Nel suo famoso discorso sulla democrazia, riportato e riadattato da Tucidide, nel 431 a.c. Pericle, da alcuni storici indicato come il tiranno di Atene, dice : “Qui il nostro governo favorisce i molti invece dei pochi: e per questo viene chiamato democrazia/ Qui ad Atene noi facciamo così/ Le leggi assicurano una giustizia eguale per tutti nelle loro dispute private.../ Quando un cittadino si distingue, allora sarà, a preferenza di altri, chiamato a servire lo Stato... come ricompensa al merito, e la povertà non costituisce un impedimento/... Un cittadino ateniese non trascura i pubblici affari quando attende alle proprie faccende private, ma soprattutto non si occupa dei pubblici affari per risolvere le sue questioni private/ Ci è stato insegnato di rispettare i magistrati, e ci è stato insegnato di rispettare le leggi e di non dimenticare mai che dobbiamo proteggere coloro che ricevono offesa/ ... Un uomo che non si interessa allo Stato noi non lo consideriamo innocuo, ma inutile; e benchè in pochi siano in grado di dare vita ad una politica, tutti qui ad Atene siamo in grado di giudicarla/ ... Noi crediamo che la felicità sia il frutto della libertà, ma la libertà sia solo il frutto del valore”.
Questa alta concezione della democrazia, poi ereditata dalle democrazie moderne, era e rimase solo un fatto teorico: già gli ambasciatori ateniesi, andati a chiedere, nel 416, la sottomissione dell’isola di Melo, così si esprimevano: “Sappiamo bene e voi ne siete consapevoli, che nei discorsi umani si tiene conto della giustizia quando entrambi le parti sentono in egual misura il peso della necessità: ma se c’è disparità di forze, i più forti fanno tutto quello che possono e i più deboli vi si adattano… Per ora non intendiamo tollerare che voi, più deboli degli altri e isolani, riusciate a resistere a noi, signori del mare, perché ciò indurrebbe gli isolani indipendenti come voi e quelli irritati per la necessaria durezza del nostro dominio a credere di poterci impunemente sfidare”.
Gli abitanti di Melo, che si erano ribellati, subirono una repressione durissima: gli uomini furono passati a fil di spada, le donne e i fanciulli venduti come schiavi, le case distrutte, alla faccia della democrazia.
Il discorso di Pericle va letto anche in considerazione della divisione netta in classi sociali, in cui, su circa 250.000 abitanti, solo il 10% aveva la cittadinanza ateniese e quindi il diritto di voto. Il resto della popolazione lavorava al servizio di questo dieci per cento. Il tal senso l’uomo appartenente a questo 10 per cento era ed è, secondo Aristotele, un animale politico e la politica, cioè la scienza del governo della polis è la piena realizzazione di ogni uomo, (appartenente sempre al 10%), e mira a costruire una società in cui questo sia possibile. Si pensi che, nei locali pubblici italiani, durante il ventennio fascista, era appeso il cartello “Qui non si parla di politica”. Oppure che una delle accuse più gravi, anche in tempi recenti, per un insegnante è di “fare politica”, rispetto all’imperativo categorico che “a scuola non si fa politica”. Quello di sostenere, com’è ormai invalso, che “la politica fa schifo” è il peggior modo di fare la peggiore politica. Ma la classe politica nulla fa e sta facendo per rendere il cittadino protagonista della politica.
Con l’Illuminismo e con la presunta divisione dei poteri teorizzata da Montesquieu, è nata la tendenza a prendere apparentemente in considerazione la partecipazione al potere delle classi che mai avevano contato: di fatto tutto tramontò con Robespierre, che del resto non era un’espressione di democrazia. Il marxismo ha tentato, nella seconda metà dell’800 e in tutto il novecento, di dare dignità al cosiddetto proletariato, che storicamente non aveva mai contato: sappiamo che fine hanno fatto le cosiddette “democrazie popolari”, basate su false elaborazioni del marxismo di marca leninista e stalinista.
