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schiavone-carmine-skytg24di Enza Galluccio - 25 febbraio 2015
Erano tutti testimoni di qualcosa che rimane ancora nelle carte, o negli atti processuali. Erano tutte persone che sapevano cose che altri avrebbero voluto sapere, e altri ancora avrebbero voluto sotterrare negli armadi oscuri del potere e del mondo criminale. Potrei citarne alcuni di cui ho già parlato spesso, come Loris D’Ambrosio in vita consigliere dell’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. D’Ambrosio era il terzo testimone – oltre a Nicola Mancino e allo stesso Napolitano – informato sul contenuto delle famose telefonate dell’ex ministro, ex senatore, … accusato di falsa testimonianza nel processo sulla c.d. trattativa tra lo Stato e la mafia.

Non solo, il Consigliere era anche l’unico a poter spiegare quel famoso “Lei sa …” della lettera indirizzata al Presidente, poco prima di morire d’infarto il 16 luglio 2012.
Poi, mi piacerebbe parlare del pm di Firenze Gabriele Chelazzi. Anch’egli aveva avuto a che fare con le indagini sulla trattativa. Prima di morire stava indagando sul cedimento dello Stato con la criminalità. Era l’uomo delle inchieste sulle stragi del 1993, che erano seguite a quelle di Capaci e via D’Amelio del 1992. Secondo l’ex pm palermitano Alfonso Sabella, Chelazzi aveva iscritto nel registro degli indagati anche il Generale Mario Mori. Come già scrivevo tempo fa, il Pm fiorentino si era occupato del misterioso “Protocollo Farfalla”, una sorta di accordo per il controllo delle informazioni che provenivano dai detenuti nelle carceri di massima sicurezza, da parte dei servizi segreti. Chelazzi muore d’infarto nella notte tra il 16 e il 17 aprile del 2003.
L’elenco potrebbe essere molto lungo e includerebbe sicuramente anche Vincenzo Parisi, capo della polizia negli anni di Falcone, uomo del Sisde e testimone fondamentale di molti fatti relativi alle stragi di quegli anni. Parisi muore d’infarto nella notte tra il 30 e il 31 dicembre del 1994. Ma tornando ai giorni nostri, c’è un’altra morte che apparentemente sembra estranea a quest’elenco carico di domande rimaste senza risposta.
È quella di Carmine Schiavone, ex boss della camorra che aveva iniziato a collaborare con la Dda di Napoli fin dal 1993. Ex cassiere dei Casalesi e testimone chiave del processo Spartacus. Schiavone riteneva di essere nato come mafioso, con Bontade e Riccobono. Durante le sue testimonianze aveva affermato «Noi vivevamo con lo Stato. Per noi lo Stato doveva esistere e doveva essere quello Stato che c’era, solo che noi avevamo una filosofia diversa dai siciliani. Mentre Riina usciva da un isolamento isolano, da montagna, vecchio pecoraio, insomma, noi avevamo superato questi limiti, noi volevamo vivere con lo Stato. Se qualcuno nello Stato ci faceva ostruzionismo, ne trovavamo un altro disposto a favorirci. Se era un politico non lo votavamo, se era uno delle istituzioni si trovava il modo per raggirare» e ancora  «La mafia e la camorra non potevano esistere se non era lo Stato… Se le istituzioni non avessero voluto l’esistenza del clan, questo avrebbe forse potuto esistere?».
Fuori dal programma di protezione e libero dal 2013, ultimamente aveva rilasciato alcune interviste in cui, per la prima volta, ricostruiva gli accordi tra clan dei Casalesi e pezzi della politica e dell’imprenditoria per lo smaltimento illegale di rifiuti pericolosi in territorio campano.
Anche Schiavone era un uomo che sapeva, ma l’infarto non perdona, si sa …

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