegno perché Massimo se vogliamo è l'anello debole della catena, più facile da colpire.

Ma quel 27 maggio nessuno immaginava quello che stava per succedere, la scure che stava per abbattersi e che avrebbe spezzato in un soffio la gioia e il senso di vittoria di quel giorno, anche se Massimo me l'aveva detto: "Non ti credere che non me la faranno pagare."

Oggi voglio tornare però con il ricordo all'entusiasmo e all'emozione di quel 27 maggio 2013, e per far ciò ricordo le parole che scrisse il 28 maggio su Facebook lo stesso Massimo, prima a sua moglie e alla sua famiglia: "oggi entrando in quella fredda aula ho percepito per la prima volta un senso di orgoglio, un riconoscimento per tutti i sforzi fatti insieme a voi, Vi ho messo a dura prova, lo so, ne sono conscio, vi chiedo ancora scusa. So che non la pensi come me, non sei la sola, siete in tanti, oggi lo posso dire, ne è valsa la pena, pochi attimi possono far capire tanto, un giorno VitoAndrea capirà".

E poi in un altro commento: "Ieri entrando in quell'aula ho percepito il frutto di quattro anni difficili. Anni di isolamento, amici che scompaiono, minacce per me e per i miei familiari, la cosa che di più importante ho al mondo, poi arrivano le scorte e la tua vita cambia radicalmente. Non è tutto, mi hanno fatto tanti "trappoloni", ho subito l'umiliazione del carcere. Poi è arrivato puntuale come sempre in questi casi il bieco e sporco tentativo di delegittimazione. Mi hanno massacrato, ma alla luce di quella strana sensazione provata ieri entrando in aula Ti posso dire, ne è valsa la pena."

Ne è valsa la pena. So che è così per Massimo, nonostante tutto, nonostante in questi ultimi due anni di colpi ne abbia ancora subiti, e a volte si è stanchi, ci si sente soli ed è difficile trovare la forza e le motivazioni per andare avanti. Però oggi suo figlio che ha 10 anni è orgoglioso del suo papà, ancora l'abbraccio di Salvatore Borsellino in via D'Amelio il 19 luglio dell'anno scorso, davanti a suo figlio, ha significato tanto per Massimo, un motivo di orgoglio da far sembrare piccoli tutti coloro - e sono tanti, amici e conoscenti - che gli dicono "ma chi te lo fa fare".

Concludo con le parole che mi scrisse Massimo dal carcere nella sua prima lettera, parole che dicono tutto:
"Non è facile, ma saprò affrontare anche questa ennesima sfida, non posso abbattermi, devo combattere nel processo, è quello il mio ring, è quello l'incontro che voglio vincere, per me, per mio figlio, per Salvatore e per tutti voi."

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