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ungaro-donatoLa ‘ndrangheta, i politici e una testa dura
di Donato Ungaro - 24 marzo 2015   
Non è mafia solo uccidere le persone, è mafia anche togliere la dignità agli uo­mini. È mafia anche mettersi al servizio di un imprenditore che con la mafia, se­condo un prefetto, conduce affari; ma­fia è fare dei favori – magari inconsape­volmente – alla mafia, quella vera.

La mia storia è banale. È la storia di un vigile urbano di un paesino reso famoso dai film di Peppone e don Camillo, che si mette in testa di diventare giornalista. In­contra un certo Roccuzzo, uno dei picciotti di quel Pippo Fava direttore de I Siciliani ucciso dalla mafia catanese; e inizia a scri­vere per la Gazzetta di Reggio. Scrive, il vigile-cronista, di una mega-centrale elet­trica dell’Ansal­do da costruire su terreni agricoli comprati per pochi soldi, terreni che prima del rogito - però - diventano area industriale grazie alla va­riante appro­vata dall’amministrazione. Un guadagno straordinario, con l’Ansaldo ora pronta a pagare i terreni fior di milio­ni; ma al vi­gile-cronista giunge una voce raccapric­ciante: secondo un medico, trop­pa gente a Brescello muore di tumore.

La redazione della Gazzetta di Reggio scrive un articolo dove vengono denuncia­te le impressioni del medico condotto: dal mu­nicipio arrivano strali e minacce al vi­gile-cronista. Ansaldo rinuncia a costruire la centrale e l’imprenditore rimane con i ter­reni “novelli” industriali senza un com­pratore. Il sindaco di Brescello, Ermes Coffri­ni, licenzia il vigile-cronista. L’Ausl conduce un’indagine e scrive che negli ultimi 7 anni il 45 per cen­to degli uo­mini è morto per tumore. Solo impres­sioni?

Intanto l’imprenditore scava abusiva­mente sabbia nel Po, arrivando a de­viare il corso del fiume. L’ex vigile, ora solo cro­nista, filma una draga mentre sca­va nelle acque del Po e Le Iene ci fanno una punta­ta, con la Procura che acquisisce le imma­gini. Una domenica mattina qual­cuno ta­glia le gomme all’auto dell’ex vigi­le: pro­prio davanti alla caserma dei carabi­nieri! La cosa si ripete dopo un po’, di notte.

Il procuratore del tri­bunale di Reggio Emilia, Italo Materia, in­vita il cronista a sporgere denuncia: non dai carabinieri del suo paese ma direttamente da lui.

L’imprenditore, intanto, invita il cronista a passare da casa sua: «Ho un bel tatami – mi dice Claudio Bacchi –, vie­ni che siste­miamo le cose da uomini».

Antonio Roccuzzo nel frattempo lascia la Gazzetta di Reggio: e la Gazzetta di Reg­gio lascia a casa l’ex vigile, ora solo cro­nista. Lui si trasferisce a Bologna e, ol­tre a fare il tranviere, scrive per Piazza Grande.

La Bacchi riceve un’interdizione dal pre­fetto di Reggio Emilia, per legami con la mafia: non voglio immaginare, a questo punto, chi avrebbe potuto costruire la mega centrale Turbogas di Brescello. For­se, dico forse, le stesse imprese finite nel gorgo dell’operazione Aemilia delle scorse settimane, con un imprenditore edile, Al­fonso Di Letto, accusato di avere legami con la ‘ndragheta e che è stato intercettato mentre “discute” di politica con un consi­gliere comunale di Brescello, Maurizio Dall’Aglio, il quale era stato invitato insie­me ad altri consiglieri tra cui il sindaco Er­mes Coffrini, a recarsi in Portogallo per visionare una centrale Turbogas già co­struita dalla Ansaldo.

Tutto mentre l’attua­le sindaco di Bre­scello, un Coffrini junior figlio del Coffri­ni senior che mi licenziò nel 2002, defini­sce improvvidamente «…una brava perso­na…» il signor France­sco Grande Aracri, suo concittadino con­dannato in via defini­tiva per mafia. A far­gli l’eco, il parroco brescellese, che in chiesa grida: «Brescello non è mafiosa». Dopo un paio di mesi gli elicotteri dei ca­rabinieri volavano all’alba sulla parrocchia brescellese, per arrestare gli ‘ndraghetisti.

Nella mia storia semplice, quasi banale, la mafia non ha ucciso. E nessun brigadie­re ha eliminato il suo superiore. Nessun parroco si traveste da “capo-stazione”.

L’unico a rimetterci sono stato io, Dona­to Ungaro; ci ho rimesso il posto di vigile urbano. E di cronista, perché la Gazzetta mi ha lasciato a casa.

Sono stato così semplicemente disarma­to, perché togliere il lavoro a una persona è privarlo della propria dignità; che è l’uni­ca vera arma civile di un Uomo. L’unica cosa per cui valga la pena di combattere.

Tratto da: isiciliani.it

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