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quirinale-toghedi Francesco Bertelli - 31 gennaio 2015
Ok. Sergio Mattarella è il nuovo Presidente della Repubblica.
Andiamo però subito al sodo e capire se davvero qualcosa potrà cambiare da domani in poi.
Per vedere se le cose possono cambiare in breve tempo basta poco. Adesso il senso comune dei meno esperti su certe tematiche (purtroppo la gran parte della popolazione), suggerisce un pensiero che fino a qualche giorno fa pareva impensabile: Renzi ha fatto lo scherzetto a Berlusconi.
Non illudiamoci. Siamo seri.
Il problema non risiede nella personalità di Mattarella. Tutti sanno e riconoscono che sia una persona per bene. Anche il passato lo dimostra: in primis le dimissioni dopo la vergognosa legge Mammì, vergognoso regalo di Craxi al giovane allievo Berlusconi; la vecchia legge elettorale (il Mattarellum) che oggi sarebbe una benedizione dal cielo rispetto al Porcellum o al futuro Italicum.
Ma a parte questo, il problema è diverso. Un problema da ricondurre ai due mandati di Giorgio Napolitano: un ruolo istituzionale i cui poteri sono stati forse irrimediabilmente allargati e modellati secondo le esigenze del momento, senza tener conto dei dettami costituzionali. Un presidente che troppo spesso ha messo al centro dei suoi moniti il continuo “luogo comune” (anche un po’ banale e privo di significato) del conflitto fra politica e giustizia, senza spiegare bene chi e perché ha cominciato questo conflitto.
Aggiungiamoci anche i moniti (più di uno all’anno) ad invitare i magistrati ad evitare di lasciare troppo spesso dichiarazioni in luoghi non consoni al loro ruolo (ogni riferimento al pool di Palermo è puramente intenzionato).

Quasi degli attacchi mirati in coincidenza con i fatti di Palermo.
A tal proposito un Falcone ed un Borsellino avrebbero qualcosa da aggiungere sul fatto di “evitare di lasciare certe dichiarazioni”, ma andiamo avanti.
Lasciare allo sbando la Procura più bollente d’Italia, senza un capo per tre mesi. Non prendere alcuna posizione nei confronti di alcuni magistrati di Palermo sotto attacco da parte della mafia: Nino Di Matteo, Roberto Scarpinato, Francesco del Bene. Non si tratta di semplici minacce: ordini di morte.
Su Di Matteo è stato svelato in tempo il progetto dell’attentato organizzato contro di lui, però il tritolo è sparso e nascosto per Palermo e le autorità non riescono ancora a trovarlo. E chi sa tace.
Dal mondo istituzionale non si è alzata alcuna voce di conforto e vicinanza. Neanche dall’ex Presidente della Repubblica.
Coinvolgere direttamente la politica nella nomina al Csm del Capo della Procura di Palermo. Questo è accaduto: la politica su indicazione del Quirinale prende iniziativa e mette il cappello sull’elezione del Csm, eleggendo Lo Voi a capo della procura palermitana. Siamo in attesa degli sviluppi in merito ai due ricorsi presentati dagli altri due candidati Lo Forte e Lari.
Anche questo è un fatto e il coinvolgimento è partito dal Colle più alto: il Quirinale.
Sono tutte tappe bene organizzate e avvenute in sequenza a discapito della sicurezza, della vicinanza, di un rapporto di fiducia reciproca tra una parte della magistratura e lo Stato.
Rapporti che durante i due mandati di Napolitano si sono deteriorati.
Ecco è da qui che bisogna ripartire. Da Palermo.
C’è la notizia molto recente che gli avvocati di Nicola Mancino hanno chiesto a Mattarella di testimoniare al processo sulla trattativa Stato-mafia, e la Corte ha accolto la richiesta. Perché? Nel capitolato ammesso dalla Corte d’assise di Palermo, i difensori di Mancino annunciano che a Mattarella intendono chiedere lumi sulla “linea adottata dalla Dc nella lotta alla mafia” e sulla “deliberazione del partito per rendere incompatibile la carica di ministro con quella di parlamentare dopo le elezioni del 92”.
Quindi inevitabilmente tutto si rimanda a Palermo e a questo processo scomodo che potrebbe vedere come testimone anche il nuovo Presidente della Repubblica.
Qui si scioglieranno i nodi.
Su questi problemi sopra elencati si potrà valutare se effettivamente qualcosa è cambiato.
Riallacciare un dialogo a livello istituzionale con la Procura di Palermo basato non sul fastidio o sulla supponenza ma bensì sul reciproco rispetto, sarebbe una novità importante.
Dimostrare di esserci come Presidente della Repubblica. Dimostrare di tener conto della vita dei magistrati in pericolo di vita (smettiamola di considerarle semplici “minacce” solo perché il morto non ci è ancora scappato).
Questo aprirebbe davvero un nuovo percorso e un nuovo dialogo su un tema fondamentale per questo Paese, troppo spesso volutamente ignorato dai vertici dello Stato (Quirinale compreso).
Allora se vogliamo essere ottimisti il primo gesto che ci si aspetta dal nuovo Presidente della Repubblica è uno solo (anche alla luce del passato personale del nuovo inquilino al Colle): alzi la cornetta del suo ufficio al Quirinale e faccia una telefonata a Nino Di Matteo, Roberto Scarpinato, Del Bene, Tartaglia, Vittorio Teresi per far sapere loro che il Presidente della Repubblica è vicino a loro e, soprattutto, è con loro.

Post Scriptum: il 20 febbraio si ridiscuterà in Parlamento sulla delega fiscale detta “Salva-Silvio” con le sue assurde soglie di impunibilità sotto il 3% dell’imponibile. Il nuovo Presidente della Repubblica come si comporterà di fronte a tale assurdità? Saremo nuovamente davanti ad un Presidente firma-tutto oppure qualcosa cambierà? Staremo a vedere.

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