Nelle democrazie borghesi invece sono state spacciate per governo di tutti le oligarchie che hanno mantenuto saldamente in mano il potere: sono loro a decidere chi deve essere candidato, chi deve essere eletto, quali sono i limiti entro i quali si può spostare un’apertura o una chiusura delle regole democratiche. Sono loro che decidono come orientare il voto, attraverso un sapiente controllo di tutto ciò che produce consenso elettorale, dai mezzi d’informazione, all’economia, all’assistenza pubblica, al clientelismo. Una delle più elementari regole elettorali dovrebbe essere il sistema proporzionale, ovvero il diritto di ogni forza politica e di ogni gruppo di cittadini di avere un a rappresentanza: in tal senso dovrebbero essere studiate tutte le garanzie possibili per dare rappresentanza e voce alle minoranze. E invece si è creato il sistema maggioritario, che consente la rappresentanza solo a chi vince ed esclude i perdenti, anche per un solo voto di differenza. Il 61 a zero in Sicilia è stata la conferma più abnorme di questa assurdità, sostenuta anche dalle forze di sinistra. Il vincolo al numero dei candidati, la passata norma che prevedeva l’elezione piena di un candidato di una lista come condizione per consentire l’elezione di altri candidati della stessa lista in altre circoscrizioni, lo sbarramento del 3, del 5 per cento, l’abolizione della preferenza, e soprattutto il premio di maggioranza alla lista o alla coalizione che riceve più voti, sono tutti trucchi meschini per falsare le regole della democrazia in nome della cosiddetta “governabilità” anche con un 30% di voti, riducendo le minoranze a semplice rappresentanza, tuttavia ben foraggiata da stipendi, prebende, gettoni di presenza, sconti, scorte, esenzioni, privilegi vari e persino bagni termali per tutta la famiglia. E’ chiaro che, in questi termini, parlare di democrazia diventa uno specchietto per le allodole. Secondo un trucco ormai collaudato, ci si preoccupa dei limiti delle democrazie altrui e si tende ad offuscare i propri.
Fra l’altro, all’origine della crisi che stiamo vivendo c’è un meccanismo che ormai sta caratterizzando il nostro nuovo secolo, ovvero un ritorno al medioevo e alla scala gerarchizzata degli uomini in vassalli, valvassori, valvassini, militi. I ricchi hanno allargato, e continuano a farlo, i loro margini di profitto, e possono consentirsi di guazzare nel loro mondo dorato fatto di alberghi a 5 stelle, crociere, vacanze mitiche, negozi specializzati, griffe, gioielli ecc. I lavoratori, che hanno sempre meno soldi da spendere, non potendo comprare bloccano il piccolo profitto, l’unico loro accessibile, e sono risucchiati da un cerchio di miseria e disoccupazione. Metti poi che non esiste più un partito cui fare riferimento per organizzare le lotte sociali e progettare una società nuova, basata su parametri ben diversi dagli attuali, ed hai un’idea di quanto ben poco sia cambiato da quel dieci per cento dei tempi di Pericle. La deriva autoritaria procede a ritmo serrato, grazie a una maggioranza prona e ubbidiente, ove si eccettuino le voci del dissenso, che comunque sono additate al pubblico ludibrio e i cui rappresentanti sono definiti “conservatori”, perchè si rifiutano di approvare controriforme come quella del lavoro (il decantato job act) quella elettorale (l’Italicum), quella della “buona scuola”, autentico snaturamento delle basi della scuola pubblica. Il crollo dei votanti non preoccupa “l’uomo solo al governo”, a cui servono pochi votanti per assicurarsi la maggioranza o l’alleato con cui fare la maggioranza Chi non vota non conta, non ha diritto di parola né di dissenso, semplicemente non c’è. I passi successivi sono evidenti: elezione diretta del premier, che prelude all’elezione diretta del presidente della repubblica, che è anche premier. Il tutto sul modello americano, dove ormai i votanti sono sotto la soglia del 50% e vanno a votare a seguito di una serie di sollecitazioni dei grandi potentati che finanziano le campagne elettorali. Quindi, niente democrazia, e neanche “aristocrazia”, perché “aristoi”, in greco significa “i migliori”: figurarsi se i migliori sono i “berluscones”. i montiani “professori”, al servizio dei “poteri forti”, per non parlare della banda bassotti di Renzi. Non c’è un governo dei migliori, ma di pochi, “oligoi”, e cioè un’oligarchia”, una “timocrazia”, (“timos è l’insieme dei beni e delle ricchezze possedute, su cui si paga il tributo), ovvero, se vogliamo addirittura usare un termine caro al fascismo, ovvero una “plutocrazia”, in cui “plutos” è il dio denaro.
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